“Ho ucciso Lea in preda ad un raptus, mi aveva offeso”. Carlo Cosco racconta in aula le fasi dell’omicidio
redazione | Il 16, Apr 2013
Un delitto di impeto e non un omicidio premeditato e imposto dalle leggi della ‘ndrangheta. Questo è stato l’omicidio di Lea Garofalo, la testimone di giustizia sequestrata e uccisa nel novembre del 2009 a Milano, nel racconto del suo ex marito già condannato all’ergastolo in primo grado. «L’ho presa a pugni e buttata per terra». Intanto il consulente della Procura conferma che le ossa ritrovate appartengono alla donna
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“Ho ucciso Lea in preda ad un raptus, mi aveva offeso”. Carlo Cosco racconta in aula le fasi dell’omicidio
Un delitto di impeto e non un omicidio premeditato e imposto dalle leggi della ‘ndrangheta. Questo è stato l’omicidio di Lea Garofalo, la testimone di giustizia sequestrata e uccisa nel novembre del 2009 a Milano, nel racconto del suo ex marito già condannato all’ergastolo in primo grado. «L’ho presa a pugni e buttata per terra». Intanto il consulente della Procura conferma che le ossa ritrovate appartengono alla donna
MILANO – Un delitto di impeto, un «raptus» e non un omicidio premeditato e imposto dalle leggi della ‘ndrangheta. Questo è stato l’omicidio di Lea Garofalo, la testimone di giustizia sequestrata e uccisa nel novembre del 2009 a Milano, nel racconto del suo ex marito Carlo Cosco, già condannato all’ergastolo in primo grado e che oggi, durante un’udienza del processo d’appello, ha voluto raccontare la sua versione dei fatti.
«Non volevo uccidere la madre di mia figlia Denise», ha ripetuto più volte Cosco, che ha ricostruito quanto accadde la sera del 24 novembre 2009 quando, stando al suo racconto, si trovò con Carmine Venturino e Lea Garofalo nell’abitazione di un loro amico, Massimo Floreale. «Volevo fare vedere quella casa a Lea perchè poi a Natale volevo fare una sorpresa e portarci mia figlia Denise. Le ho mostrato il bagno e le stanze e, mentre ho detto a Venturino di fare un caffè, non so cosa è successo… Lea mi ha detto delle brutte parole e che non mi avrebbe più fatto vedere Denise e non ci ho visto più… L’ho presa a pugni e buttata per terra con la testa…».
Sempre stando al racconto di Carlo Cosco, Venturino gli avrebbe detto ‘cosa stai facendo, l’ammazzi?’. «E’ successo quello che non doveva succedere, allora ho preso un lenzuolo nell’armadio – ha proseguito Cosco – e ce l’ho messa dentro, con gli stracci ho raccolto il sangue, ho preso i due telefoni di Lea dalla borsa». «Venturino era completamente morto, gli ho dovuto buttare dell’acqua addosso perchè non si riprendeva… poi gli ho detto di chiamare Rosario Curcio e farsi dare una mano per fare sparire il corpo». Questa versione di Cosco si discosta notevolmente da quella raccontata nelle scorse udienze da Carmine Venturino, che è stato condannato all’ergastolo in primo grado e poi ha deciso di rivelare particolari inediti sull’omicidio dal carcere. Secondo il pentito, quello di Lea Garofalo fu un omicidio preceduto da pedinamenti e tentantivi di eliminare la testimone di giustizia, colpevole di avere infranto le leggi della ‘ndrangheta. Tutto negato oggi da Cosco che smentisce di appartenere alle ‘ndrine, accusa Venturino di avere fatto ‘un castello di sabbia» e nega anche di avere coltivato il progetto di uccidere anche Denise, come detto sempre da Venturino.
CONSULENTE PM, OSSA SONO DELLA DONNA
MILANO – I 2.812 resti, in particolare frammenti ossei, ritrovati all’interno di un tombino “sono da identificare in Lea Garofalo”. Lo ha spiegato in aula l’antropologa e patologa forense Cristina Cattaneo, consulente della procura nel processo d’appello sull’omicidio della testimone di giustizia, sequestrata e uccisa nel novembre del 2009. Secondo la consulente, le condizioni dei resti ossei ritrovati “sono perfettamente coerenti” con il racconto reso dal pentito Carmine Venturino.
Stamani davanti ai giudici sono stati ascoltati l’antropologa Cattaneo e un archeologo che hanno firmato una consulenza tecnica per il pm Marcello Tatangelo dalla quale risulta la compatibilità dei resti ritrovati in un magazzino a Monza con Lea Garofalo. In sostanza, Cattaneo ha spiegato che le condizioni dei resti rintracciati coincidono con la testimonianza del pentito Carmine Venturino, il quale ha raccontato ai magistrati che il corpo della donna venne bruciato e che le ossa vennero spezzate, mentre il cadavere era in fiamme, con una pala. “C’é l’indicazione certa – ha spiegato l’antropologa – che le ossa sono state frammentate durante le combustione”. Il consulente ha anche escluso che la donna sia stata sciolta nell’ acido, come si era pensato fino alla sentenza di primo grado e prima che il pentito lo scorso luglio facesse nuove rivelazioni sulle modalità dell’omicidio. Il processo dovrebbe proseguire con l’interrogatorio in aula di Carlo Cosco, l’ex compagno di Lea, che nelle scorse udienze ha reso una confessione choc, attribuendosi la responsabilità dell’omicidio dopo oltre tre anni dai fatti.