Image Image Image Image Image Image Image Image Image Image

TAURIANOVA (RC), MARTEDì 07 MAGGIO 2024

Torna su

Torna su

 
 

La lanterna di Diogene Adolfo Parmaliana, un eroe "galantuomo", solitario e scomodo

La lanterna di Diogene Adolfo Parmaliana, un eroe "galantuomo", solitario e scomodo
Testo-
Testo+
Commenta
Stampa

a cura di Giuseppe Larosa

“Un abbraccio forte, forte da un uomo
che fino ad
alcuni mesi addietro sorrideva alla vita”. Con queste parole, le ultime, il
professore Adolfo Parmaliana chiude con una lettera trovata poi sopra la
scrivania del suo studio. Era la mattina di quel due ottobre di sei anni fa,
quando il professore Parmaliana sale sulla sua macchina ed arrivato ad un punto
dell’autostrada Messina-Palermo, scende e si lancia in un volo lungo 35 metri,
ponendo fine ai
suoi giorni. Oscar Wilde disse «Meglio essere protagonisti della propria
tragedia che spettatori della propria vita».

Parmaliana, docente universitario di chimica
industriale, dopo aver denunciato dei presunti sospetti di un intreccio
affaristico-mafioso in un paesino della provincia di Messina, Terme Vigliatore
(sciolto per mafia), tra le altre cose se una caserma dei Carabinieri. Si è
trovato solo contro un muro, braccato dall’onta di una denuncia per
diffamazione, decide di fare l’estremo gesto drammatico. L’ultimo. Quello
fatale, la fine della sua vita.

La prima parte della sua lettera è toccante, ma
soprattutto significativa ed interessante, “La Magistratura
barcellonese/messinese vorrebbe mettermi alla gogna vorrebbe umiliarmi,
delegittimarmi, mi sta dando la caccia perché ho osato fare il mio dovere di
cittadino denunciando il malaffare, la mafia, le connivenze, le coperture e le
complicità di rappresentanti dello Stato corrotti e deviati. Non posso
consentire a questi soggetti di offendere la mia dignità di uomo, di padre, di
marito di servitore dello Stato e docente universitario. Non posso consentire a
questi soggetti di farsi gioco di me e di sporcare la mia immagine, non posso
consentire che il mio nome appaia sul giornale alla stessa stregua di quello di
un delinquente. Hanno deciso di schiacciarmi, di annientarmi. Non glielo
consentirò, rivendico con forza la mia storia, il mio coraggio e la mia
indipendenza. Sono un uomo libero che in maniera determinata si sottrae al
massacro ed agli agguati che il sistema sopraindicato vorrebbe tendergli”.

Un coraggio che ha ottenuto delle luride
indifferenze come anche ingiustificate resistenze nonché il disprezzo della propria
immagine.

La sua lettera continua in un percorso drammatico
segnato da quei “passaggi” umani in cui si evince l’umiliazione stessa della
dignità umana. Specie quando scrive, “Mi hanno tolto la serenità, la pace, la
tranquillità, la forza fisica e mentale. Mi hanno tolto la gioia di vivere. Non
riesco a pensare ad altro. Chiedo perdono a tutti per un gesto che non avrei
pensato mai di dover compiere”. E rivolgendosi ai propri figli, alla moglie ed
ai propri cari “Ai miei amati figli Gilda e Basilio, Gilduzza e Basy, luce ed
orgoglio della mia vita, raccomando di essere uniti, forti, di non lasciarsi
travolgere dai fatti negativi di non sconfortarsi, di studiare, di
qualificarsi, di non arrendersi mai, di non essere troppo idealisti, di
perdonarmi e di capire il mio stato d’animo: Vi guiderò con il pensiero, con
tanto amore, pregherò per voi, gioirò e soffrirò con voi.

Alla mia amatissima compagna di vita, alla mia
Cettina, donna forte, coraggiosa, dolce, bella e comprensiva: ti chiedo di fare
uno sforzo in più, di non piangere, di essere ancora più forte e di guidare i
ns figli ancora con più amore, di essere più buona e più tenace di quanto non
lo sia stato io.

Ai miei fratelli, Biagio ed Emilio, chiedo di
volersi sempre bene, di non dimenticarsi di me: vi ho voluto sempre bene, vi
chiedo di assistere con cura e amore i ns genitori che ne hanno tanto bisogno.
Alla mia bella mamma ed al mio straordinario papà: vi voglio tanto bene, vi
mando un abbraccio forte, vi porto sempre nel mio cuore, siete una forza della
natura, mi avete dato tanto di più di quanto meritavo. A tutti i miei parenti,
ai miei cognati, ai miei zii, ai miei cugini, ai miei nipoti, a mia suocera: vi
chiedo di stare vicini a Gilda, a Basilio ed a Cettina. Vi chiedo di
sorreggerli.

Ai miei amici sarò sempre grato per la loro
vicinanza, per il loro affetto, per aver trascorso tante ore felici e
spensierate. Alla mia università, ai miei studenti, ai miei collaboratori ed
alle mie collaboratrici sarò sempre grato per la cura e la pazienza
manifestatemi ogni giorno. Grazie. Quella era 1° mia vita. Ho trascorso 30 anni
bellissimi dentro l’università innamorato ed entusiasta della mia attività di
docente universitario e di ricercatore.

I progetti di ricerca, la ricerca del nuovo, erano
la mia vita. Quanti giovani studenti ho condotto alla laurea. Quanti bei
ricordi.

Ora un clan mi ha voluto togliere le cose più
belle: la felicità, la gioia di vivere, la mia famiglia, la voglia di fare, la
forza per guardare avanti.

Mi sento un uomo finito, distrutto. Vi prego di
ricordarmi con un sorriso, con una preghiera, con un gesto di affetto, con un
fiore. Se a qualcuno ho fatto del male chiedo umilmente di volermi perdonare.

Ho avuto tanto dalla vita. Poi, a 50 anni, ho perso
la serenità per scelta di una magistratura che ha deciso di gambizzarmi
moralmente. Questo sistema l’ho combattuto in tutte le sedi istituzionali. Ora
sono esausto, non ho più energie per farlo e me ne vado in silenzio. Alcuni
dovranno avere qualche rimorso, evidentemente il rimorso di aver ingannato un
uomo che ha creduto ciecamente, sbagliando, nelle istituzioni”.

La storia è fatta la maggior parte delle volte da
uomini semplici che hanno avuto semplicemente il coraggio di denunciare dei
soprusi e di esporsi in prima linea credendo nella Giustizia. Quella Giustizia
che alla fine, in qualche modo, li ha delusi. Alla certezza di ogni esistenza
umana, alla fine, vige il fondamento stesso di un bilancio esistenziale, e la
ricerca di quella verità che prima o poi saprà venire fuori inesorabilmente
perché compagna ed alleata del tempo.

Questa è la un italiano coraggioso che alla fine
ha ceduto ad un sistema più grande di lui. Non è stato un eroe il professore
Parmaliana, ma semplicemente un galantuomo e come disse Pirandello, «È molto
più facile essere un eroe che un galantuomo. Eroi si può essere ogni tanto,
galantuomini.