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TAURIANOVA (RC), SABATO 27 APRILE 2024

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Sottrarre cellulare al partner per leggere sms è reato di rapina La Cassazione ha condannato un uomo per aver preso lo smarthphone alla ragazza

Sottrarre cellulare al partner per leggere sms è reato di rapina La Cassazione ha condannato un uomo per aver preso lo smarthphone alla ragazza
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Da oggi occorre stare ben attenti ad impossessarsi del cellulare del proprio partner
per cercare di prendere cognizione dei messaggi. Chi si impossessa di uno smartphone
altrui, sottraendolo al legittimo proprietario, per spiare gli sms, commette il delitto
di rapina. Lo ha sancito la Cassazione con la sentenza la n. 24297 del 10 giugno
2016, che ha condannato a un anno ed 8 mesi di reclusione un uomo, statuendo che
commette il reato di rapina e lesioni chi sottrae con forza il cellulare al proprio
compagno, contro la sua volontà, al fine di perquisire la messaggeria di Whatsapp.
Anche perchè sottraendo il cellulare al suo proprietario per leggere i suoi messaggi,
si viola “il diritto alla riservatezza” e si incide “sul bene primario dell’autodeterminazione
della persona nella sfera delle relazioni umane”. La finalità di prendere il telefono
per leggerne il “contenuto”, scrivono i giudici, “integra pienamente il requisito
dell’ingiustizia del profitto morale”. Essa presuppone sempre l’uso della minaccia
o della violenza per impossessarsi della cosa mobile altrui. Infatti, nel caso di
specie, il fine di esaminare i messaggi conservati nel cellulare, perquisendo lo
stesso ha integrato perfettamente il requisito dell’ingiustizia del profitto. L’uomo
con tale gesto ha non solo violato il diritto alla riservatezza della sua fidanzata,
ma altresì ha compresso la sua libertà di autodeterminazione. L’uomo dopo esser
stato condannato dalla Corte d’appello aveva proposto ricorso per Cassazione. A
nulla sono valse le difese dell’imputato che ha sottolineato come per la configurazione
del reato di rapina mancasse l’elemento soggettivo del reato ovvero il dolo, l’intenzione
di conseguire un ingiusto profitto, non avendo egli agito alla ricerca di un profitto.
A pensarla diversamente sono stati i giudici di legittimità che hanno sottolineato
come il profitto può non consistere esclusivamente in un vantaggio patrimoniale.
Esso può coincidere anche con un’utilità, solo morale o consistere in una soddisfazione,
o godimento che il soggetto agente appunto immagina di conseguire dalla propria condotta.
Inoltre secondo gli Ermellini la sottrazione, con violenza o minaccia, di un oggetto
ad un’altra persona, quando questa lo tenga ben stretto, fa scattare la rapina
propria. Le motivazioni sottese alla statuizione sono legate innanzitutto all’individuazione
delle differenze fra la rapina e il furto con strappo. Tale ultimo reato si configura
infatti quando la violenza avviene immediatamente solo sulla cosa e quindi in via
del tutto indiretta verso la persona che la detiene. La rapina invece presuppone
l’appropriazione da parte del reo di una cosa particolarmente aderente al corpo
di chi la detiene in quel momento. Il soggetto attivo deve infatti vincere la resistenza
del proprietario della cosa e la violenza quindi si estende alla persona. Nel caso
specifico, l’imputato aveva infatti diretto la propria azione violenta verso la sua
ragazza per arrivare ad impossessarsi del telefonino. Ecco perché non si è potuto
configurare il furto con strappo. Insindacabile quindi la condanna dell’uomo che
dovrà pagare anche le spese di giudizio. La sentenza della Cassazione, commenta
Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti [1]”, farà molto discutere
proprio per la sua eccessiva severità. Chiunque è tentato a sottrarre il cellulare
del partner per prendere cognizione dei messaggi contenuti stia attento: si rischia
la galera.