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TAURIANOVA (RC), GIOVEDì 02 MAGGIO 2024

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Depuratori delle acque e polemiche strumentali. Un problema nazionale non locale

Depuratori delle acque e polemiche strumentali. Un problema nazionale non locale

Editoriale di Antonio Giangrande

Depuratori delle acque e polemiche strumentali. Un problema nazionale non locale

Editoriale di Antonio Giangrande

 

 

Come si butta via l’acqua. Lo spreco di una risorsa naturale essenziale per
la vita e lo sviluppo economico.

Diritto alla salute o idolatria naturista? Politica malsana o interessi
economici? Disatteso fabbisogno di acqua o inquinamento delle acque
superficiali? Tutto questo parlame coinvolge tutti i cittadini, mentre la
magistratura sta a guardare…..

«Per secoli si sono sversate in falda sotterranea o nei canali di scolo le
acque reflue di origine urbana, quando esse non erano riutilizzate. La
natura auto depurava l’insano liquido. Poi con l’industrializzazione sono
nati i problemi di inquinamento delle risorse idriche. E sono nati i
depuratori ed il business del trattamento delle acque reflue. Oggi è una
vergogna solo starne a parlare. Scegliere tra il riuso e lo spreco o
l’inquinamento? Solo i mentecatti possono decidere di buttare a mare una
risorsa naturale limitata! Solo i criminali scelgono di inquinare l’ambiente
e impedire lo sviluppo economico!»

Questo denuncia il dr Antonio Giangrande, presidente della “Associazione
Contro Tutte le Mafie” ed autore del libro “Ambientopoli” pubblicato su
Amazon.

Si definisce trattamento delle acque reflue (o depurazione delle acque
reflue) il processo di rimozione dei contaminanti da un’acqua reflua di
origine urbana o industriale, ovvero di un effluente che è stato contaminato
da inquinanti organici e/o inorganici. Le acque reflue non possono essere
reimmesse nell’ambiente tal quali poiché i recapiti finali come il terreno,
il mare, i fiumi ed i laghi non sono in grado di ricevere una quantità di
sostanze inquinanti superiore alla propria capacità autodepurativa. Il
trattamento di depurazione dei liquami urbani consiste in una successione di
più fasi (o processi) durante i quali, dall’acqua reflua vengono rimosse le
sostanze indesiderate, che vengono concentrate sotto forma di fanghi, dando
luogo ad un effluente finale di qualità tale da risultare compatibile con la
capacità autodepurativa del corpo ricettore (terreno, lago, fiume o mare
mediante condotta sottomarina o in battigia) prescelto per lo sversamento,
senza che questo ne possa subire danni (ad esempio dal punto di vista
dell’ecosistema ad esso afferente). . Il ciclo depurativo è costituito da
una combinazione di più processi di natura chimica, fisica e biologica. I
fanghi provenienti dal ciclo di depurazione sono spesso contaminati con
sostanze tossiche e pertanto devono subire anch’essi una serie di
trattamenti necessari a renderli idonei allo smaltimento ad esempio in
discariche speciali o al riutilizzo in agricoltura tal quale o previo
compostaggio.

Il problema che ci si pone è: la depurazione è effettivamente eseguita? Le
acque reflue depurate dove possono essere reimmesse? In grandi vasche o
bacini per il riuso in agricoltura od industria, o smaltite inutilizzate in
mare o nei fiumi? Quale è la valenza economica per tale decisione? Quale
conseguenza ci può essere se la depurazione è dichiarata tale, ma non è
invece effettuata?

L’acqua di riuso, costa di più dell’acqua primaria, sotterranea o
superficiale, per questo è conveniente smaltire ed inquinare il mare con le
acque che i gestori dicono essere depurate. Affermazioni infondate? No!
Peggiora lo stato di salute del nostro mare. Imputato numero uno è la «mala
depurazione»: 130 i campioni risultati inquinati dalla presenza di scarichi
fognari non depurati – uno ogni 57 km di costa – sul totale delle 263
analisi microbiologiche effettuate dal laboratorio mobile di Goletta Verde,
storica campagna di Legambiente, in quest’estate. Un dato in aumento
rispetto all’anno precedente,quando era risultato inquinato 1 punto ogni
62km.

Su queste basi ultimamente è salita alla ribalta la presa di posizione con
relative proteste di alcune località costiere. La popolazione non vuole lo
scarico a mare. Ma come sempre nessuno li ascolta.

Ogni estate la bellezza incontaminata del nostro mare è messa a rischio
dalla pessima gestione di depuratori e scarichi a mare da parte di
istituzioni e amministrazioni pubbliche. Ed il turismo ne paga le
conseguenze. E’ da qualche anno ormai che l’inizio della bella stagione ci
pone l’inquietante dubbio di quale sarà il tratto di costa a chiazze marroni
che dovremo evitare e, quel che è peggio, leggiamo distrattamente delle
proteste del comitato di turno, quasi la cosa non riguardasse tutti noi. La
situazione è molto delicata e non mette a rischio solo ambiente e salute, ma
anche la possibilità di fare del nostro mare il principale volano di
sviluppo del territorio. Le maggiori criticità riguardano i comuni di
Manduria, Lizzano, Pulsano e il capoluogo Taranto ed è perciò facile capire
come la situazione vada letta nel suo insieme, poiché finisce per riguardare
tutta la litoranea orientale.

Oggi in Puglia il servizio di depurazione copre il 77% del fabbisogno
totale, secondo i dati forniti dal Servizio di tutela delle acque della
Regione e contenuti nel Piano di tutela delle acque. Numeri che evidenziano
come poco meno di un milione di cittadini pugliesi scarica i propri reflui
senza che questi vengano depurati. Sono 187 i depuratori che coprono il
servizio su tutto il territorio regionale, ma su cui insistono ancora
problemi di funzionamento, criticità e situazioni irrisolte che in alcuni
casi rendono inefficace la depurazione dei reflui. Innanzitutto c’è la
questione dei 13 impianti che scaricano in falda, con grave rischio di
inquinamento delle acque sotterranee. Poi ci sono i depuratori che
presentano problemi nel funzionamento e i cui scarichi risultano non
conformi, come certificano i dati Arpa relativi al 2012. La causa di queste
anomalie deriva dal cattivo funzionamento degli impianti, causato in alcuni
casi anche all’ingresso nei depuratori di reflui particolari (scarti
dell’industria casearia o olearia, industriali o un apporto eccessivo di
acque di pioggia spesso legate alla incapacità dei tessuti urbani di drenare
l’acqua). Un problema che riguarda il 39% degli impianti a livello regionale
secondo i dati a disposizione dell’Acquedotto pugliese, ma che in alcune
province arriva ad oltre l’80%, come nel caso dei depuratori della BAT. La
Puglia, inoltre, come si evince dal dossier Mare Monstrum di Legambiente, è
la quarta regione a livello nazionale per numero di illeciti legati
all’inquinamento del mare riscontrati, con 261 infrazioni, pari al 10,1% sul
totale, 328 fra le persone denunciate e arrestate e 156 sequestri.

Le norme violate sono quelle previste dal Decreto Legislativo 3 aprile 2006,
n. 152, Norme in materia ambientale e comunque il reato contestato è il
getto pericoloso di cose. Ma non tutte le procure della Repubblica si
muovono all’unisono.

Avetrana, Pulsano, Lizzano, Nardò, ecc. Il problema, però, come si evince,
non è solo pugliese. Il riuso delle acque nessuno lo vuole. Eppure il
fabbisogno di acqua cresce. Recentemente, con la crescita della sensibilità
ambientale in tutto il pianeta, il tema del riutilizzo delle acque si sta
diffondendo sempre più: anche l’Unione Europea si è spesso occupata di
riutilizzo delle acque reflue, ma solo recentemente questo tema è entrato
nel Piano di Azione volto ad individuare criteri e priorità per il
finanziamento di nuovi progetti nel campo della gestione delle risorse
idriche. Il riutilizzo in agricoltura delle acque usate è una pratica
diffusa in molti paesi e sempre più spesso raccomandata dagli organismi
internazionali che promuovono lo sviluppo sostenibile; tra i paesi che hanno
la maggior esperienza nel settore è bene ricordare gli Stati Uniti e lo
Stato di Israele.

La vicepresidente e assessore all’Assetto del Territorio, Angela Barbanente,
ha diffuso questa nota sulla questione della depurazione in Puglia. «La mia
opinione è che “la politica si manterrà chiacchierona, rincorrendo ora l’uno
ora l’altro contestatore” sino a quando, in questo come in altri campi,
mancherà di una visione chiara, condivisa, realizzabile. La visione che
occorre perseguire, questa sì senza tentennamenti se si hanno a cuore la
salvaguardia e il risanamento dell’ambiente, e quindi la salute dei
cittadini, dovrebbe innanzitutto prevedere il massimo possibile riutilizzo
delle acque depurate in agricoltura o per usi civili. Non è ammissibile,
infatti, che nella Puglia sitibonda si butti in mare l’acqua depurata mentre
nei paesi nordeuropei ricchi di acque superficiali si adottano
ordinariamente reti duali per evitare di sprecare la risorsa! Inoltre, ove
possibile e specialmente nelle aree turistiche, si dovrebbe fare ricorso a
tecnologie di depurazione naturale quali il lagunaggio o la
fitodepurazione.»

Non ha tutti i torti e sentiamo di sposare le sue parole. Nell’ultimo
decennio sono state registrate annate particolarmente siccitose con una
ridotta disponibilità di risorse idriche tradizionali. Le cause sono dovute
in parte ai mutamenti meteo climatici ma anche al crescente peso demografico
e turistico, ai maggiori fabbisogni connessi allo sviluppo economico
industriale, agricolo (anche se in questi ultimi anni pare affermarsi
un’inversione di tendenza complice la crisi economica) e civile. Ciò implica
la necessità di avviare cambiamenti radicali nei comportamenti e nelle
abitudini di cittadini e aziende finalizzati al risparmio idrico, di
reperire nuove fonti di approvvigionamento e al contempo di incentivare in
tutte le forme possibili il riuso delle acque depurate. Il riutilizzo delle
acque reflue costituisce una fonte di approvvigionamento idrico alternativo
ai prelievi da falda, e rappresenta una buona pratica di gestione
sostenibile delle acque che consente di fronteggiare lo stato di crisi
quali-quantitativa in cui versa la risorsa idrica. Infatti attraverso il
riutilizzo si limita il prelievo delle acque sotterranee e superficiali e si
riduce la riduzione dell’impatto degli scarichi sui corpi idrici recettori.

Questa lotta di civiltà ci deve coinvolgere tutti, senza tentennamenti ed
ipocrisie, fino all’estremo gesto di non votare più i nostri partiti di
riferimento con gli amministratori regionali che decidono contro gli
interessi della collettività.

E passiamo oltre al fatto che i sindaci ci obbligano a contrarre in termini
perentori il servizio di smaltimento delle acque con i gestori locali, che
sono anche i gestori dei depuratori. I sindaci si mettono a posto per
eventuali screzi legali. I cittadini pagano un oneroso tributo in termini di
spese di allaccio e di smaltimento per un servizio che non si sa se e quando
si attiverà. Un altro balzello che si dovrebbe invece chiamare “Pizzo”.

Dr Antonio Giangrande

Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia