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“Rosso”, ecco il settimo capitolo del libro di Mario Aloe

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Ogni lunedì pubblicheremo un capitolo dell’avvincente romanzo sulla nave dei veleni dello scrittore di Amantea. Ecco il settimo

“Rosso”, ecco il settimo capitolo del libro di Mario Aloe

Ogni lunedì pubblicheremo un capitolo dell’avvincente romanzo sulla nave dei veleni dello scrittore di Amantea. Ecco il settimo

 

 

19 DICEMBRE 1995
Erano a Pisa. Salvatore aveva convinto Chiara a seguirlo fino in Toscana: non c’era voluto molto e si era meravigliato della disponibilità della donna.
Non doveva farsi illusioni lo stava accompagnando in un viaggio di ricerca. Avevano un incontro al Dipartimento di Fisica della Università per approfondire il mistero della presenza di tracce di radioattività nei container e lui conosceva la persona adatta per avere le informazioni che cercavano.
Il suo vecchio amico Sergio lavorava a Fisica ed era un esperto in materiali radioattivi, con lui si potevano affrontare, con tranquillità e senza remore, le questioni aperte.
Con Sergio aveva condiviso un pezzo della sua esperienza politica alla Sapienza di Roma, vissuto riunioni, collettivi, aspirazioni ed amori.
Lo aveva cercato dopo l’incontro con gli operai, voleva comprendere il motivo per il quale i cassoni fossero ricoperti di granulato di marmo ed avere spiegazioni sulla presenza delle lastre. Il cemento potevano produrselo da soli nel luogo prescelto per le costruzioni: non si impegnava un cargo per un trasporto inutile e senza senso e con dei costi economici non ammortizzabili. Una vocina da dentro, poi, gli sussurrava: “E i valori della radioattività nei containers?”.
Non capiva e aveva bisogno di conoscere, fugare i dubbi e non poteva fidarsi di quello che dicevano gli ambientalisti, doveva trovare delle fonti attendibili al cento per cento ed ecco l’illuminazione: Sergio l’amico professore, il luminare, ma anche l’uomo politicamente impegnato.
Gli aveva chiamato e parlandogli avevano deciso di vedersi l’indomani a Pisa. Non si incontravano da parecchi anni, ma si erano subito riconosciuti e ritrovati.
A Chiara aveva raccontato della telefonata, della necessità di consultare una fonte autorevole e le aveva chiesto, con un po’ di imbarazzo, di accompagnarlo.
Sarebbe potuto andare da solo, ma il desiderio di avere la donna con sé era forte. Sentiva urgente la necessità di esplorare la sua vita, di sentire il suono della sua voce e percepirne gli umori mentre mutavano. Desiderava osservarla, guardare i riflessi dei suoi occhi, il lento distendersi delle rughe sulla sua fronte ai cambiamenti di umore.
Più dei rifiuti, la sua scoperta era stata lei, ne aveva ricevuto una scossa che aveva messo in movimento il suo animo, ormai in stasi da troppo tempo.
Era strana la natura, all’improvviso un magnete umano sotto forma di donna comincia ad esercitare la sua d’attrazione, a mettere a repentaglio certezze ed abitudini consolidate ed a fare riconsiderare tutte le priorità.
«Era meraviglioso – pensava – Uno vive, soffre, sorride, poi il lento scorrere dei ricordi lo perseguita finché non ci se ne fa una ragione e si prova ad andare avanti alla meglio e poi, di nuovo, ci si riscopre deboli al gioco della vita: era strano, ma bello…».
Lei aveva accettato, forse lo faceva per dovere di militanza, per impegno civico o per semplice curiosità.
Sperava proprio che fosse quest’ultima a muoverla e, ancor di più, che tra le novità che la interessavano ci fosse lui.
Non era poi da scartare questa ipotesi in quanto lui sapeva come accarezzare le emozioni, farle scorrere trasmettendo, allo stesso tempo, il suo modo di essere. Le sue parole, il più delle volte, suscitavano l’interesse di chi l’ascoltava, cosicché si discuteva più con l’animo che con la ragione. In passato questa qualità aveva supplito alla mancanza di prestanza fisica e alla bellezza: no, non era bello.
Strano concetto la bellezza, ma era altro quello che muoveva l’attrazione: una pulsione profonda, una mancanza che di colpo si accorgeva dell’inconsistenza del nulla e voleva riempirlo e dare pienezza all’esistenza. Certo i tratti della bellezza facevano desiderare, guardare, destavano subito l’attenzione, ma da soli erano quadri ben dipinti, ma privi di significato.
Anche lui era allertato dalla vicinanza di una bella donna, ma adesso sentiva qualcosa di diverso, avvertiva un formi48
colio nel basso ventre, un grumo che si piazzava nella pancia, appena sotto lo stomaco.
Si era svegliato.
Ancora freddo, un freddo umido li accompagnò per Corso Italia fino a Ponte di Mezzo.
Durante il tragitto, camminando fianco a fianco e sfiorandosi, Salvatore avvertiva una scossa piacevole, che lo spingeva a trattenersi dal toccarla e allora si scostava e riprendeva a parlare.
“Possibile che non si accorgesse dei cambi di tonalità nella sua voce? Per lui erano evidenti, anche se si sforzava di mascherarli e solo, dopo un po’, riusciva a riprendere il controllo del respiro, del ritmo cardiaco e così facendo la sua voce non trovava più impedimenti e ritornava normale”.
Si fermarono a fare colazione al Caffè Siena in prossimità del Palazzo Comunale, un cornetto morbido ed un cappuccino schiumoso e caldo. Sentiva la fragranza del dolce mentre lo masticava e lentamente si scioglieva nella sua bocca e poi il caffè gli lasciò un gusto gradevole.
Avevano tempo per arrivare al dipartimento di fisica e passeggiare facilitava la discussione, ma di cosa stavano parlando realmente?
Erano quelle le parole che giungevano ai loro sensi o si stavano sondando in cerca di qualcosa che ad entrambi mancava.
Era perplesso.
Corso Italia, incassato tra le case, trasmetteva una luce grigia che le costruzioni catturavano e non riflettevano sulla strada e questo, pensava, era il contrasto perfetto con la luminosità che avvertiva provenire da lei, una dicotomia evidente ad occhio nudo.
«Salvatore tu non mi ascolti, sembri guardare oltre, ma non sono trasparente, non sono di vetro. Tu indugi con lo sguardo cercando qualcosa di indefinibile. Eppure ho l’impressione di avere vicino una persona che conosco da tanto, mi sei familiare e, sebbene le tue disattenzioni, mi fa piacere sentire l’indecisione della tua voce e poi questa gita mi fa bene, non mi allontanavo da casa da un po’ di tempo».
«Lo so, sono sovrappensiero, ma seguo i movimenti della Città, cerco di carpirne lo spirito». Mentiva e cercava di allontanare i suoi eventuali sospetti.
«Ecco l’Arno, in Italia ogni cosa, ogni luogo o nome evoca immagini, storie, uomini. Questi luoghi richiamano alla mente le repubbliche marinare, il fiorire della civiltà cittadina e tu immagini navi risalire il fiume, merci nei magazzini, palazzi in costruzione e il Duomo che prende forma. Siamo troppo densi, pesanti di passato per riuscire a sfuggire alle immagini evocate dalla storia. Potresti avere a fianco un mercante dell’anno Mille. Dalle mie parti si dice si falsu cumu nu sordu ‘i Pisa e mi accorgo che il detto popolare, coniato a quasi mille chilometri di distanza, descrive l’attitudine dei mercanti, il loro spirito truffaldino: dei nuovi Ulisse che riaprono il Mediterraneo ai commerci e alla circolazione degli uomini. Il fiume di Dante, Boccaccio e di Petrarca, il fiume della lingua…».
«Sì, professore, la lezione è bella, ma noi siamo qua per
frequentare un’altra scuola, un altro corso. Il tuo amico conosce i segreti dell’atomo e noi vogliamo sapere perché i valori del cesio sui cassoni sono superiore fino a cinque volte la soglia consentita».
«Leopardi è stato qua e da alcune sue lettere si capisce che vi ha trovato dei momenti di pace nella sua travagliata esistenza. Lo affascinava il lungarno. La città di provincia doveva avere un effetto benefico sui suoi nervi e sul suo spirito inquieto. Lo potresti incontrare se spingessi l’immaginazione, una persona comune, un po’ scialba e dimessa, ma con lo sguardo che vede oltre le cose. Anche lui cercava, pure lui si appellava allo spirito degli italiani mentre condannava la mediocrità dei regnanti; anche lui era un sognatore rassegnato».
«Salvatore il nostro amico Leopardi non ha avuto la sventura di incontrare sulla sua strada i delinquenti che ci camminano a fianco oggi, quelli che distruggono anche il futuro, che non danno possibilità di vita a coloro che verranno dopo. Se vivesse nel nostro tempo non potrebbe scrivere “la donzelletta che vien dalla campagna”, forse farebbe il cronista come te, oppure dedicherebbe una poesia alle piogge radioattive».
Totò leggeva un sorriso soddisfatto sulle sue labbra, belle labbra, così vicine ed invitanti.
«”Come codesti o quando in così basso loco? Nessun pugna per te? Non ti difende nessun de’ tuoi? L’armi, qua l’armi: io solo combatterò… Dammi, o ciel, che sia foco agli italici petti il sangue mio”» recitò a memoria con un fuoco cupo negli occhi.
«Ti sbagli non avrebbe mai scritto su un giornale, il suo pensiero era troppo oltre i suoi tempi e aveva capito che, in fin dei conti, lo scorrere del tempo è ciclico e che sono più le sensazioni del singolo che la realtà oggettiva a regolare il corso del mondo. Poi ha scritto Canto notturno di un pastore errante in cui la solitudine dell’uomo è immensa, profonda ed irrimediabile. “Dimmi, o luna: a che vale al pastor la sua vita, la vostra vita a voi? dimmi: ove tende questo vagar mio breve, il tuo corso immortale?”. Ecco l’uomo moderno e la sua vita fatta di piccole cose, di problemi essenziali, di quesiti senza risposte e della necessità del calore umano. Sì, cara la mia guerriera, bisogna deporre la corazza ed avventurasi nel mondo sapendo che l’immortalità non ci appartiene. Un sorriso ha più valore di una prima pagina ed adesso, qua in questo momento, la tua presenza dà senso al “vagar mio”».
Il suo sguardo indugiò, le sue pupille dilatate fissavano come se potessero vedere nel cuore del cronista, nel suo volto fermandosi su qualcosa di sconosciuto anche a lui, qualcosa che ignorava anche lui stesso.
Si affrettò a riprendere il discorso in maniera precipitosa, sperando che ella non percepisse la sua ansia.
«Vedi Chiara, non ti sto corteggiando, passeggio con te, in un luogo quasi ignoto e sento la presenza di un essere, te, che parla e, quando ascolta, fa parlare il suo animo stabilendo un circuito magico che rende le cose trasparenti e la comunicazione facile, immediata. La mia è una constatazione, non è una richiesta, un invito».
Salvatore avvertiva una leggera delusione in lei, pensava di sbagliarsi e che quello che aveva percepito in lei fosse frutto dello stato emotivo in cui si trovava: si riteneva incapace di comprendere e di essere padrone della situazione. Stavano
saltando le lampadine che illuminavano le sue abitudini e si trovava al buio, un’oscurità che cerca la luce.
«Totò, sono qui con te non per dovere civico, ma perché possiedi qualcosa che mi attrae: sarà il tuo sorriso disarmante che sembra voglia dichiarare una resa incondizionata già prima della battaglia o i tuoi occhi brillanti che mi guardano e non si fermano sulla superficie, non si accontentano delle forme del mio corpo. Ecco perché sono qua. Tutto ciò non ti autorizza a prendermi la mano o, ancor di più, a darmi un bacio, a considerarmi la tua amante: sono una tua compagna di viaggio e, mentre, tu mi annusi lo faccio anch’io. Non so se ci sarà altro e per esserci voglio conoscerti, non sono con te per una notte di sesso, cerco altro, voglio vedere se quello che lasci intravvedere è vero o se anche tu fingi e non concedi nulla».
L’uomo era esterrefatto, trafitto dalla gioia, ma trattenuto dalla consapevolezza della donna.
Guardò l’orologio, le undici: avevano ancora un po’ di tempo.
Si erano fermati su Ponte di Mezzo a guardare l’Arno scorrere, lento e grigio, leggermente increspato dal vento. Il fiume, entro i suoi argini robusti, solo in alcuni rari casi, rappresentava un pericolo per la città a differenza delle emozioni che provava che minacciavano di travolgerlo: una piena in arrivo che si ingrossava di ora in ora, una piena che il calore ed il magnetismo che quella donna emanava rischiava di far aumentare a dismisura.
Non aveva argini potenti come quelli del lungarno, ma doveva prendere tempo, respirare per riacquistare sicurezza, non voleva fare qualche fesseria che la allontanasse da sé, interrompendo il contatto.
Era meglio concentrarsi sull’appuntamento.
Attraversarono Borgo Stretto e poi via Oberdan, fino all’incrocio con via di S. Lorenzo, e da qui, dritti, fino a Fisica.
Le strade accompagnavano i loro passi mentre discorrevano su cosa chiedere. Volevano sapere, comprendere il perché usassero il cemento, desideravano fare un passo in avanti e capire se il sospetto, finalmente, potesse mutarsi in certezza.
Entrarono da largo Bruno Pontecorvo nel dipartimento: una struttura mostruosa, assemblata, come una vecchia fabbrica, in capannoni e moduli, che trasmetteva una sensazione di neutralità e lontananza. Le costruzioni apparivano neutre come la scienza ed il metodo delle discipline esatte che devono presentarsi asettiche.
Li aspettava Sergio all’istituto di fisica nucleare. Aveva la stessa area scanzonata di un tempo stampata sul volto, circondato da una chioma di capelli ingrigiti.
L’identica persona di una volta, appesantita dagli anni, ma dallo sguardo vivo e vigile, pronta a cogliere le novità, ma capace, anche, di rientrare nel suo mondo di calcoli e formule per poi uscirne con scenari di ricadute sociali delle applicazioni tecnologiche.
Una capacità la sua rara, che ne aveva fatto una figura centrale nel panorama della ricerca nucleare in Italia: avevano di fronte a loro l’uomo giusto.
Si abbracciarono e appena dopo gli presentò Chiara spiegandogli nei dettagli cosa volevano da lui.
L’amico squadrò la donna con attenzione, per coglierne linee e curve.
«Sai, siamo a caccia di fantasmi, ma non riusciamo a vederne che l’ombra e sono delle immagini inquietanti che semi53
nano morte ed innescano bombe ad orologeria che produrranno effetti devastanti anche sulle generazioni future. Sono le scorie che vengono sotterrate in Africa ed inabissate nel Mediterraneo e a largo della Somalia».
«Totò, ti interrompo, purtroppo anche a distanza di tempo, debbo lamentare la tua approssimazione: una mancanza di metodo di indagine e una scarsa conoscenza del fenomeno. Non fare quella faccia, non nego nulla, ma vorrei darti un quadro complessivo dell’energia nucleare e dei suoi problemi. Voi parlate di scorie pensando che, anche, i guanti dell’infermiere del reparto ospedaliero di medicina nucleare siano un fattore inquinante. Fate confusione rendendo un servizio a chi realmente inquina e pregiudica il futuro».
«Professore – Chiara si intromise – ma sono state trovate tracce di cesio nei rottami di ferro sequestrati nel porto ed il problema dello stoccaggio dei residui delle lavorazioni nelle centrali esiste e ci espone ad un rischio enorme».
«Giusto, esiste, ma il 90% dei “rifiuti radioattivi”, oltre dieci milioni di tonnellate di materiali vari prodotti fino ad oggi, rappresenta solo l’1% della radioattività circolante negli scarti. Questi rifiuti sono un problema secondario che va trattato con le opportune cautele, ma gestibile e affrontabile, in maniera ragionevole, senza creare allarmismi. I tempi di ricaduta del residuo radioattivo, in questi casi, va da alcuni mesi a non più di dieci anni e dopo si rientra nei livelli di normalità: questi materiali non sono i più pericolosi».
«Se quello che dici è vero, ed è, sicuramente, vero, noi non cerchiamo questo tipo di materiale. Chi si prenderebbe la briga di imbarcare cose simili su navi e poi affondarle: il costo sarebbe troppo grande, sproporzionato». Salvatore faceva tesoro delle informazioni per portare il discorso in avanti. «Capirai, anche tu, che nessun faccendiere si metterebbe in un simile traffico: bastano le discariche legali ed illegali per abbattere i costi permettendo un rapido smaltimento, in Campania hanno fatto così».
«Facciamo un po’ di calcoli: lo smaltimento di questi scarti può avvenire legalmente per quelli i cui tempi di ricaduta sono inferiori ai 75 giorni, mentre gli altri vanno trattati e i
costi salgono subito e, quindi, quello che dici è parzialmente esatto».
Era bello starlo a sentire: nello scienziato era rimasta l’antica eloquenza, una macchina parlante.
«Per gli altri rifiuti occorre prevedere lo stoccaggio in siti appositamente predisposti e sia le tecniche che i materiali adoperati consentono di raggiungere un grado di sicurezza elevato. Devono essere impiegati le giuste lavorazioni da effettuare in centri appositamente attrezzati e, così, facendo i costi aumentano. Per questi materiali il traffico illegale può essere la soluzione vantaggiosa che consente di evitare lo stoccaggio».
Chiara seguiva la lezione.
« I problemi veri nascono con le scorie di secondo tipo, il 7% del totale dei rifiuti con il 4% dei residui radioattivi complessivi: in questo caso i tempi di decadimento sono di alcuni secoli. Capirete che si rende necessaria non solo la conservazione provvisoria, ma, uno stoccaggio di lungo periodo in depositi superficiali o a medie profondità, dopo avere eseguito sui rifiuti appositi trattamenti. Sono questi i rifiuti che vengono trafficati: il ciclo dell’energia nucleare ne ha prodotto quasi 400 mila tonnellate in giro per il mondo».
«Professore, ma sono cifre enormi: un’eredità che lasceremo agli altri, a quelli che verranno ed abiteranno la terra dopo di noi; possiamo permettercelo?».
«Non voglio scoraggiare il suo ardore, cara ragazza, ma lo sa che, senza le centrali nucleari, immetteremmo nell’atmosfera 2,4 miliardi di tonnellate annue di anidrite carbonica con un incremento significativo dei gas serra. Spero che conosca, già, gli effetti del riscaldamento, lo scioglimento dei ghiacciai, delle calotte polari, l’innalzamento dei mari, le carestie e le migrazioni conseguenti. Al contrario questo tipo di energia, in linea generale, è la più pulita, ma ci consegna un problema che ancora non siamo riusciti a risolvere: lo smaltimento dei rifiuti. Non lo affrontiamo adeguatamente perché siamo egoisti e non vogliamo investire risorse umane prima ed economiche poi preferendo arrabattarci alla meno peggio».
«Sergio, non so quantificare gli effetti delle varie fonti ener55
getiche, ma, sicuramente, le conseguenze del nucleare sono paurose. Abbiamo visto Chernobyl e quello che è successo».
«Quella centrale, Totò, era arretrata come concezione, tecnologia e gestione. È stato il frutto avvelenato, uno degli ultimi, di un regime arrivato al collasso e non più in grado di assicurare, neanche, l’ordinaria manutenzione. Oggi possiamo
persino riprocessare le scorie più pericolose e recuperare gran parte del materiale per il riutilizzo nel reattore. Le conquiste tecnologiche ci permettono di riusare quel 3% di scarti radioattivi che contengono oltre il 90% delle radiazioni complessive, consentendoci di limitare le scorie pericolose i cui tempi di decadimento superano le centinaia di migliaia di anni. Non siete qui per una lezione teorica, dalla telefonata che mi hai fatto ho capito che volete pormi delle domande specifiche».
Il cronista facendo un cenno di assenso raccontò: «Ci hanno segnalato carichi inspiegabili, cassoni ricoperti di granulato di marmo, lastre di cemento, cubi dello stesso materiale imbarcati su navi che non sono mai giunte nei porti di destinazione e quando, non sempre, sono ricomparse erano vuote, con livelli di radioattività superiori d 4-8 volte la soglia massima consentita».
«Siete sicuri delle fonti, potete dare garanzie assolute rispetto a quello che raccontano».
«Certo, professore, sono decine gli operai che hanno parlato di imbarchi notturni e della presenza del granulato e del cemento». La donna era stata pronta nella risposta.
Sergio, dopo un attimo di riflessione riprese a spiegare: «Lo sapete che il cemento, oltre ad essere uno schermante, è, anche, un materiale in cui inglobare le scorie e non si tratta di quelle di prima categoria, ma sicuramente di residui pericolosi o pericolosissimi. Per quelle di seconda categoria il cemento serve a rivestire i contenitori in cui il materiale viene sigillato, mentre, per quelle di terza categoria, il cemento, oltre al vetro, rappresenta la matrice in cui vengono intrappolate. Voglio sperare che si tratti di materiali appartenenti alla seconda categoria e cui effetti nocivi non rappresentano l’Apocalisse. Sono dei furfanti! Invece di affrontare i costi dello stoccaggio
disperdono i rifiuti creando dei rischi gravissimi per l’ecosistema e non parlo soltanto della specie uomo».
«Quindi – chiese Totò – è possibile che le navi trasportino rifiuti nucleari?».
«È certo, caro il mio cronista, il granulato serve da ulteriore schermatura. Non è possibile che tutto ciò avvenga per opera di trafficanti e mafiosi: le scorie di terza categoria vengono prodotte dalle centrali nucleari e su di esse gli stati esercitano un controllo costante. Attenti a come vi muovete: vedo non fantasmi, ma ombre nere in azione».
«Non ci spaventare. Affermazioni del genere, nella tua bocca, sono allarmanti, ma non posso mollare adesso che comincio a comprendere, non me la sento di negare al pubblico una sana dose di verità».
«Desidero che tu conosca bene quello di cui ti stai occupando ed i pericoli a cui vai incontro – e accennando a Chiara – e quelli a cui sottoponi la tua bella amica». Rivolto a lei «Non fidarti della sua aria distaccata da non credente: è un cinico manipolatore e senza che te ne accorga ti può trascinare in situazioni pericolose; lo conosco bene».
«Fa sempre così: cerca di allontanare da me le mie amiche per poi ammaliarle con la sua parola accattivante. Non lo negare, lo hai fatto e quando ci sei riuscito ne hai goduto perfidamente».
«Totò, non scherzo, parliamo di sostanze che sono sotto il controllo dei governi, dei loro sistemi di sicurezza. Sostanze le cui radiazioni rientrano nella normalità dopo 10.000 generazioni umane non sono gestite dalle mafie o da altri se non c’è il placet dei servizi e senza che la politica o alcuni ristretti settori di essa ne abbiano conoscenza e diano il loro benestare. Lo sai quanto costerebbe mettere in sicurezza i 7.500 metri cubi di scorie di terza categoria prodotte dalle centrali italiane dismesse? Provate ad indovinare? A prezzi correnti circa 5-6 mila miliardi di lire e, con l’aggiunta della demolizione delle quattro centrali, supereremmo di molto i 10 mila miliardi di lire».
«Avevamo ragione quando parlavamo di ecomafie».
«No, Chiara, non siamo alla presenza di ecomafie, ma di
qualcosa di più grave e Sergio ha ragione, non posso coinvolgerti: il terreno è minato e non voglio che tu salti su qualche ordigno. Faccio il pezzo sull’Intrigo radioattivo e poi vedremo quello che succede. Se colpisco il bersaglio qualcosa si muoverà e decideremo poi cosa fare. Al momento sono un ignaro cronista a caccia dello scoop, che non conosce il quadro della situazione e non rappresenta una minaccia per nessuno».
«Totò, posso darti qualche altro elemento: uno dei miei studenti mi ha segnalato la presenza di una azienda di proprietà di un avvocato, un certo Lagherio di Lecco, che offre di smaltire scorie nucleari e rifiuti tossici inabissandoli negli oceani, dopo averli racchiusi in capsule, idea bislacca e tecnica insicura».
«Va bene, la lezione può dirsi conclusa adesso ci tocca la ricreazione: l’illustre cattedratico ci offrirà il pranzo e spero proprio che ci porti in un ristorante rinomato e faccia godere anche a noi i frutti del suo successo».