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TAURIANOVA (RC), DOMENICA 05 MAGGIO 2024

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La lanterna di Diogene

La lanterna di Diogene

L’antimafia che non c’è. La “falsa antimafia”, quella “collusa” e quella che “inquina”

a cura di GIUSEPPE LAROSA

La lanterna di Diogene

L’antimafia che non c’è. La “falsa antimafia”, quella “collusa” e quella che “inquina”

 

a cura di Giuseppe Larosa

 

 

«Non si può negare che quando c’è un’antimafia così diffusa, di tanto in tanto ci sono canali attraverso i quali è la stessa mafia, infiltrandosi in questi specifici settori, a parlare».
Cos’è “l’antimafia diffusa”, cui il procuratore di Reggio Calabria, Federico Cafiero De Raho ha fatto riferimento? E qual è”La falsa antimafia”, ossia quella che “inquina” e che “collude”?
Ascoltare le parole dure e allo stesso tempo incisive del procuratore De Raho fanno rabbrividire e ci fanno tornare in mente quei periodi in cui Sciascia parlava di “professionisti dell’antimafia”, perché quando dice che l’antimafia «a volte è rappresentata da persone che si introducono in un determinato circuito per riciclarsi e per fare il gioco della mafia». Oppure che è la «prova proprio del fatto che ci sono circuiti che vengono utilizzati da determinate persone proprio per raggiungere la finalità di recuperare un’immagine nel territorio e che finiscono per inquinare le associazioni e i circuiti nei quali si inseriscono», è grave. Ed allo stesso tempo inquietante perché pone un concetto di paura serio che sfida l’insicurezza dei cittadini.
Da questa (seppur umile) rubrica, mi sono sempre scontrato con gli “antimafiosi” dell’ultima ora, quelli che utilizzano associazioni riempiendosi la bocca di antimafia, che magari hanno una partita iva, un marchio registrato o un “timbro” per ogni occasione. Solo per dire “siamo contro la mafia”. Ed alla fine scopri che quando si scava a fondo sono dei scatole vuote, anzi peggio dei “vuoti a perdere”. Ben confezionati però, atti a raggiungere degli scopi che tendono a mettere in risalto una loro prerogativa, che è quella dell’ambizione del primato. Come le primedonne di un varietà oramai figlio del tempo che fu. Chi chiede una scorta perché si sente minacciato dalla mafia, o chi chiede soldi a qualche amministrazione e/o istituzione territoriale e/o regionale, per far valere i propri progetti, e magari (dico magari), trarne qualche beneficio personale. E pensate un po’ qualcuno chiede anche uno scranno al Parlamento, alcuni lo ottengono altri no. E chi non lo ottiene li vedi sbizzarrirsi come indemoniati a gettare “anatemi” sulla classe politica che li ha, in poche parole, “trombati”. Perché attenzione, di tromboni si tratta, dell’antimafia sì, ma sempre tromboni….. A pensar male si fa peccato, però…..
Altri chiedono soldi e popolarità, come attori diversi e protagonisti della stessa scenografia.
Questa è un’antimafia che fa paura più della mafia stessa. È un’antimafia di comparse e di “bagattelle” d’autore come li definiva Celine.
Le parole di De Raho io li condivido, li sottoscrivo ed anche li faccio (indegnamente) anche mie, e li associo a quello che circa venti anni fa Giovanni Falcone scrisse in un suo famoso libro che «La mafia si caratterizza per la sua rapidità nell’adeguare valori arcaici alle esigenze del presente, per la sua abilità nel confondersi con la società civile, per l’uso dell’intimidazione e della violenza, per il numero e la statura criminale dei suoi adepti, per la sua capacità ad essere sempre diversa e sempre uguale a se stessa».
L’antimafia di De Raho si confonde con la “società civile” di cui parlava Falcone e lo fa con gli stessi metodi della mafia stessa. Con i metodi della collusione, delle ingerenze e del caos. Ingredienti naturali che tendono a rovesciare un sistema in equilibrio fondato sui valori della democrazia e della libertà.
Parlare di morale e di legalità, come anche di giustizia così come di verità, si tende il molto spesso delle volte di ritrovarci a dei concetti che in un unico contesto recepibile si agisce come disse Brecht che “Prima viene lo stomaco, poi viene la morale”. Ecco, ci vuole stomaco e deve essere per forza di cose di natura instabile perché altrimenti di primo acchito e di istinto, la condizione vomitevole prevale sull’equilibrio.
L’antimafia, e non è mia ambizione dare lezioni, si basa su un concetto culturale del rispetto del prossimo. Si basa sulla rivoluzione delle coscienze e sull’indignazione. Su quella cose che provocano una ribellione al marciume consolidato che sta consumando una società civile. L’antimafia è una sfida, quella di aprire dei fogli bianchi di un libro senza copertina e scrivere parole dettate dalla coscienza, dalla morale dell’onestà e della legalità, prima ancora nostra e poi verso chi è rivolta. E cercare di dare ad un Paese sempre più in preda alla persecuzione del mascalzone, quattro spiccioli di civiltà. Il resto è solo un teatrino da operetta senza comparse, ma solo di marionette.

lalanternadidiogene@approdonews.it