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TAURIANOVA (RC), MARTEDì 30 APRILE 2024

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Risponde di maltrattamenti anche chi pronuncia frasi di disprezzo contro il partner Al fine della sussistenza del reato di cui all’articolo 572 del codice penale risultano sufficienti comportamenti vessatori diversi dalle percosse

Risponde di maltrattamenti anche chi pronuncia frasi di disprezzo contro il partner Al fine della sussistenza del reato di cui all’articolo 572 del codice penale risultano sufficienti comportamenti vessatori diversi dalle percosse
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La violenza può esprimersi anche sotto l’aspetto morale attraverso umiliazioni
verbali che sono altrettanto ed a volte anche più affligenti delle percosse. In
tal senso, anche le frasi di disprezzo pronunciate contro il partner possono determinare
la sussistenza del reato di maltrattamenti in famiglia.A dare la giusta valenza anche
in termini penalmente rilevanti a tali comportamenti già riprovevoli sotto il profilo
morale è la Corte di Cassazione che con la sentenza n. 1400 pubblicata ieri esprimono
questi principi che per Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti” vale la pena commentare.I giudici della sesta sezione penale della Suprema
Corte, infatti, hanno rigettato il ricorso di un uomo, condannato dalla Corte d’appello
di Torino per i reati di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.) e di lesioni
personali (582 c.p.) commessi ai danni della moglie.Per quest’ultimo reato, il
giudice di merito aveva dichiarato improcedibile l’azione per remissione di querela
da parte della persona offesa. Così l’uomo aveva deciso di ricorrere davanti al
giudice di legittimità. Ma i motivi di ricorso, fondati essenzialmente sul fatto
che gli episodi violenti sarebbero stati occasionali durante la convivenza con la
moglie, non hanno convinto gli ermellini che hanno rilevato che «/a prescindere
dal fatto risolutivo che tre gravi e violente aggressioni fisiche al coniuge nel
giro di un anno costituiscono una condotta già incompatibile con il concetto di
occasionalità, e nel contempo chiaramente suscettibili di indurre un penoso regime
di vita, la decisione della Corte territoriale si è fondata anche su fonti di prova
aggiuntive rispetto alla rappresentazione della vittima, e su comportamenti vessatori
anche diversi dalle percosse e dagli stessi insulti (che il ricorrente, senza porsi
alcun problema di attendibilità, vorrebbe limitati al tempo di svolgimento delle
aggressioni fisiche)/».Ha torto, infatti, il reo in quanto «/il dolo del delitto
di maltrattamenti in famiglia non richiede la rappresentazione e la programmazione
di una pluralità di atti tali da cagionare sofferenze fisiche e morali alla vittima,
essendo, invece, sufficiente la coscienza e la volontà di persistere in un’attività
vessatoria, già posta in essere in precedenza, idonea a ledere la personalità della
vittima medesima/».