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TAURIANOVA (RC), MARTEDì 07 MAGGIO 2024

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Il prefisso della vanagloria Riflessione ironica del giurista blogger Giovanni Cardona su un potentissimo diffusore di falsità e un micidiale propagatore di ipocrisie

Il prefisso della vanagloria Riflessione ironica del giurista blogger Giovanni Cardona su un potentissimo diffusore di falsità e un micidiale propagatore di ipocrisie
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Ogni epoca ha le sue aspirazioni, le sue voglie.

Voglia di libertà, di giustizia, di benessere, di pulizia morale, di religiosità.

Di volta in volta l’uomo riscopre nuove ambizioni, si lega a nuovi valori, si ripropone altri simboli.

Nascono così l’epoca della settimana bianca, della utilitaria, del telefono amico, della seconda casa, del garantismo giudiziario, della famiglia numerosa e dei figli col contagocce.

Da un po’ di tempo v’è in giro una voglia sempre più buffa e invadente: la sindrome del manager.

Ce la confermano le indagini di mercato di società del settore.

La vendita dei telefonini portatili, o cellulari, si è propagata a macchia d’olio, in un Paese in cui il 90,7% delle persone possiede un telefonino e dove ci sono più sim che esseri umani (siamo a una media di 1,7 sim a persona).

Ci fu un periodo in cui era di moda installare in casa più prese di telefono che di luce: in salotto, in bagno, in camera da letto, in soffitta, sotto lo stendibiancheria e accanto al forno: una comodità, ma anche un inferno.

Dal quale ci si salvaguardava facendo si che la molestia di un trillo durante il sonno rimanesse unica e lontana in più possibile dal capezzale.

Come se non bastasse è giunta l’epoca dei cellulari.

In mano agli italiani, sempre cosi ameni e spendaccioni, si sono propagati con velocità epidemica, diventando gingilli di trastullo.

Ora lo usa anche il manager, ma soprattutto lo possiede chi gioca a fare il manager. infatti il telefonino è diventato una moda e v’è gente che lo esibisce, come l’orecchino, al volante della sua biturbo, sfrecciando in pieno traffico: un occhio all’asfalto e un orecchio teso in frenetiche e irrinunciabili ricezioni interurbane.

Al punto che si è resa necessaria una legge che ne vieti l’uso durante la guida.

Ma nei bar, negli stadi, negli ambulatori, nei cinema, per le strade è tutto un cicaleccio di apparecchi portatili che gracchiano, che chiamano, che implorano penzoloni alle cinture una risposta, un messaggio.

In ognuno di quei minuscoli aggeggi prodigiosi è concentrato un godimento sottile e incomparabile: l’orgasmo dell’ubiquità.

A tutti il portatile dona un frammento di gloria, un posto al sole.

Ognuno, brandendolo, può sentirsi per dieci minuti il bonsai della buonanima dell’avvocato Agnelli, un manager formato tascabile.

Anche se magari attende da due anni, vanamente, una proposta di assunzione al Comune.

Cosa si diranno? Molti, ne sono certo, si squilleranno tra loro solo per chiedersi notizia sull’ultimo bando di concorso.

Ma intanto la vanagloria dilaga.

La stessa vanagloria cantata da Trilussa nella poesia La Lumaca: “La lumachella de la vanagloria ch’era strisciata sopra un obbelisco guardò la bava e disse: Già capisco che lascerò un’impronta ne la Storia”.