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TAURIANOVA (RC), DOMENICA 05 MAGGIO 2024

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Cuzzocrea (Confindustria Reggio) scrive al sottosegretario Del Basso De Caro

“Se riparte Gioia Tauro, riparte l’Italia. Investire sul retroporto”

Cuzzocrea (Confindustria Reggio) scrive al sottosegretario Del Basso De Caro

“Se riparte Gioia Tauro, riparte l’Italia. Investire sul retroporto”

 

 

Il presidente di Confindustria Reggio Calabria, Andrea Cuzzocrea, ha scritto al sottosegretario ai Trasporti, Umberto Del Basso De Caro, per sottoporre all’esponente del governo Renzi l’urgenza di provvedimenti a favore del porto di Gioia Tauro e dell’intera area che gravita attorno a una delle più grandi infrastrutture del Mediterraneo. Secondo il massimo rappresentante degli industriali reggini, “il porto rappresenta una delle pochissime speranze che alla Calabria e ai calabresi siano ancora concesse per costruire un futuro di progresso e di benessere e per affrancarsi dalla condizione di sottosviluppo alla quale, fin dall’Unità d’Italia, il Mezzogiorno è stato relegato. Nella cornice di una questione meridionale ancora oggi drammaticamente attuale – prosegue Cuzzocrea – la Calabria costituisce la frontiera più esposta e più a rischio del Paese: un’area in cui l’incapacità e la miopia della politica, da decenni, hanno precluso qualsiasi possibilità di crescita del territorio; in cui la malaburocrazia ha soffocato qualsiasi iniziativa economica faticosamente germogliata; in cui l’aggressione delle forze criminali al tessuto sano della società e dell’imprenditoria procede inesorabilmente, cagionando il collasso delle strutture socioeconomiche e produttive virtuose, che costituirebbero un robusto argine al dilagare dell’illegalità e del degrado culturale, morale e politico di questa comunità”.
Nella missiva si legge: “Il modello Gioia Tauro, ad avviso dell’Associazione che rappresento, inizia a mostrare crepe che generano preoccupazione sulla sostenibilità di un sistema che, così com’è, rischia di disgregarsi molto rapidamente. L’attività di transhipment non è più sufficiente a garantire un futuro al porto e all’area di cui esso è il baricentro economico, coincidente in massima parte con la regione Calabria. Oggi il principale terminalista, MCT, mantiene livelli alti di operatività grazie al rapporto instaurato con alcuni grandi armatori, che accettano di fare scalo a Gioia Tauro nonostante l’esosità di accise e tasse di ancoraggio, decisamente più alte rispetto ai porti competitor, ancorché calmierate con provvedimenti periodici dei governi nazionali”. Non meno rilevante, spiega Cuzzocrea, è il tema del cuneo fiscale che rende più costoso il lavoro in Calabria rispetto agli altri porti internazionali.
Il presidente di Confindustria parla espressamente della vertenza che in queste settimane sta interessando alcuni dipendenti delle imprese terziste e che lunedì sarà affrontata dalla Direzione territoriale del lavoro: “Nel momento in cui una delle due società terminaliste, che opera nell’import-export del comparto automotive, ha visto ridursi drasticamente il proprio volume d’affari per la diminuzione delle commesse, l’intero sistema economico dell’area di Gioia Tauro è stato messo in enorme difficoltà. Nascono così i 12 licenziamenti che le tre aziende di rizzaggio operanti nel porto hanno dovuto irrogare per giustificato motivo oggettivo, nel pieno rispetto della legge Fornero. Tale vicenda, che ha palesato un grave deficit di maturità nelle relazioni industriali con episodi inaccettabili di picchettaggio ai limiti dell’intimidazione, dimostra la fragilità dell’economia legata al porto”.
Per non far morire Gioia Tauro, sostiene Confindustria Reggio Calabria, è “indispensabile investire sulla crescita dell’economia reale nell’area retroportuale, creando le condizioni affinché nasca un tessuto produttivo oggi completamente inesistente. Solo la nascita di insediamenti industriali, la creazione di posti di lavoro, la produzione di valore aggiunto possono salvare questa terra dal naufragio sociale ed economico”. In questo senso nella lettera al sottosegretario viene espresso il timore che la Zes venga “istituita in altre aree del Paese. Riteniamo che, quando l’Italia sarà nelle condizioni di ottenere un’area tax free (molte nazioni dell’est europeo l’hanno ottenuta, non comprendiamo quali siano le difficoltà), la localizzazione debba tener conto dei principi solidaristici che devono improntare l’azione dello Stato. Anche perché siamo stati noi i primi a chiederla, sia come industriali, sia con un provvedimento della Regione, sia con un apposito progetto di legge nazionale”. Confindustria sollecita inoltre la sottoscrizione in tempi brevi del contratto d’investimento per Gioia Tauro e l’attivazione dell’APQ sul polo logistico intermodale, auspicando un “pieno spirito di collaborazione istituzionale” per uscire dalla crisi e chiudendo con un appello a occuparsi del porto, perché “se riparte Gioia Tauro, riparte il Sud. E se riparte il Sud, riparte l’Italia”.

ECCO LA LETTERA:

Onorevole Sottosegretario,

il porto di Gioia Tauro rappresenta una delle pochissime speranze che alla Calabria e ai calabresi siano ancora concesse per costruire un futuro di progresso e di benessere e per affrancarsi dalla condizione di sottosviluppo alla quale, fin dall’Unità d’Italia, il Mezzogiorno è stato relegato.

Nella cornice di una questione meridionale ancora oggi drammaticamente attuale, la Calabria costituisce la frontiera più esposta e più a rischio del Paese: un’area in cui l’incapacità e la miopia della politica, da decenni, hanno precluso qualsiasi possibilità di crescita del territorio; in cui la malaburocrazia ha soffocato qualsiasi iniziativa economica faticosamente germogliata; in cui l’aggressione delle forze criminali al tessuto sano della società e dell’imprenditoria procede inesorabilmente, cagionando il collasso delle strutture socioeconomiche e produttive virtuose, che costituirebbero un robusto argine al dilagare dell’illegalità e del degrado culturale, morale e politico di questa comunità.

In una terra che vanta, suo malgrado, numerosi primati negativi – dal tasso di disoccupazione giovanile al prodotto interno lordo regionale – Gioia Tauro ha continuato a rappresentare un’eccezione, un’opportunità, un’eccellenza.

Anche adesso, in una fase congiunturale estremamente complessa e con tutti i limiti di competitività ed attrattività che l’ordinamento italiano presenta, questo è il terzo scalo container del bacino del Mediterraneo. Grazie alla sua posizione strategica, alle caratteristiche delle banchine dal pescaggio molto profondo e alla presenza di un terminalista che garantisce collegamenti diretti con oltre 120 destinazioni, qui è stato possibile realizzare un polo competitivo a livello internazionale e fondato sull’efficienza garantita dalle aziende che vi lavorano.

Eppure il modello Gioia Tauro, ad avviso dell’Associazione che rappresento, inizia a mostrare crepe che generano preoccupazione sulla sostenibilità di un sistema che, così com’è, rischia di disgregarsi molto rapidamente.

L’attività di transhipment non è più sufficiente a garantire un futuro al porto e all’area di cui esso è il baricentro economico, coincidente in massima parte con la regione Calabria.

Oggi il principale terminalista, MCT, mantiene livelli alti di operatività grazie al rapporto instaurato con alcuni grandi armatori, che accettano di fare scalo a Gioia Tauro nonostante l’esosità di accise e tasse di ancoraggio, decisamente più alte rispetto ai porti competitor, ancorché calmierate con provvedimenti periodici dei governi nazionali.

Non meno rilevante è il tema del costo del lavoro: qui più che altrove, nell’ambito di un mercato globale in cui la concorrenza opera rispondendo a normative totalmente diverse, emerge in tutta la sua gravità la questione del cuneo fiscale che fa schizzare alle stelle il “costo azienda” a fronte dell’effettiva retribuzione erogata ai lavoratori.

In questo scenario, anche un porto come quello di Gioia Tauro, dalle enormi potenzialità, rischia di perdere gran parte della sua capacità di incidere positivamente sull’economia del territorio. Una prospettiva che rischierebbe fatalmente di avverarsi qualora l’attività di questo sistema restasse confinata al perimetro delle banchine e dunque al transhipment.

Ciò che è accaduto nelle ultime settimane, onorevole Sottosegretario, è emblematico. Nel momento in cui una delle due società terminaliste, che opera nell’import-export del comparto automotive, ha visto ridursi drasticamente il proprio volume d’affari per la diminuzione delle commesse, l’intero sistema economico dell’area di Gioia Tauro è stato messo in enorme difficoltà. Nascono così i 12 licenziamenti che le tre aziende di rizzaggio operanti nel porto hanno dovuto irrogare per giustificato motivo oggettivo, nel pieno rispetto della legge Fornero.

Tale vicenda, che ha palesato un grave deficit di maturità nelle relazioni industriali con episodi inaccettabili di picchettaggio ai limiti dell’intimidazione, dimostra la fragilità dell’economia legata al porto.

Per non far morire Gioia Tauro è dunque indispensabile investire sulla crescita dell’economia reale nell’area retroportuale, creando le condizioni affinché nasca un tessuto produttivo oggi completamente inesistente. Solo la nascita di insediamenti industriali, la creazione di posti di lavoro, la produzione di valore aggiunto possono salvare questa terra dal naufragio sociale ed economico.

Questa Confindustria territoriale ha da oltre due anni sollecitato l’istituzione di una zona economica speciale nei comuni che circondano il porto. Il 14 agosto scorso, in occasione della visita del presidente Renzi, abbiamo appreso che il governo non è nelle condizioni di assumere impegni in tal senso. Come rappresentanti del mondo degli industriali non possiamo non manifestare la nostra delusione. Soprattutto, non vorremmo che la Zes venisse istituita in altre aree del Paese. Riteniamo che, quando l’Italia sarà nelle condizioni di ottenere un’area tax free (molte nazioni dell’est europeo l’hanno ottenuta, non comprendiamo quali siano le difficoltà), la localizzazione debba tener conto dei principi solidaristici che devono improntare l’azione dello Stato. Anche perché siamo stati noi i primi a chiederla, sia come industriali, sia con un provvedimento della Regione, sia con un apposito progetto di legge nazionale.

Il presidente del Consiglio ha pubblicamente chiesto il presidente di Invitalia, ricevendo un tempestivo riscontro dai vertici di Medcenter, di sottoscrivere un contratto d’investimento per Gioia Tauro. Chiediamo che questo procedimento si svolga nel più breve tempo possibile perché non siamo più nelle condizioni di aspettare. D’altra parte, onorevole Sottosegretario, noi industriali sollecitiamo da anni e con forza l’attivazione dell’APQ sul polo logistico intermodale, che prevede stanziamenti complessivi per 450 milioni di euro nell’area retroportuale, mai partiti. È lecito domandarsi perché?

Lo chiediamo senza polemica alcuna, ma con pieno spirito di collaborazione istituzionale, convinti che solo dal contributo di tutti gli attori della vita pubblica e del sistema politico ed economico si possa uscire da questa difficilissima crisi.

Noi, che crediamo fortemente nei valori della Costituzione che definisce l’Italia “una e indivisibile”, siamo certi che solo la crescita del Mezzogiorno possa attivarsi un circuito virtuoso in grado di risollevare le sorti del Paese e riattivare la settima economia del mondo, la terza più industrializzata dell’Eurozona.

Se riparte Gioia Tauro, riparte il Sud. E se riparte il Sud, riparte l’Italia.

Deferenti ossequi.

Andrea Cuzzocrea

(Presidente Confindustria Reggio Calabria)