Quegli odori dell’infanzia che non ti lasciano mai più
redazione | Il 30, Set 2013
Editoriale di Caterina Sorbara
Quegli odori dell’infanzia che non ti lasciano mai più
Editoriale di Caterina Sorbara
Il grande scrittore francese Marcel Proust, a proposito dell’odore, ci ha lasciato
questi versi molto significativi. Ecco cosa ha scritto:” Quando di un antico passato
non sussiste/ niente, dopo la morte degli esseri, dopo la/ distruzione delle cose,
soli, più fragili ma più/ intensi, più immateriali, più persistenti, più fedeli,/l’odore
e il sapore restano ancora a lungo, come/
anime, a ricordare, ad attendere, a sperare, sulla/ rovina di tutto il resto, a reggere,
senza piegarsi,/ sulla loro gocciolina quasi impalpabile,/ l’immenso edificio del
ricordo”.
Gli odori ci accompagnano durante il nostro cammino fin dall’infanzia. Indimenticabile
l’odore della mamma, dei giocattoli.
L’odore del primo amore, il sapore del primo bacio. Persino la morte ha un odore
che, naturalmente, non vorremmo mai sentire. Anni fa lo scrittore Domenico Gangemi,
lo ha descritto, nel suo bellissimo e per me amato romanzo: “Quell’acre odore di
aglio”.
Indelebili restano per me, i profumi del borgo natio, profumi che un tempo danzavano
nell’aria dei piccoli centri pianigiani.
Accompagnavano la stagione primaverile, il profumo dei fiori, l’odore della chioccia
che covava le sue uova, il profumo dei biscotti e delle “cuddure” (il pane pasquale
con le uova).
Le donne raccoglievano le felci e preparavano una specie di scopa, per pulire il
forno. Un tempo non c’era famiglia che non aveva un forno a legna.
Ogni 15 giorni l’odore del pane danzava nell’aria intrisa di sogni.
La mattina di San Giuseppe, era usanza, preparare la pasta con i ceci, da distribuire
a tutto il vicinato. Il profumo dei ceci riempiva così, l’aria dei borghi.
L’estate era accompagnata dall’odore del pomodoro, dei peperoni, delle melanzane.
Ogni famiglia preparava i pelati e i sott’olio per l’inverno. Nei campi l’odore del
fieno e dei papaveri, negli aranceti l’odore della zagara estasiava le nostre anime.
All’arrivo della stagione autunnale, l’aria era intrisa dall’odore dolce e intenso
dell’uva e, con l’arrivo delle prime piogge, il profumo della terra ci faceva sognare
insieme all’odore delle noci. Mio nonno per esempio aveva lo stesso profumo delle
noci che, mai dimenticherò.
Un altro odore che caratterizzava l’autunno era l’odore dei funghi, delle caldarroste
e dei broccoletti, che si respirava in tutte le vie dei borghi.
A novembre nell’aria si diffondeva il profumo dei crisantemi e dei lumini (i cirogini).
Ricordo che in paese , arrivava un venditore ambulante, e tutte le comari, compravano
“i fiori dei morti” da portare al cimitero. Nel periodo di Natale l’odore delle zeppole,
faceva da padrone, così come l’odore del muschio che si metteva nei presepi.
Un altro magico e indelebile profumo, era quello del caffè macinato. Ricordo le
signore che sedute sull’uscio di casa “giravano” il macinino del caffè, diffondendo
nell’aria il magico e intenso profumo. E poi, c’era il profumo della pasta fatta
in casa nei giorni di festa, il profumo della carne arrostita, delle bucce d’arancia, bruciate nel braciere, della frutta appena raccolta.
Profumi sani, genuini che ti trasmettevano gioia, che ti facevano compagnia.
Ed oggi, invece, quali profumi sentiamo? Cosa c’è nell’aria dei paesi della Piana
del Tauro?
L’odore nauseante di cumuli di spazzatura e l’aria è intrisa di diossine che vengono
emesse dall’inceneritore che si trova in contrada Cicerna a Gioia Tauro.
Diossine dannose alla salute danzano nell’aria pianigiana. diossine dannose alla
salute perché fanno ammalare. E pensare che vogliono addirittura raddoppiarlo.
Invece di puntare sulla raccolta differenziata e creare centri di riciclaggio (che
tra le altre cose assorbirebbero gli operai che adesso lavorano al termovalorizzatore),
continuano ad avvelenare l’aria.
E il bello è che quasi nessuno si ribella, nessuno se ne cura, ognuno cura il proprio
orticello, i propri interessi. Le donne che potrebbero essere una grande forza, se
solo tutte insieme si ribellassero, tacciono.
Tempo fa, nel mese di maggio, mentre guardavo il tramonto, ho scritto una poesia,
che desidero condividere con voi, stimati lettori di approdo, nella speranza che
un giorno tutta la popolazione in primis e i nostri governanti si rendano conto della
dannosità di questi impianti, della dannosità dell’immondizia e della necessità
di puntare sulla differenziata, per un futuro più pulito e più profumato.
“E’ sera/ la luna/regina del cielo/inargenta il mare/ e i passerottini/ cinguettano/sui
rami degli ulivi./Mentre aspetto l’estate/ l’inceneritore ha ripreso il suo ritmo/
nell’aria/sentore di morte/nessuno parla/nessuno denuncia/. I sepolcri imbiancati
/ si perdono/nei loro insulsi/sillogismi. /Le distinte signore/recitano/i loro infelici/e
vuoti Rosari/Altre/ si preoccupano/di cambiare il colore/ delle loro chiome./Delle
borse/ per metterci dentro/il vuoto/delle loro anime./La poetessa/ è sola/ nessuno
ascolta/ il suo grido/nessuno ode/la sua infinita preghiera/.
I giorni passano/ non cambia niente/tutto tace/ mentre le diossine/ danzano libere
nell’aria/ e la luna/inargenta/il mare”.