A Nocera Terinese ritorna il secolare rito dei “Vattienti” nella Settimana Santa
redazione | Il 03, Apr 2012
Si tratta di uomini qualunque che durante la processione della Madonna Addolorata, scelgono di configurarsi come il Cristo, flagellandosi pubblicamente, con tanto di corona di spine posta sul capo
di LINA LATELLI NUCIFERO
A Nocera Terinese ritorna il secolare rito dei “Vattienti” nella Settimana Santa
Si tratta di uomini qualunque che durante la processione della Madonna Addolorata, scelgono di configurarsi come il Cristo, flagellandosi pubblicamente, con tanto di corona di spine posta sul capo
di Lina Latelli Nucifero
Da secoli a Nocera Terinese si ripete un rito, in molti casi tramandato da padre in figlio, denominato dei “Vattienti” i quali mortificano pubblicamente il loro corpo con la flagellazione fino a far sgorgare il sangue dalle ferite provocate dal “cardu”, un disco di sughero su cui sono infissi tredici acuminati pezzetti di vetro, detti “lanze”. Prima, però, si “iperemizzano o si arrosano”, come si suole dire in gergo, le cosce e i polpacci con le mani e poi con la “rosa”, un disco di sughero. È una pratica assai cruenta compiuta, da alcuni la sera del venerdì Santo, da altri nel corso del Sabato Santo, sia per penitenza che per devozione o soddisfazione di un voto durante la processione della Pietà, opera lignea di pregevoli scultori di una scuola napoletana del secolo XVI. Nel corso della flagellazione, i penitenti si fermano davanti alle abitazioni di parenti, amici, sul sagrato delle chiese, ai piedi della Vergine Addolorata, vestiti con una maglietta nera e un pantaloncino corto che lascia scoperte le gambe e le cosce destinate al supplizio.
Si assiste così ad uno spettacolo cruento durante il quale il flagellante, con il capo cinto con una corona di spine fatta di “sparacogna” (asparago selvatico) e adagiata su un panno nero, detto “mannile”, percorre le vie del paese legato con una lunga corda all’Ecce homo che porta sulle spalle una croce con i bracci obliqui avvolta da bende e nastri di tessuto scarlatto. Anche lui è scalzo, come il Vattiente, e porta sul capo una corona fatta con la “spina santa”, dai rami lunghi ed aculei. Il Vattiente, completato il giro, ritorna nei locali della preparazione, si deterge le ferite con un infuso di acqua e rosmarino e si unisce ai fedeli che seguono la processione. Incerta è l’origine dei Vattienti. Secondo alcune testimonianze sembra che essi si riallaccino ad un movimento religioso, fondato a Perugia dal mistico Raniero Fasani, fra il 1259 e il 1260, che, annunciando l’ ira e il giudizio di Dio contro l’ umanità corrotta, si sottoponeva pubblicamente all’ autoflagellazione sulle spalle per espiare i peccati dell’ umanità e invitava la gente a pentirsi. Ben presto il movimento raggiunse i 10.000 membri e si diffuse in tutta Europa nonostante l’ostilità di Manfredi, re di Sicilia e della chiesa e delle autorità civili essendo i flagellanti diventati aggressivi verso gli ebrei in Germania e in Olanda. Il rapido diffondersi in Europa della peste fra il 1347 e il 1350 incoraggiò invece la rinascita del movimento. Nel 1349 papa Clemente VI dichiarò i flagellanti eretici e si adoperò per disperderli. Una ripresa del movimento in Germania nei primi anni del XV secolo portò alla condanna definitiva dei flagellanti da parte del concilio di Costanza (1414-1418) che li dichiarò eretici. La Chiesa ufficiale ha sempre condannato o ignorato i Vattienti. A partire dagli anni 1950 vari sono stati i tentativi, anche con l’intervento della polizia, di sopprimere i Vattienti di Nocera Terinese come quello di monsignor Eugenio Giambro, vescovo di Nicastro che vietò tale forma di penitenza e del Vescovo di Tropea monsignor Agostino Saba. I tentativi risultarono vani. In tempi più recenti un giudizio negativo è stato espresso da monsignor Ferdinando Palatucci il quale giudicava il rito dei Vattienti come «pagano e magico» e sperava che la situazione «incresciosa» si potesse modificare attraverso un lungo lavoro di evangelizzazione. Un miglioramento di giudizio si è verificato durante l’episcopato di monsignor Vincenzo Rimedio, che, dopo aver incontrato alcuni vattienti, ha avuto per loro parole di profonda comprensione e ha sostenuto che «essi non si battono per esibizione ma per soddisfare un voto (il voto è una promessa fatta al Signore o alla Madonna) e in essi, perciò, c’è sempre un senso religioso che dobbiamo rispettare». Un altro intervento autorevole è stato fatto dal Cardinale Ersilio Tonini, il quale, nel corso di una interessante serata televisiva, ha dichiarato:« La flagellazione è quasi sempre voler partecipar alle sofferenze del Signore e i “vattienti” richiamano l’uomo a prendere coscienza di quanto Gesù ha sofferto per la salvezza dell’umanità. Dinanzi all’imperversare di delitti, vergogne e orrori, si sente il bisogno della penitenza per riconoscere Dio come Padre ed esprimere attraverso il corpo lo struggimento dell’anima. È questa dunque – conclude il Cardinale Tonini – una grande e vera modernità: la liberazione, la capacità di portare il proprio animo a non sentire più il peso del passato e recuperare energie da mettere a disposizione del bene comune».
Lina Latelli Nucifero