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TAURIANOVA (RC), SABATO 04 MAGGIO 2024

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Forse è tempo di cambiare

Forse è tempo di cambiare

Il governo Renzi parte ed inizia subito una corsa ad ostacoli

di BRUNO MORGANTE

Forse è tempo di cambiare

Il governo Renzi parte ed inizia subito una corsa ad ostacoli

 

di Bruno Morgante

 

 

In questi giorni l’attenzione dell’opinione pubblica è bersagliata da fatti e notizie importanti per la vita sociale e politica della nazione.
E’ nato un nuovo governo con presidente del consiglio dei ministri Matteo Renzi, uomo sicuramente portatore di novità e di energia positiva, di cui l’Italia ha bisogno per svegliarsi dal torpore e dal fatalismo su un suo ineludibile declino industriale su cui sembra essersi adagiata negli ultimi anni.
Ritengo sia ragionevole che ognuno, al di là delle sue convinzioni politiche o della minore o maggiore simpatia per Renzi, speri per il bene del paese che lui ce la faccia, per cui sarebbe normale dare una ragionevole chance a questo governo da verificare in un lasso temporale di almeno trenta/sessanta giorni.
Non significa pretendere che venga messa la museruola alla corretta informazione, ma nemmeno che si sia bombardati da pregiudizi o da contrarietà ideologiche preconcette, contrabbandate come analisi politologica.
Invece dopo una settimana i media parlano già di caduta di consenso perché non sono stati risolti o quantomeno affrontati i problemi della disoccupazione, del debito pubblico, della diminuzione delle tasse, dell’aumento della busta paga dei lavoratori e dei pensionati e chi più ne ha più ne metta.
Sinceramente sorge un dubbio: i media informano o partecipano alla battaglia politica con un tasso altissimo di cinismo e di disinteresse per il bene generale, dato che debbono dimostrare a chi di dovere di svolgere la propria parte di propaganda, senza avere nessuna responsabilità?
Il dato positivo del governo più snello della repubblica ( 16 ministri, di cui 8 donne, 4 viceministri e 36 sottosegretari) nei media è stato coperto subito dallo scandalo, legittimamente sollevato e amplificato dalle opposizioni, del senatore Gentile per un presunto intervento, tra l’altro per interposta persona, sul giornale “l’ora della Calabria” perché non venisse pubblicata la notizia di un avviso di garanzia a suo figlio per fatti inerenti l’azienda sanitaria di Cosenza.
Un sospetto gravissimo per un uomo di governo, tanto che il senatore Gentile, pur affermando in tutte le sedi la propria estraneità a quanto gli veniva addebitato, ha ritenuto di doversi dimettere per non coinvolgere il governo in un sospetto infamante dal punto di vista della credibilità democratica.
Onore delle armi al senatore Gentile, ma non è bastato.
Subito si è scatenata la campagna mediatica da parte non più solo delle opposizioni, ma soprattutto di tutto il centrodestra sul caso di altri quattro sottosegretari del PD raggiunti da avvisi di garanzia, caso presentato come un fatto più grave di quello di Gentile, che, contrariamente ai quattro, non aveva avuto alcun avviso di garanzia.
Tra i sottosegretari indagati quella maggiormente presa di mira è stato il sottosegretario Barracciu, indagata per consumo di carburante, pagato con i fondi del gruppo consiliare regionale, per complessivi 31.000 euro, nei 21 anni in cui era stata consigliere regionale in Sardegna.
La pressione mediatica chiedeva le dimissioni dei quattro perché non ci fosse diversità di trattamento tra Gentile ed esponenti del PD.
Il ministro Boschi, rispondendo alla camera alle interrogazioni sull’argomento che sono state fatte da quasi tutti i partiti, ha fatto un intervento che segna uno spartiacque rispetto al giustizialismo e alla demagogia che ha contraddistinto il ruolo e la responsabilità della giustizia e della politica nella selezione della classe dirigente negli ultimi venti anni.
Sono nella memoria di tutti gli eccessi sul tema dell’uno e dell’altro schieramento.
A sinistra bastava un avviso di garanzia perché ministri dovessero subito dimettersi, perché onorevoli uscenti non venissero candidati, perché dirigenti di partito o di enti o di organizzazioni sindacali o professionali diventassero ineleggibili o costretti a dimettersi.
Ai pubblici ministeri la sinistra aveva delegato il controllo e l’ultima parola sulla selezione della classe dirigente, intesa nella sua accezione più ampia, in quanto bastava un avviso di garanzia, come si diceva prima, per stroncare una carriera, per distruggere un avversario politico.
Veniva dato al pm un potere sia deviante dal punto di vista del funzionamento della democrazia che irresponsabile, in quanto niente poteva essere addebitato al magistrato se l’indagato veniva assolto in istruttoria perché completamente estraneo ai fatti oggetto di indagine, anche se ormai la sua carriera politica era finita.
Nel centro destra sull’altare del garantismo( presunzione di innocenza fino a condanna definitiva ), da contrapporre al giustizialismo della sinistra, si sono chiusi gli occhi su indagati, rinviati a giudizio, condannati in primo e secondo grado per reati gravissimi, anzi sono stati considerati vittime della giustizia rossa e promossi nella gerarchia politica.
Un argomento serio che attiene all’onestà della classe dirigente, valore fondamentale per la sua credibilità, è stato ridotto a guerra ideologica tra giustizialisti e presunti garantisti, per cui metà del popolo italiano non riconosceva le ragioni dell’altro.
Di fatto questa contrapposizione ha rappresentato la morte del confronto politico sui problemi della società italiana e la battaglia politica è stata ridotta a una guerra senza esclusione di colpi per vincere e distruggere il nemico, guerra in cui non c’era spazio per la ragione o per il pensiero critico, ma in cui si chiedeva fede e lealtà.
Mentre il mondo cambiava velocemente, gli italiani si schieravano come tifosi nell’uno o nell’altro campo.
Il ministro Boschi alla camera, come si diceva prima, rispondendo a diverse interrogazioni parlamentari, finalmente ha chiarito che sul problema delle decisioni inerenti la valutazione di idoneità personale sui dirigenti pubblici c’è una chiara distinzione di ruoli tra i pubblici ministeri e la politica.
L’avviso di garanzia è un atto dei pm con cui avvisano il cittadino che ci sono indagini nei suoi confronti e che, in quanto tale, non può interessare la politica, che deve rispettare il lavoro della magistratura.
La politica, all’inverso, non può delegare a nessuno la responsabilità di decisioni che deve avere il coraggio di assumere sull’idoneità delle persone ad assolvere a un compito pubblico e che rientrano nel campo dell’opportunità politica.
In questo senso si può chiedere a membri di governo, come è stato per Gentile, o come legittimamente sostenuto da altri nei confronti del ministro Cancellieri prima ( anche se il parlamento, assumendosi la sua responsabilità, ha deliberato diversamente), di fare un passo indietro non perché sospettati di avere commesso reati, ma per opportunità politica perché hanno tenuto comportamenti, per ingenuità o per inesperienza, non consoni alla carica ricoperta, anche se non sanzionabili dal punto di vista penale, comportamenti che hanno generato imbarazzo e contrarietà nell’opinione pubblica.
Diverso è il caso di membri di governo raggiunti da avviso di garanzia, che garantiscono di essere estranei ai fatti oggetto di indagine, per i quali deve valere la presunzione di innocenza, senza perciò entrare nel merito del lavoro del magistrato, almeno fino all’eventuale rinvio a giudizio, dopo del quale si porrà il problema dell’opportunità politica, sempre valutata nella sua autonomia dalla politica, che un cittadino continui a ricoprire ruoli di governo, in relazione alla gravità del reato contestato e al ruolo avuto.
Dopo venti anni di subalternità della politica al potere giudiziario, soprattutto a sinistra, ma anche a destra, come dimostra il fatto che si chiedono le dimissioni per un avviso di garanzia, non distinguendo tra giustizialismo e opportunità politica, dopo venti anni, si diceva, finalmente un tentativo di dare alla politica il suo ruolo e la sua responsabilità per quanto attiene alla selezione della classe dirigente e alle decisioni che rientrano nel suo campo, rispettando, senza esserne subalterna, il ruolo e le prerogative della magistratura.
Peccato che pochi giornalisti sembra che abbiano sentito l’intervento del ministro Boschi, perché quasi tutti continuano a parlare di figli e figliastri per la diversità di atteggiamento tenuto con Gentile e con i quattro sottosegretari.
Forse in questi venti anni molti giornalisti si sono formati tra i venti di guerra e non riescono, non dico a togliersi l’elmetto, ma nemmeno a mettere in moto il senso critico.
Peccato che la loro propaganda urlata pretendono di chiamarla informazione.