Houston abbiamo un problema, la politica (locale) non si vergogna più, Dante è in fin di vita, ma Beatrice non lo sa! Storie di ordinaria arroganza, di carenza di vergogna, di morali al vento in mutande scolorate dalla candeggina…e dall’usura del costante “riuso”!
redazione | Il 21, Dic 2024
Di GiLar
Nel 2013, Governo Enrico Letta, fu nominata Ministro per le Pari Opportunità e lo Sport Josefa Idem (che non è una creatura di Nino Caridi), ma un ex senatore della Repubblica, e prima ancora una grande sportiva, campionessa olimpica, mondiale ed europea. Il suo mandato da Ministro della Repubblica finì prestissimo perché si dimise per una “banalità” ovvero, una presunta evasione Ici e Imu, roba che oggi viste le accuse ad alcuni ministri in carica farebbero sorridere.
La seconda è uno slogan riveduto, ma in voga in diverse amministrazioni locali, “Toglietemi tutto, tranne la mia poltrona”.
Una volta quando la politica aveva una coscienza morale, una “soglia del ridicolo”, si sentiva spesso la frase, durante i dibattiti tra oppositori, “Ma non si vergogna?”. Oggi non si sente più (sic!). Oggi non ci si chiede “Perché mai dovrei vergognarmi?”. Eppure ne sono accaduti motivi per provare quel sentimento nobile qual è la vergogna, ma è oramai una parola scomparsa. La vergogna si prova come forma di sentimento se si è compiuto un atto che la morale condanna, insieme alla propria coscienza. Si parla spesso di cultura, libri e di grandi temi umanistiche, però si è perso il senso dell’umiliazione in politica e di conseguenza la vergogna, e la risposta è che possiamo dire senza paura di essere smentiti che si è venduta la coscienza morale e non ci si vergogna più.
I cambi casacca, i giuramenti farlocchi sulla testa dei propri figli (che non vengono lasciati in pace), la precaria rettitudine morale dei nuovi protagonisti che alla fine sono come la frase del Cyrano di Guccini, “politici rampanti…ruffiani e mezze calze”.
Una volta la politica locale era la fucina della nuova classe dirigente, oggi invece è “Sto con l’onorevole tizio o caio perché poi deve sistemarmi (o un congiunto come moglie, figli, etc), in qualche struttura, ma lo dicono senza vergogna eh, non hanno quel “normale” pudore anche di vergognarsi ad uscire di casa, no, fanno anche la morale come dei Kant o Voltaire nati per intercessione di una fontana della verginità e allevati da un bradipo delle favelas.
A volte dire ciò che si pensa c’è il serio rischio di apparire come “detrattori”, “dissacranti” di ciò che si fa e che mentre altri operano, la critica non è concessa perché stare a guardare e criticare, è più comodo. Come se ai filosofi o ai critici d’arte non è concesso dire la loro sugli eventi sociali o che ne so, su un quadro dipinto dal Caravaggio. Ma la critica, stupidi che non siete altro, è soprattutto un concetto democratico, una reale condizione di libertà conquistata negli anni e non senza aver versato del sangue.
Detto ciò e osservando in quei pochi sprazzi di visibile testimonianza, sia dal vivo che dentro a qualche social, vengono in mente le parole di Ennio Flaiano quando affermò che oggi più che mai “dev’esserci qualcuno che continua a spostare la soglia del ridicolo, altrimenti non si spiegherebbe.
Diversamente allora si rischia di inabissarsi in un percorso dove le competenze umanistiche devono farsi da parte per fare spazio alla scienza della salute mentale, e qui entra in gioco la medicina.
C’è una continua voglia di apparire che è patologica quasi da ricoveri coatti, non si perde occasione per mettersi in mostra (ma ad ogni livello, dal politico, al giornalista, all’educatrice fino agli alti livelli), come se la propria vita fosse “proprietà” di tutti, anche quando si inaugura un’aiuola dove poi verranno piantati dei fiori finti (più attinenti ai protagonisti d’altronde), per poi fare la figura come tanti pagliacci circensi, da non confonderli con i giullari in quanto quest’ultimi sono altra e ben nobile funzione.
Lo diciamo con grande preoccupazione, siamo in piena ondata di un “analfabetismo funzionale”, misto ad arroganza con cenni di forti carenze rudimentali, ma soprattutto di quello che riguarda un sentimento nobile qual è la vergogna. Non ci si vergogna più (sic!). D’altronde per provare tale sentimento occorre avere una condizione propedeutica ovvero la consapevolezza dell’umiliazione che non c’è o si fa finta pur di mantenere un posto di potere si calpesta dignità e coscienza (?).
Tra “analfabetismo funzionale” e “soglia del ridicolo” in movimenti, la soluzione dovrebbe, ma ci auguriamo di no, sarebbe solo una: la ricerca medica con diagnosi e terapia!
Perché non tira una buona aria politicamente, tra chi è consumato da rancori, veleni e qualche rimasuglio di un “vecchio merletto” ed un modus politico 3.0 definito da importanti filosofi contemporanei, “Il ballo del ‘ndo cojo cojo” purchè si mangia e si sopravvive a qualche prebenda e magari ancora rimangono le possibilità di una sfilata alla Madame Tussauds in salsa tonnata con fondotinta in maionese e rimmel al nero di seppia. Quando l’umiltà, la coscienza morale e la consapevolezza del ridicolo fanno spazio all’arroganza, occorre intervenire per mitigare gli effetti.
Inizia quello che, scomodando Guccini che “Ho tante cose ancora da raccontare per chi vuole ascoltare e a culo tutto il resto”.