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TAURIANOVA (RC), SABATO 04 MAGGIO 2024

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Il mondo cattolico non ci sta e si propone di debellare l’antipolitica

Il mondo cattolico non ci sta e si propone di debellare l’antipolitica

Editoriale di Bartolo Ciccardini

Il mondo cattolico non ci sta e si propone di debellare l’antipolitica

Editoriale di Bartolo Ciccardini

 

 

Le Acli sono state le cellule staminali dell’organismo cattolico, capaci di svolgere il lavoro il lavoro giusto nel momento giusto.

Dopo il Patto di Roma del Giugno 1944, in cui nacque l’Unità sindacale fra cristiani, socialisti e comunisti, il mondo cattolico, che rinunciava ad un suo sindacato confessionale, si pose il problema di una sua presenza nel mondo del lavoro e fondò le Acli definite come “movimento operaio cristiano”. Così il mondo cattolico non rinunciava ad una sua presenza organizzata nel mondo del lavoro e si serviva di questo strumento per dare consistenza e forme organizzative alla “corrente sindacale cristiana” in seno alla CGIL.

Il Partito Comunista, che considerava il Sindacato come ciglia di trasmissione della sua politica all’interno del movimento operaio, cercò di fare della CGIL un movimento frontista, volto a realizzare una sua egemonia.

In occasione dello scontro del 18 Aprile 1948 il tentativo di egemonia del Partito Comunista sul movimento sindacale provocò la rottura dell’unità sindacale.

Uscirono dalla CGIL e si formarono sia la CISL, sia la UIL: la CISL, nata dai quadri delle Acli, che funzionarono da cellule staminale del nuovo sindacato; la UIL, dai gruppi ispirati a partiti riformisti di cultura laica, come i repubblicani ed i socialdemocratici. (I cattolici, per avere l’appoggio dei sindacati americani, fondarono una confederazione sindacale “democratica” e non “confessionale”. Il risultato strano della vittoria della DC fu che l’Italia non ebbe un sindacato cristiano, come la Francia e la Germania).

Questa situazione rese impossibile la trasformazione delle Acli in sindacato, con qualche disagio e polemica interna fra gli aclisti diventati CISL e gli aclisti che teorizzavano un movimento operaio cristiano.

Le cellule staminali adempirono così ad un nuovo compito: la costituzione di un movimento di natura sociale, prepolitico e presindacale, ma profondamente radicato nella classe lavoratrice, con il compito di influire sulla gestione sindacale della CISL e sulla gestione politica della DC. Le Acli, da buone cellule staminali, crearono un contrappeso culturale ed operativo sia alla CISL, sia alla DC.

Fu importante, nella storia di quegli anni, la corrente politica ed il gruppo parlamentare, chiamato prima “Rinnovamento” e poi “Forze Sociali”. Alla fine degli anni ’60 la DC si trasforma da “partito-federazione” di movimenti cattolici, a “partito-strumento politico autosufficiente”, fondato sulle tessere e su poteri autoreferenziali. Le Acli reagirono rompendo il patto di collegamento organico con il partito. Livio Labor fu l’esponente di questo tentativo (chiamato “la scelta socialista”) che politicamente fallì, anche se la vicenda segnò la fine della fase federativa del movimento cattolico e l’inizio di una fase diversa, molto difficile e pericolosa: la “partitocrazia”.

(Labor fu spinto da un’atmosfera scissionistica che si era diffusa il cui maggiore esponente era stato Carlo Donat Cattin. In quello stesso periodo Moro si separò dai dorotei, costituì una sua corrente autonoma, che intendeva proporsi il superamento del centro-sinistra ed il “confronto” con i comunisti. Questa nuova linea, che egemonizzerà il partito fino alla morte di Moro, sarà sposata da Donat Cattin e da gran parte della rappresentanza politica della CISL e delle Acli, che abbandonarono Labor al suo destino. Peraltro anche il Partito Comunista, che aveva visto di buon occhio la scissione fu necessariamente gelido nei confronti di una “scelta socialista”).

Restò comunque a Labor il merito di aver ben capito la crisi del collateralismo e i pericoli della partitocrazia.

(Qualcuno in quel periodo pensò che sarebbe stato più giusto riprendere in mano il diritto dichiarato dalla dottrina sociale cristiana di sottrarre alla politica “statale” l’amministrazione delle comunità locali. Nel 1960 la Cisl e le Acli, stanche delle prevaricazioni di una sprezzante dirigenza politica, avevano presentato a Gaeta, Comune non secondario, una lista per le elezioni amministrative con il simbolo del “Galeone Crociato” di quella gloriosa repubblica marinara, con capolista Ettore Massaccesi, dell’ufficio studi della Cisl, che fu eletto Sindaco. L’episodio non ebbe conseguenze. Pastore e Storti non subirono reazioni disciplinari. La via era praticabile).

Questa lezione è attuale. Oggi non esiste un partito (quasi) unitario dei cattolici che pretenda di egemonizzare l’azione sociale. Non si capisce perché una forte azione per la salvezza della famiglia negli enti intermedi, in cui è necessaria una unità pre-politica molto ampia, non possa essere svolta da movimenti al di fuori dei partiti.

Per le Acli, allora, incominciò un lungo e faticoso cammino nel mondo cattolico post-conciliare fra riformismo democratico ed autonomia sociale. Le Acli, mantenendo la loro fedeltà al servizio del mondo del lavoro, sviluppando i servizi, tenteranno una via, anche politica, di partecipazione ai tentativi di riforma del sistema politico. Furono in prima fila nel tentativo di allargare il consenso dei cattolici in una Democrazia Cristiana rinnovata, e poi furono in prima fila nel movimento referendario che tentava di modificare la degenerazione partitocratica.

La lunga transizione con la crisi dei partiti storici, con la illusione berlusconiana e con le vicende non sempre fortunate di una rifondazione della sinistra democratica, hanno visto le Acli protagoniste. Ma una svolta importante, in questa lunga e non ingloriosa storia, è stata annunciata lo scorso anno, il 17 ottobre 2011, a Todi: le Acli, le cellule staminali tradizionali del mondo cattolico volto all’azione sociale, partecipano ad un Forum delle associazioni cattoliche per creare un organismo di servizio alla crisi italiana. Nella presentazione di “Famiglia Cristiana” leggo questo proposito: “Per ricostruire l’Italia afflitta da una grave crisi, che è di valori e non solo economica, occorre rivitalizzare le comunità locali. Rigore, sì, ma anche equità, giustizia e pace come cura per debellare l’antipolitica”.

Queste parole mi suonano come la risposta più sana, più decisa e più efficiente alla vittoria dell’antipolitica delle ultime amministrative. La vittoria inaspettata della peggiore demagogia e soprattutto l’alto tasso di astensionismo sono un allarme che non si può ignorare: il mondo cattolico non ci sta e si propone di debellare l’antipolitica.

Peccato che le Acli e le altre associazioni hanno lasciato passare troppo tempo dai propositi del 17 ottobre 2011, ed avrebbero dovuto presentare Liste Civiche della “buona politica” aperte a tutti i “volenterosi” nelle elezioni amministrative di primavera.

Leggo sempre nella presentazione di “Famiglia Cristiana”: “La parola d’ordine è: fedeltà alla Chiesa, alla democrazia, ai lavoratori”. È la parole d’ordine del 1955, lo ricordo bene, quando le Acli affrontarono il nuovo compito di spingere il mondo cattolico alla svolta del centro-sinistra.

Verso questa direzione le Acli hanno già cominciato a muoversi, non con la demagogia, ma con il lavoro. Stanno promuovendo “Punti Famiglia” per rendere servizi concreti alla famiglia e non più soltanto nei centri provinciali, ma ormai anche nelle parrocchie. Saranno 80 prima della fine dell’anno. Saranno creati “Osservatori sul welfare”, valorizzando l’esperienza di “Acli-colf” e di “Acli-terra”. Ma soprattutto, dal novembre 2011, il Ministero del Lavoro ha autorizzato il Patronato delle Acli a svolgere attività di mediazione di manodopera su tutto il territorio nazionale. Da febbraio di quest’anno i centri per il lavoro sono diventati operativi e sono già passate dagli sportelli Acli circa 12.000 persone. Un servizio che ufficialmente le Acli svolgevano già da tempo, accompagnando i meno tutelati nella ricerca del lavoro e coprendo un buco nero, lasciato dai servizi pubblici, che, secondo le ricerche, riescono ad intercettare appena il 5% di chi si affaccia al mondo del lavoro.

L’idea è anche quella di fare rete e di coinvolgere tutte quelle strutture, associazioni, movimenti, parrocchie, alle quali di solito si rivolge chi cerca un’occupazione. “Per questo abbiamo interessato anche le Caritas” – spiega Maurizio Drezzatore, responsabile del dipartimento Lavoro delle Acli – “ci rivolgiamo soprattutto ai giovani, circa 50.000 che avviciniamo attraverso i nostri corsi di formazione”.

E non basta. Le Acli hanno firmato un accordo con l’Associazione Nazionale Partigiani Cristiani per creare fra i giovani “Gruppi di Lavoro Resistenza e Costituzione”, per tramandare e far rivivere nei giovani i valori di quella tradizione.

Brave cellule staminali, state lavorando bene! Auguri a voi!

redazione@approdonews.it