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TAURIANOVA (RC), SABATO 27 APRILE 2024

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Unità d’Italia

Unità d’Italia

Ecco gli interventi fatti in occasione della seduta straordinaria dell’Assemblea per il 150° anniversario

Unità d’Italia

Ecco gli interventi fatti in occasione della seduta straordinaria dell’Assemblea per il 150° anniversario

 

Ecco gli interventi fatti in occasione della seduta straordinaria dell’Assemblea per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia.

Francesco Talarico: “E’ con sentita emozione che do inizio a questa solenne seduta aperta del Consiglio regionale per celebrare i 150 anni dell’Unità d’Italia. Certo d’interpretare i vostri sentimenti, desidero rivolgere a ciascuna donna e a ciascun uomo, figli di questa terra di Calabria, un augurio sincero per la celebrazione di questo anniversario. Sono tante le iniziative che in questi giorni si stanno susseguendo nella nostra regione a testimonianza del forte legame della nostra comunità con gli ideali della patria. Questa giornata deve far rivivere alla memoria e al cuore di ognuno di noi i protagonisti degli eventi che portarono all’unificazione nazionale, per rendere viva e attuale la storia del nostro paese. Senza la memoria del nostro passato, della nostra storia, della nostra cultura, senza la memoria delle vicende storiche che hanno portato all’unità d’Italia saremmo tutti più deboli, poveri e soli di fronte al futuro. Tutti dobbiamo sentire forte il significato di tale evento per rafforzare il sentimento d’identità e di appartenenza.  Il messaggio del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che ho appena letto, che ha voluto rivolgere direttamente alle Assemblee regionali, testimonia la solennità dell’evento che oggi celebriamo. L’inno nazionale che abbiamo ascoltato, la bandiera che è sempre presente in quest’aula, la nostra lingua sono i simboli della nostra italianità, in un’ epoca di globalizzazione e di confronto sempre più frequente con le altre nazioni. Quello dell’unificazione fu un processo lungo e difficile animato da un forte amore per la patria che determinò il sacrificio di tante vite umane per gli ideali di libertà e indipendenza. Anche se la nostra identità risale a prima del Risorgimento, tutti siamo d’accordo che il nostro essere italiani nasce da quel 17 Marzo 1861 e da tutti gli eventi  che lo hanno, nel bene e nel male, preceduto e reso possibile. La nostra Regione diede un grande contributo all’unità e molti furono i calabresi che parteciparono in maniera attiva al processo risorgimentale. Dallo sbarco di Garibaldi a Melito e poi in Aspromonte, ai Fratelli Bandiera che abbracciando gli ideali mazziniani vennero fucilati perché volevano sollevare la Calabria contro il governo borbonico, ai tanti, magari non citati nei libri di storia, che oggi qui vorrei ricordare: dai Martiri di Gerace al generale Stocco con i Cacciatori della Sila, dai fratelli Plutino a Giovanni Nicotera, da Domenico Lamis a Michele Bello. A loro e a quanti si sono sacrificati per rendere possibile, in più momenti storici, la nascita dell’Italia, oggi intendiamo tributare un riconoscimento sentito, un “grazie” che viene dal cuore prima ancora che dalla mente. A loro dobbiamo  essere riconoscenti. Così come è doveroso ricordare i tanti emigrati calabresi che, con le loro braccia e le loro intelligenze, hanno contribuito alla costruzione dell’Italia moderna, ricoprendo con dignità e autorevolezza anche ruoli di grande responsabilità. L’Assemblea legislativa che ho l’onore di presiedere, è la Casa di tutti i Calabresi, il luogo in cui i cittadini sono ugualmente rappresentati. Ed oggi, noi calabresi, che di divisioni purtroppo ne abbiamo conosciute tante ed alcune laceranti, abbiamo l’opportunità di testimoniare, insieme a tutte le rappresentanze religiose, politiche, sociali e culturali, compreso il sistema delle autonomie locali, l’importanza fondamentale dell’Unità. Soltanto un Paese unito, può sperare di affrontare e vincere le grandi sfide che l’economia globale, da un lato, e la modernizzazione dall’altro,  ci mettono costantemente di fronte. Soltanto un Paese unito potrà affrontare la riforma federalista che deve avere come obiettivo primario la valorizzazione delle diversità delle singole identità. Un federalismo solidale che deve unire e non dividere per non vanificare lo spirito e il sacrificio dei nostri padri. Il sentimento nazionale non può cancellare però la consapevolezza che in Italia esiste ancora un divario tra Nord e Sud nonostante le molte politiche adottate a sostegno del Mezzogiorno durante la storia nazionale. Sono fortemente convinto che questo divario socio-economico non potrà mai essere superato senza una classe dirigente consapevole che occorre puntare sulla qualità e sulla meritocrazia. Siamo chiamati oggi a fronteggiare una situazione assolutamente nuova che richiede la giusta attenzione da parte dello Stato. Gli uomini e le donne di questa terra, i giovani, che lottano quotidianamente con pesanti eredità legate a responsabilità locali e nazionali, non hanno da soli gli strumenti adeguati per vincere una partita difficile, dove la ‘ndrangheta e a volte la cattiva amministrazione alimentano il circuito della sfiducia. Ecco perché questa ricorrenza deve diventare un’opportunità per riproporre al dibattito nazionale le difficili condizioni della Calabria, la necessità di farla uscire da una solitudine che frena lo sviluppo , la crescita, la voglia di riscatto e il diritto ad avere una “quotidiana normalità”. Oggi, pur riconoscendo le nostre legittime diversità culturali e politiche, festeggiamo assieme i valori centrali della nostra cittadinanza e del nostro essere persone libere. In questi anni la nostra storia è stata costellata da una serie di avvenimenti, dalla prima guerra mondiale al fascismo, alla sconfitta della seconda, per giungere alla scelta repubblicana e alla Costituzione che rappresenta il momento centrale della nostra esperienza e della nostra vita unitaria. All’origine della Carta Costituzionale, alla sua scrittura e alla sua attuazione, ancora certamente incompleta, bisogna volgere lo sguardo per celebrare questi 150 anni. La Costituzione che pone al centro non lo Stato ma la persona con i diritti e i doveri, nel principio di pari dignità sociale. Concludo augurandomi che questa giornata possa, attraverso il contributo di tutti, far rivivere lo spirito e la tensione storico-politica degli anni antecedenti l’Unità quando, a guidare i nostri patrioti, vi erano valori forti e radicati, principi, sogni, idee  e speranze. Elementi, questi ultimi, che purtroppo sono diventati poco frequenti nel dibattito politico odierno, e dei quali occorre, però, ritrovare urgentemente l’ispirazione. Con queste riflessioni e con l’auspicio che si possa rafforzare sempre di più in ognuno di noi e, soprattutto nelle nuove generazioni, l’amore per la patria – saluto e ringrazio  tutti Voi per la presenza – consapevole di vivere in una Nazione che, pur tra tanti problemi e diversità, mantiene alti i valori della democrazia e della libertà”.

Luigi Fedele: “È con soddisfazione che, a nome della forza politica che rappresento, prendo la parola in questa solenne cerimonia per festeggiare il 150mo compleanno d’Italia! Dobbiamo essere orgogliosi di essere italiani ed orgogliosi di chi l’Italia l’ha voluta e fatta. E questo sentimento occorre avvertirlo sia nel Centro che nel Nord e, a mio avviso, soprattutto nel Mezzogiorno, che alla causa unitaria ha dato uomini e donne, energie e passioni, morti ed immensi sacrifici. E dobbiamo essere orgogliosi,  noi meridionali,  perché, prima che l’Unità fosse conquistata (con il prezioso e generoso contributo anche  dei tantissimi liberali  calabresi, molti dei quali specie dopo la terribile reazione del 1849 furono costretti ad emigrare)     per una serie di vicende  storiche, sociali e culturali, noi meridionali – come ebbe a dire Vincenzo Cuoco a proposito della Rivoluzione Napoletana del 1799 che costituisce secondo molti storici il preludio dell’Unità,  “Non eravamo  nulla”. “Diventammo – ricorda sempre Cuoco ed il riferimento è utile per far comprendere in che condizioni fosse il Mezzogiorno a quei tempi – or Francesi, or Tedeschi, ora Inglesi. Tante volte ci era stato ripetuto che non valevamo nulla, che quasi si era giunto a farcelo credere”. Le condizioni del nostro Sud, specie della Calabria,  erano disastrose, la giustizia amministrata secondo la casta d’appartenenza, i processi inquisitori, la povertà si tagliava a fette per i ceti sociali più deboli. La Calabria, anche a causa del terremoto del 1783,  presentava divergenze insopportabili tra ricchi e poveri,  senza commerci, con un’agricoltura a pezzi, le industrie inesistenti…Non c’erano diritti, c’era la Monarchia  e il suo arbitrio. “Per andare da Reggio a Napoli occorrevano dieci giorni – scrive Pietro Camardella in una monografia sulla spedizione dei Mille – e quando si andava, non solo ci voleva il passaporto che si otteneva con infinite noie, ma bisognava far testamento perché le vie non erano sicure…” A tutto questo paesaggio desolato  ha posto fine l’Unità d’Italia. La nascita dell’Italia, dello Stato italiano, ci ha resi, come meridionali anzitutto, protagonisti del nostro destino, arbitri della nostra vita. Liberi da monarchie e tiranni: questa conquistata indipendenza del nostro Paese merita di per sé di non essere mai dimenticata. Possiamo anche tollerare  polemiche aspre  circa le  ragioni di quella parte del Nord che dà segni d’insofferenza verso l’Unità, o le ragioni di quella parte del Mezzogiorno che non dimentica i Borboni -il Regno più grande d’Europa ai suoi tempi -,  e che ricorda a discredito dell’Italia unita,  la bruttissima pagina del brigantaggio che ebbe come conseguenza una repressione cruenta ed a tratti sanguinosa. Forse su quella pagina l’Italia si dovrebbe soffermare di più. Ci vorrebbe un’ “operazione verità” per ristabilire torti e ragioni, ma questa è un’operazione che spetta agli storici. L’Italia unita, costituzionale e parte integrante e protagonista di un’Europa il cui progetto è presente persino nelle pagine del nostro Risorgimento; l’Italia,  il cui sguardo, soprattutto oggi, è auspicabile  che sia diretto con maggiore efficacia verso le politiche euromediterranee, può tollerare divergenze e contrarietà sul suo atto di nascita, sulle cause del suo lungo concepimento e su taluni episodi salienti del processo che ha avuto come sbocco l’impresa dei Mille e, quindi, la proclamazione dello Stato unitario. Ma ad una condizione: che non si metta in discussione ciò che i nostri padri hanno conquistato  col sangue e l’intraprendenza carica di abnegazione  nel 1861. In tal senso, anche nella qualità di esponente di un partito che tra le sue responsabilità ha la guida del Paese in questa congiuntura economica internazionale assai complessa, ho il dovere di ribadire che per noi NON SI TORNA INDIETRO! Non si mette in discussione il disegno unitario. Un Paese frantumato non sarebbe più l’Italia, e non si farebbero neanche gli interessi del Nord dividendo l’Italia. Il Nord sarebbe un pezzo di geografia d’infime proporzioni senza il resto del Paese. Non potrebbe svolgere mai una funzione prestigiosa a confronto con le economie forti degli altri partner europei. Con la stessa schiettezza, quindi, con cui mi sento di rivolgermi ad un alleato con cui stiamo riformando il Paese e con cui abbiamo davanti tanta strada da fare, debbo anche dire che è giunto il momento di rendersi conto che  un ciclo della storia del Paese, dopo un secolo e mezzo, è giunto alla sua conclusione. Mi riferisco ovviamente all’ assetto istituzionale ed amministrativo dell’Italia che ha rivelato crepe e inefficienze non più sopportabili. Le diversità economiche fra aree del Paese –  non ascrivibili ad una sola forza politica ma a tutte quelle che si sono alternate al Governo del Paese in questi 150 anni – sono giunte al punto che, se non si fosse concepito un disegno federalista in grado di tenerle assieme –  valorizzando le diversità,  dentro un processo di solidarietà irrinunciabile che deve vedere lo Stato garantire sempre i servizi essenziali a tutti i cittadini italiani – l’Unità avrebbe corso, davvero, seri rischi. Voglio essere sincero: oggi possiamo festeggiare senza patemi e preoccupazioni l’Unità, perché il federalismo sta procedendo rapidamente verso la meta. L’aver ripreso l’idea federalista – già presente nella fase Rinascimentale, sia nella forma laica che cattolica –  ma accantonata in favore del centralismo sabaudo – è stata una soluzione  politica di straordinaria importanza. Perciò oggi, i 150 anni del Paese, se è vero che coincidono con una fase economica e sociale in declino, è anche vero che non trovano impreparate le classi dirigenti italiane che, come ormai sta avvenendo, hanno approntato la risposta federalista alla disgregazione paventata. L’Unità al suo 150mo compleanno, finalmente, potrà essere un’Unità federalista nel rispetto dei principi costituzionali e  che, responsabilizzando le classi dirigenti locali, può procedere spedita sulla strada della riduzione del divario Nord/Sud il quale, come dice spesso  il ministro Tremonti, è uno dei gravi nodi del Paese. La questione meridionale, in questa cornice, non è affatto cancellata. Non è il federalismo, dicevo,  che ha fatto nascere, acuito o dimenticato il Sud. La questione meridionale è  nata con l’Unità, come dicono i libri di storia, quando scientificamente si piegarono le scelte generali per favorire lo sviluppo del Nord a scapito del Sud – da meridionale e da calabrese non posso certo essere io a sottacere questa lampante verità! – E’ cresciuta e si è aggravata, in seguito,  a causa di uno Stato centralista e opprimente. Tocca oggi apici inquietanti, per disagio sociale, disoccupazione giovanile, lacune scolastiche e corruzione, e sono esattamente questi  i veri pirati di cui l’Italia deve guardarsi. Nostro merito oggi, è quello di avere una risposta per tenere unito il Paese, nella continuità ma dentro un processo  di modernizzazione che ci deve vedere come classe politica più uniti sulle grandi trasformazioni di sistema. Questo è l’auspicio che mi sento di pronunciare in questa solenne occasione. Prima di concludere, vorrei –  perché toccati da vicino e perché il dovere della memoria è parte integrante della persona umana- ricordare tutti i patrioti morti per l’Unità, calabresi e non, nel corso di tutta la fase risorgimentale. Oggi è la festa dell’Unità, la nostra ma anche la loro festa! Vorrei ricordare i patrioti  morti nel 1799. Quelli morti  nel 1820. E  durante la ‘rivoluzione calabrese’ del ’47 –  successiva alla rivoluzione indipendentista siciliana del 1820 – quando Domenico Romeo ordì una trama tra Calabria, Sicilia e Basilicata che coinvolse i veterani della Carboneria e che, in accordo con i patrioti Siciliani, doveva propagarsi in tutto il Regno. Con  500 insorti, Romeo  occupò Reggio Calabria, ma la disorganizzazione fece fallire l’impresa e la rivolta  venne repressa nel sangue:  Romeo fu decapitato. Mentre a Gerace, sulla Piana di Gerace il 2 ottobre del 1847, i Borboni  si macchiarono di un misfatto che riempì di sdegno l’Italia. Furono infatti  fucilati: Michele Bello di Siderno; Rocco Verduci di Caraffa del Bianco; Pierdomenico Mazzone di Roccella; Gaetano Ruffo di Ardore; Domenico Salvadori di Bianco. I cinque martiri di Gerace non avevano più di 28 anni  e la loro colpa era stata quella di chiedere la Costituzione e la libertà, ma in cambio ebbero la morte e i loro copri furono gettati in una fossa comune detta ‘La Lupa’. Un ricordo va a tutti questi eroi e poi quelli del ’48,  e del ’60… E segnatamente ai ventuno  calabresi della spedizione dei Mille La Calabria fra tutte le regioni del Mezzogiorno continentale ha dato il maggior numero di patrioti alla gloriosa impresa di Garibaldi: Tutti entrarono a far parte della terza compagnia dell’esercito garibaldino comandata prima dal barone Francesco Stocco  e, successivamente, da Francesco Sprovieri. Fra quegli uomini gloriosi, mi piace ricordarlo ai nostri giovani, c’erano personalità prestigiose. E fra loro ce n’erano otto che avevano portato la catena ai piedi, condannati a venti, trent’anni di carcere, ma appena liberi per effetto della grazia dell’anno precedente, non avevano desistito dallo gettarsi nell’ennesima impresa. Ho voluto ricordare quei valorosi, perché, pur a distanza di tanto tempo, ognuno di loro testimonia la passione, il coraggio e la fierezza con cui si sono sacrificati per renderci liberi e indipendenti. Il nostro ricordo , pertanto, sia equivalente all’elogio sincero con cui oggi possiamo ricambiare il sacrificio di persone che ci hanno permesso di poter essere, nel bene e nel male, quelli che siamo. A noi spetta onorarne la memoria non solo ricordandoli doverosamente, ma anche  salvaguardando, ogni qual volta dovesse accadere, lo spirito e la forma dell’Unità per cui  si sono sacrificati”.

Giuseppe Bova: “In uno dei quotidiani nazionali, ieri, era pubblicato un articolo, né superficiale né meramente celebrativo, sul centocinquantesimo dell’Unità d’Italia. Il titolo emblematico era “I numeri dell’Italia che fa 150 anni bloccano il futuro”. Nel merito, poi, una raffica di problemi che tengono distante la media italiana, sugli indicatori di civiltà, da quelli dei paesi europei più sviluppati. A partire dai due milioni di giovani che non studiano né lavorano, per passare all’essere fanalino di coda, in Europa, sui brevetti per l’innovazione. Infine i dati del Pil italiano scanditi per macroaree, nord, centro, sud. Il sud di oggi (esso rappresenta il 40% della popolazione italiana), veniva detto, contribuisce al Pil nazionale per il 26,8%, cioè lo 0,1% in meno rispetto al 1951. Quello pro capite è il 69% di quello europeo, quando quello del nord è pari al 127%.     Non si può, se tutto questo è vero, far finta di nulla, tantomeno limitarsi a sottolineare che 150 anni sono passati, stiamo ancora tutti assieme e tutto va bene. Può essere invece l’occasione per una riflessione approfondita e di lungo respiro sulle prospettive dell’Italia quale cerniera tra l’altra sponda del Mediterraneo e l’Unione Europea. A partire da una riflessione sugli ostacoli e i “nemici”, tra virgolette, che l’Italia deve superare per far affermare prospettive unitarie ancor più vere e grandi rispetto a quelle di oggi. Si richiede, a questo proposito, lo dico in maniera sommessa, una grande apertura culturale e un procedere di tipo nuovo, equivalente a quelli messi in campo da Karl Popper e che stanno a base del suo testo fondamentale, scritto parecchi anni fa, ormai,  “La società aperta e i suoi nemici”. Lì l’analisi era chiara; veniva sottolineato il carattere mortale per le democrazie moderne quale rappresentato dai vari totalitarismi. Su questo filone c’è, successivamente, una riflessione puntuale di George Soros su “ La società moderna e … i suoi nemici”. Una riflessione, in questo caso, sulla vittoria del capitalismo, il dio mercato, e i rischi per le democrazie rappresentati da relazioni sotterranee tra lobbies e potere dello Stato nelle varie nazioni. Mi si potrebbe obiettare che non è chiaro il nesso tra tutto questo e i problemi dell’Italia di oggi, delle sue crisi, dei rischi di declino e di impoverimento strutturale dei legami unitari soprattutto tra sud e nord. A questo proposito, consentitemi alcune assai schematiche considerazioni. L’Unità di oggi è figlia di grandi processi storici che hanno trovato nel nord del paese e nelle sue elites ragione, nerbo e spinta propulsiva. Erano giovani del nord i Mille che da Quarto sbarcarono a Marsala. E’ un fenomeno essenzialmente del Nord la Resistenza, l’impegno per la Repubblica che portarono il 1°gennaio del 1948 alla straordinaria Costituzione da cui ha tratto linfa e spinta l’Italia del dopoguerra. E che successivamente, per l’impegno lungimirante di alcuni grandi italiani, portò il nostro Paese ad essere parte, prima, di un Mercato Comune e, successivamente, dell’Unione europea. Evento, a mio parere, di pari portata rispetto a quello dell’Unità nazionale. Oggi, con ogni evidenza, emerge non solo che questa spinta non c’è più, ma che proprio al nord è insediato un fenomeno politico e sociale  che pratica un programma,  fin dentro il Governo dell’Italia, che è antitetico all’idea di Paese quale propugnato dai primi e dai secondi Padri fondatori. Da quelli del Risorgimento a quelli dell’Italia repubblicana. Questo è il nodo. Tanti si muovono, purtroppo, dentro la logica fatalista del “così è”; altri con il “prima o poi a’da passà a nuttata”, ritenendo che solo dal nord chissà come, quando e perché potrà nascere un terzo Risorgimento, che ci liberi dai problemi attuali. Questi signori ragionano come chi pensa ancora che economia nel XXI secolo sia solo ricchezza di materie prime e di infrastrutture materiali, negando la funzione decisiva che nella nuova economia hanno la conoscenza e la capacità di innovazione. Il ragionamento va trasposto sul terreno della democrazia, delle libertà e dell’autogoverno. In questo senso è doveroso oltre che possibile, pensare e lavorare ad un percorso e ad un processo che non solo non sia passivo in attesa di un fantomatico “terzo vento del nord” ma che abbia l’audacia di ritenere, non solo, che questo vento sia urgente e necessario, ma che, questa volta, esso possa scaturire dal sud. Ad un condizione, che il sud cessi di essere passivo, di piangersi addosso, di aspettare “liberatori” esterni e avvii un processo costituente che abbia nel futuro del sud nel Mediterraneo, dentro l’Italia e l’Europa, il cuore e il cervello del terzo Risorgimento. Tutto ciò, prima e oltre ad essere tema di una stimolante riflessione culturale, può diventare ragione e impegno per un moderno movimento civile e democratico di riscatto del sud. Così vedo io l’apertura della fase che dai 150 anni in avanti guardi con fiducia feconda  al futuro di tutte e di tutti. Viva l’Italia. Viva l’Italia di ieri, di oggi e di domani”.

Alfonso Dattolo: “Oggi festeggiamo la nostra bella Italia unita, e lo facciamo da Calabresi in Calabria. Lo facciamo ricordando che la nostra Terra ha dato un grosso contributo all’Italia del dopo Risorgimento e a quella della Resistenza. Per noi la Bandiera italiana deve essere impegno, sacrificio, speranza, patto di libertà per stare sempre a testa alta in Italia ed in Europa. La nostra storia ci ricorda il sacrificio di tanti e deve fare di noi oggi degli Amministratori che sentono di assolvere ad una funzione di servizio. Non possono essere messe in discussione le ragioni stesse dell’Unita’. Noi dobbiamo fare di tutto per annullare il distacco che si è venuto a creare tra il concetto di Patria e i cittadini. Dobbiamo combattere con forza le spinte federaliste della Lega  ma anche le nostalgie autonomiste neoborboniche. I festeggiamenti di oggi, inducono una riflessione che ci faccia sentire Regione si, con le sue peculiarità e sue differenze, ma corpo unico all’interno del Paese Nazione. Dobbiamo far nostra una nuova Missione per l’Italia. Deve partire dalla Calabria  la capacità creativa e l’intelligenza per tessere le fila di un patto nazionale e federale adeguato alle sfide. La nostra missione deve essere  quella di contrastare ogni spinta alla divisione per rilanciare e rinnovare l’unità nazionale. Un’Italia unita, seppur nelle sue differenze regionali, ma ambasciatrice nel mondo, del rilancio del grande progetto Europeo. Non possiamo e non dobbiamo cedere alle lusinghe di chi sostiene che la molteplicita’ dei soggetti e  delle situazioni, e’ in contraddizione con l’unita’ della Nazione. Le differenze sono una ricchezza se si integrano in un progetto che mette al centro lo sviluppo delle Regioni, le nuove generazioni, la ricerca e l’innovazione, la dignità del lavoro. Le nuove generazioni sono il nostro futuro. E’ per loro che dobbiamo costruire una rinnovata identità nazionale, dando risposte concrete alle loro aspettative. Serve un cambio di visione che può e deve partire dalla Calabria facendo leva sulle nostre qualità migliori, portando valori ed esperienze: nelle sfide per il lavoro, per l’integrazione, per la crescita, per la legalità, e per il buongoverno delle  comunità locali. Trasmettiamo forte a chi oggi ci ascolta l’amore per l’ Italia, per la Nazione e per la nostra terra, perché chi il concetto di Patria l’ha smarrito è perché in realtà quel concetto, quell’amore e quell’attaccamento, non l’ha mai avuto”.

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