Scacco al clan Gallace-Gallelli, 25 arresti. Le mani della cosca anche sul porto di Badolato
Lug 03, 2013 - redazione
Estorsioni, usura, danneggiamenti e interessi sul porto di Badolato, oltre ad associazione mafiosa, le accuse contestate – ECCO I NOMI
Scacco al clan Gallace-Gallelli, 25 arresti. Le mani della cosca anche sul porto di Badolato
Venticinque arresti e numerose perquisizioni eseguiti da parte di Polizia e Carabinieri nel corso della mattinata nell’ambito di un’inchiesta che ha portato alla luce gli affari del clan Gallace-Gallelli nel basso Ionio catanzarese. Estorsioni, usura, danneggiamenti e interessi sul porto di Badolato, oltre ad associazione mafiosa, le accuse contestate
CATANZARO – Il sindaco vicino al clan, l’imprenditore nautico sponsorizzato per ottenere lavori, ed ancora estorsioni, traffico di droga e una scia di sangue sullo sfondo. E’ questo il contesto in cui è maturata l’operazione che ha portato all’emissione di 19 ordinanze di custodia cautelare in carcere, 6 ai domiciliari e altri 21 indagati.
Carabinieri e Polizia di Stato di Catanzaro hanno eseguito gli arresti e le perquisizioni a carico di presunti capi e gregari della consorteria mafiosa dei Gallace-Gallelli operante nei comuni di Guardavalle e Badolato, nel basso Ionio catanzarese. Ai destinatari delle misure vengono contestati, a vario titolo, i reati di associazione per delinquere di stampo mafioso, estorsioni, usura, stupefacenti e armi. Nel corso delle attività investigative, sarebbero state accertate responsabilità a carico di diversi esponenti delle due famiglie mafiose anche in riferimento a un’estorsione a carico di una ditta emiliana impegnata nei lavori di costruzione del porto di Badolato.
I LEGAMI DEL SINDACO
Nell’inchiesta risulta indagato con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa anche il sindaco di Badolato, Giuseppe Antonio Parretta, rieletto in primavera alla guida di una lista civica. Nello specifico, la Dda di Catanzaro ne aveva chiesto l’arresto, ma il Gip ha ritenuto di non concederlo. Secondo gli inquirenti, il primo cittadino avrebbe avuto il sostegno elettorale del clan ricambiandolo con favori e con una gestione del servizio tecnico comunale favorevole agli interessi del gruppo. Il prefetto Antonio Reppucci valuterà nel corso della prossima seduta del Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica l’opportunità di inviare una commissione di accesso agli atti al comune di Badolato.
L’IMPRENDITORE NAUTICO
Tra gli arrestati anche Antonio Ranieri, 60 anni, titolare dei cantieri nautici Ranieri. Il noto imprenditore del soveratese, secondo gli inquirenti, grazie al sostegno delle cosche, avrebbe imposto la sua gestione nel porto di Badolato, dimostrandosi, secondo gli inquirenti, molto vicino ai clan.
L’INCHIESTA
Dalla gestione del porto di Badolato alle estorsioni, passando per lo spaccio di droga e il controllo delle elezioni comunali e dell’attività amministrativa. La potente cosca dei Gallace di Guardavalle (Catanzaro) aveva in mano tutto il sistema degli affari. Partendo dalla Calabria fino in Lombardia garzie alle sue forti ramificazioni. Nell’inchiesta che stamane ha portato in carcere 25 persone non solo ‘ndranghetisti, ma anche professionisti, in particolare tecnici, e amministratori comunali.
Sono state le indagini della squadra Mobile di Catanzaro, guidata da Rodolfo Ruperti, e dei Carabinieri del Reparto operativo provinciale di Catanzaro e della Compagnia di Soverato diretti dal colonnello Giorgio Naselli e dal capitano Saverio Sica a fare luce sul “locale” del catanzarese. Partendo dal 2007 e fino a ricostruire ogni legame. Compreso il ruolo di primo piano che la ‘ndrina ha conquistato in Lombardia, specie dopo avere eliminato gli alleati-nemici della cosca Novella. Le dichiarazioni di ben otto pentiti sono state incrociate con le attività investigative compiute in sinergia tra le forze dell’ordine, portando a 19 persone in carcere, 6 ai domiciliari e altri 21 indagati, per un totale di 46 persone coinvolte.
Non risultano contestati omicidi nel provvedimento firmato dal pm Vincenzo Capomolla, dal momento che per quelli la Procura si muove con altri filoni investigativi, come hanno spiegato il procuratore capo Vincenzo Antonio Lombardo e l’aggiunto Bombardieri. E’ il gip Assunta Maiore a delineare il quadro in cui si è mossa l’indagine: “Le indagini – afferma il giudice – hanno permesso di accertare l’esistenza e l’attuale operatività, in Guardavalle e nei comuni limitrofi, del pericoloso gruppo di elevata capacità criminale e di tipo mafioso”. Alleati ai Gallace, secondo quanto emerso nell’operazione “Itaca Free Boat”, ci sono i Gallelli (alias Macineddhu) e gli omonimi Gallelli (alias Sidis), che avrebbero gestito gli interessi su Badolato. Nel mirino del locale di ‘ndrangheta sarebbero finiti imprenditori e grossi commercianti. Il clan avrebbe preteso il pagamento di una percentuale sui lavori pubblici e sugli incassi degli esercizi commerciali. Meccanismo diverso per i piccoli commercianti che non avrebbero pagato alcuna tangente, ma avrebbero riconosciuto alla cosca Gallace la possibilità di avere prodotti e servizi senza pagare nulla.
Anche il porto di Badolato era diretta gestione dei Gallace e dei suoi affiliati, fino ad essere dato in gestione all’imprenditore nautico Antonio Ranieri, 60 anni, che avrebbe scavalcato anche i migliori offerenti per il servizio grazie alle pressioni del clan. E poi i legami amministrativi e politici, con il sostegno al sindaco di Badolato, che avrebbe favorito, sempre secondo l’accusa, il sodalizio criminale nella gestione amministrativa. Al punto che il procuratore aggiunto Bombardieri ha sostenuto che “l’Ufficio tecnico comunale era in mano ai Gallelli”.
I NOMI DEGLI ARRESTATI
Sono 25 le persone a cui è stato notificato un provvedimento di custodia cautelare nell’ambito delle indagini sulla cosca di ‘ndrangheta dei Gallace. Di queste, sono 19 le persone in carcere. Si tratta di: Francesco Aloi, 46 anni, di Guardavalle; Alfonso Carioti, 39, di Guardavalle; Antonio Cicino, 55, di Guardavalle; Nicolino Galati, 37, di Guardavalle; Cosimo Damiano Gallace, 23, di Guardavalle; Vincenzo Gallace, 66, di Guardavalle; Agazio Gallelli, 71, di Badolato; Andrea Gallelli, 43, di Bologna; Maurizio Gallelli, 39, di Badolato; Vincenzo Gallelli, 70, di Badolato; Antonio Luciano Papaleo, 47, di Badolato; Domenico Origlia, 52, di Guardavalle; Antonio Saraco, 58, di Badolato; Aldo Tedesco, 60, di Guardavalle; Domenico Tedesco, 36, di Guardavalle; Cosimo Vitale, 27, di Guardavalle; Vincenzo Vitale, 39, di Guardavalle; Angelo Paride Vocaturo, 65, di Montepaone.
Agli arresti domiciliari sono finiti: Pietro Gianfranco Gregorace, 66 anni, di Soverato; Antonio Ranieri, 60, di Soverato; Alfredo Beniamino Ammiragli, 46, di Fragagnano (Taranto); Giuseppe Compagnone, 59, di Arluno (Milano); Nicola Arena Romeo, 63, di Badolato; Vittorio Tucci, 65, di Squillace. A questi si aggiungono altri 21 indagati per i quali non è stata decisa alcuna misura cautelare.
LE RIVELAZIONI DEL PENTITO
Ci sono anche le dichiarazioni di alcuni collaboratoti di giustizia dietro l’operazione che oggi ha portato all’arresto di 25 persone nell’ambito dell’inchiesta di polizia e carabinieri sulle cosche del Soveratese. E dalle loro parole emergono le infiltrazioni della potente cosca Gallace di Guardavalle (Catanzaro) anche fuori dalla Calabria. E’ Antonino Belnome, ex padrino del locale di Giussano (in provincia di Monza Brianza), a tracciare il profilo del “locale” calabrese e il suo potere in Lombardia.
«Un locale è forte – ha detto il collaboratore ai pm di Catanzaro e Reggio Calabria che lo hanno sentito nel carcere di Opera di Milano – se ha le sue radici in Calabria», ed ancora: «Chi non ha questo cordone ombelicale non ha forza, un locale che non ha questo è come se ha una zattera nell’oceano, non siete una nave». E tutto questo era ed è la cosca Gallace in Calabria e in Lombardia, come ha precisato il procuratore della Dda di Catanzaro, Vincenzo Antonio Lombardo, nel corso di una conferenza stampa. Ed è anche racchiuso in questo meccanismo il segreto della longevità della ‘ndrangheta in generale e della cosca Gallace in particolare. Specie nel momento in cui nella stessa cosca catanzarese maturò la scissione con la cosca Novella. Il pentito racconta, infatti, che la «cosca Novella aveva tre quarti della Lombardia», ma «pochi avevano fondamenta in Calabria». Così i Novella sono spariti dal panorama criminale, di cui i Gallace sono diventati i protagonisti. Al punto che, come scrive il gip Assunta Maiore, questo locale è diventato «una delle cellule basilari della ‘ndrangheta, modello di organizzazione esportato anche oltre i confini nazionali».
A confermare la ricostruzione degli inquirenti sul profilo dei Gallace, compresi gli interessi in Lombardia, sono stati anche altri collaboratori. Tra i quali Domenico Todaro, vecchio affiliato del locale di Guardavalle, il figlio e il genero di quest’ultimo: Vincenzo Todaro e Pietro Danieli; Michael Panaija, arrestato per concorso nell’omicidio di Carmelo Novella (capo cosca del clan perdente). Fondamentali anche le dichiarazioni di altri tre collaboratori: Angelo Torcasio, Saverio Cappello e Giuseppe Giampà. Con le dichiarazioni dei collaboratori hanno fatto il paio le intercettazioni telefoniche e ambientali, appostamenti e pedinamenti, attività investigative avviate sin dal 2007 dalla squadra mobile di Catanzaro e dal Comando provinciale dell’Arma dei Carabinieri.
PREFETTO: STATO HA SOVRANITA’ TERRITORIO. DIMOSTRATO COME STESSO SOGGETTO IN PIU’ COSCHE
“Lo Stato è presente ed abbiamo la sovranità del territorio”. Lo ha detto il prefetto di Catanzaro, Antonio Reppucci, incontrando i giornalisti insieme a inquirenti e investigatori dopo l’operazione che ha portato all’arresto di 25 tra presunti capi e gregari della cosca Gallace-Gallelli operante tra Guardavalle e Badolato. “”E’ l’ennesima batosta – ha aggiunto – che serve a far capire ai cittadini che tutti insieme possiamo farcela”. L’inchiesta, ha detto il procuratore di Catanzaro Vincenzo Antonio, ha dimostrato come affiliati ad una cosca partecipino anche ad altri locali di ‘ndrangheta in altre regioni. Il questore di Catanzaro, Guido Marino, ha evidenziato come l’operazione “fotografa un territorio che ha tollerato quattro parassiti di mafiosi che pensavano di spadroneggiare sull’economia locale. E’ l’ennesimo segnale alla cosiddetta società civile che, o arriva la mazzata delle forze dell’ordine, o non arriva niente. Non c’é bisogno di eroismo, basta che ognuno faccia il cittadino”. “L’inchiesta – ha detto il procuratore aggiunto della Repubblica di Catanzaro, Giovanni Bombardieri – è la dimostrazione che forze di polizia diverse possono lavorare insieme sugli stessi fatti. L’inchiesta ha consentito di porre alcuni punti fermi. Tra questi la partecipazione di uno stesso soggetto a cosche diverse. Inoltre è emersa la gravità indiziaria anche nei confronti di alcuni soggetti anche se non arrestati. Elementi che fanno ritenere come per la cosca fosse di interesse arrivare al controllo dell’amministrazione comunale. E’ emerso anche come alcuni degli arrestati fossero in condizioni di sapere alcuni sviluppi delle indagini e delle attività di intercettazione. Segno della loro pericolosita”. Il comandante del reparto operativo dei carabinieri di Catanzaro Giorgio Naselli ha sottolineato la grande professionalità dimostrata dagli operatori dell’Arma e della squadra mobile nel condurre le indagini, scambiandosi informazioni senza segreti, mentre il capo della squadra mobile catanzarese, Rodolfo Ruperti, ha evidenziato il ruolo del presunto boss Vincenzo Gallace, “capo carismatico” della cosca. “E’ lui – ha detto – che sta sempre sullo sfondo in ogni attività illecità, anche quando sorgono contrasti tra due fazioni dei Gallelli”. Il capitano Carlo Caci, comandante del nucleo investigativo del reparto operativo di Catanzaro, ha ricordato che le indagini prendono in esame il periodo che va dal 2007 ad oggi perché quello precedente è stato analizzato in un’inchiesta avviata a Catanzaro e poi trasmessa alla Dda di Roma e conclusasi con il riconoscimento dell’esistenza della cosca. Gli affiliati, ha detto “imponevano ai villaggi turistici l’assunzione di familiari di detenuti e li costringevano a servirsi di certe ditte per i lavori di cui avevano bisogno”.