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TAURIANOVA (RC), MERCOLEDì 01 MAGGIO 2024

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Professionismo antimafia: Spirlì non risponde, vincono raggiro e calunnia "Quel pasticciaccio brutto" delle tre domande sul "suicidio" del progetto etico MafiaNo lasciate in sospeso dal suo fondatore

Professionismo antimafia: Spirlì non risponde, vincono raggiro e calunnia "Quel pasticciaccio brutto" delle tre domande sul "suicidio" del progetto etico MafiaNo lasciate in sospeso dal suo fondatore
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di Agostino Pantano

La fine della recente campagna elettorale di Taurianova forse consente una migliore analisi di uno dei casi più interessanti emersi durante la competizione comunale, e relativo alla conclusione traumatica del progetto MafiaNo. L’annuncio fatto a mezzo stampa dal fondatore Nino Spirlì, con quell’inedito gioco tra il detto e il non detto, ha lasciato sul fondo una serie di interrogativi, alcuni veramente gravi, che hanno alimentato un mistero che ora – riguardando il delicatissimo tema della spesa di risorse pubbliche e del meritorio impegno culturale contro la ‘ndrangheta – diventa doveroso risolvere. Si tratta di questioni nevralgiche che riguardano il modo come viene amministrata la Provincia di Reggio Calabria e, soprattutto, come le istituzioni e i gruppi della società civile organizzano le proprie iniziative, in una fase in cui è alta l’attenzione della magistratura sui riscontrati opportunismi di certa antimafia. 

IL FATTO

Il 15 ottobre scorso, Spirlì ha pubblicato sul proprio blog un testo il cui titolo – “Addio MafiaNo, ultimo samurai!” – informa senza ombra di dubbio sulla conclusione del progetto che lo scrittore taurianovese aveva lanciato nel settembre 2012. L’eloquio solito dell’autore televisivo, spesso poetico e sempre sfacciato, è stato per una volta messo in soffitta però, e il lettore, facendo non poca fatica a districarsi tra formule barocche che in questo primo testo hanno nascosto i motivi dell’inatteso forfait, ha potuto cogliere una sola certezza nel dialogo, letterario e immaginifico, tra Spirlì e la sua creatura antimafia: «Non hai mai cercato beni confiscati, né finanziamenti gratuiti», scriveva il blogger rivolto al suo alter ego sociale.

Un lutto urlato ma non al meglio spiegato, però, visto che nelle stesse ore solo la lettura di un comunicato stampa diramato con la firma del “responsabile del progetto etico MafiaNo” – e rilanciato da siti e giornali – aiutava a comprendere i contorni della morte indotta. Un dramma questa volta trascritto con prosa asciutta, che apprendevamo essere conseguenza del fatto che «una delle associazioni aderenti al progetto – si legge nella nota stampa di Spirlì– ha tentato nel segreto delle sale del Palazzo di ottenere finanziamenti per proprie attività di cui l’intero gruppo di MafiaNo disconosceva l’esistenza». L’analisi incrociata delle due comunicazioni ha consentito quindi di stabilire con certezza, al netto dei dubbi che ogni panegirico in morte di qualcuno porta con sé, che dalla fondazione in poi non era stato mai «cercato» un finanziamento e, che, invece, in quelle ore era stato scoperto che «una delle associazioni» lo aveva fatto. In entrambe le dichiarazioni, Spirlì sceglieva di non riferire il nome del sodalizio accusato di tradimento, aggiungendo però un particolare nuovamente significativo, che spiegava il carattere assai informale della rete antimafia da lui creata: «Volutamente non abbiamo mai registrato il Bollino Etico come marchio».

IL PALAZZO NELLE NEBBIE

Può un soggetto che manca di registrazione completa chiedere, e ottenere, fondi pubblici? Visto il doppio racconto di Spirlì, sembrava già questo un primo quesito fondamentale per capire il grado di attenzione che gli uffici della Provincia prestano alle pratiche di questo tipo, particolarmente sensibili visto il settore di impegno – l’antimafia sociale – in cui il paventato finanziamento sarebbe stato incardinato. Ma era lo stesso comunicato del fondatore tradito ad aggiungere altri elementi misteriosi che avevano fatto sorgere altri interrogativi inquietanti. Ammoniva categorico il blogger, a proposito dell’intrallazzo morale da lui patito, che la pizzicata «associazione si è impegnata a ritirare entro 24 ore la richiesta presentata alla Provincia di Reggio Calabria. Qualora il finanziamento fosse già stato autorizzato, la stessa associazione provvederà a consegnare l’intera somma ai responsabili del progetto MafiaNo che, pubblicamente, la devolveranno in beneficenza a famiglie bisognose».

Può una somma elargita da un ente pubblico per un progetto antimafia cambiare destinazione e arrivare nella disponibilità dei «responsabili» di un progetto non al meglio autorizzato, che la spendono per fini diversi da quelli originariamente individuati?

Anche questo secondo interrogativo, come è evidente, chiamava in causa responsabilità della politica e della burocrazia ma, in più, faceva emergere uno spaccato molto più grave che farebbe ipotizzare un raggiro sventato grazie alla denuncia pubblica di Spirlì e, comunque, una serie di condotte a monte e valle che andrebbero contro l’interesse pubblico e la spesa corretta delle risorse.

LA MEZZA PROMESSA DI SPIRLI’

Trattandosi quindi di possibili notizie di reato, chiedere fondi senza avere titoli e imporne il dirottamento a mezzo stampa, senza averne i titoli, è chiaro come la questione – che inizialmente sembrava tutta interna al mondo dell’antimafia sociale, diventata politica per la chiamata in causa della Provincia – poi abbia assunto un rilievo primario attualissimo, visto che le cronache sono purtroppo piene di notizie che danno conto di indagini su possibili strumentalizzazioni dell’impegno antimafia delle associazioni.

Durante la campagna elettorale avevo affrontato la vicenda direttamente con una lettera aperta trasmessa a Spirlì tramite il social network Facebook, in cui, sottolineando i suoi meriti – ovvero l’aver sventato un presunto raggiro ai suoi e ai nostri danni – gli chiedevo di fare il nome dell’associazione che si era macchiata del tradimento, visto che la rete MafiaNo comprende 23 gruppi sparsi in tutta la regione ed è giusto, anche per evitare future riproposizione di rischi, non mettere tutti nello stesso calderone della delazione indistinta.

Da abile comunicatore, il destinatario della mia missiva non scansava l’argomento e, interloquendo in pubblico, dava però una risposta nuovamente abbottonata – molto poco “alla Spirlì” – chiarendo che non era il terreno mediatico quello in cui intendeva fare nomi, e limitandosi a spiegare: «non ne parlo certamente su fb; ci sono sedi adeguate; ai social consegno la notizia, non le denunce».

Quel “pasticciaccio brutto” di MafiaNo, dunque, a seguito dell’ulteriore striminzita spiegazione di Spirlì – che neanche sulla televisione che dirige abbia affrontato l’incognita della sua reprimenda urlata ma non chiarita – si è gonfiato con terzo interrogativo: vi è stata, o no, la denuncia promessa e da formalizzare alle autorità competenti con nome, cognome e indirizzo dell’associazione disubbidiente?

LA CALUNNIA COLLETTIVA

La scelta di Spirlì di non fare il nome in pubblico, ma di impegnarsi a farlo nelle «sedi adeguate», se da un lato ha preservato la riservatezza a favore dell’unica associazione pizzicata a chiedere risorse pubbliche senza averne i titoli, dall’altro autorizza chiunque voglia evitare in futuro di imbattersi nella riproposizione di simili speculazioni a segnalare col bollino nero il resto della rete che aveva sostenuto il progetto. Nell’elenco dei partner di MafiaNo si trovano 22 soggetti che nulla hanno a che fare con le condotte immorali denunciate mediaticamente, e ognuno è tentato di ipotizzare che, vista la genericità dell’accusa di Spirlì, l’associazione incriminata sia quella degli “angeli bianchi di Reggio Calabria” piuttosto che quella del “sindacato autonomo lavoratori pubblico impiego di Cittanova”, giusto per fare qualche esempio.

Insomma, un mistero che si infittisce questa volta in danno di chi al progetto etico aveva creduto e non aveva disobbedito alle consegne di Spirlì improntate al rifiuto di «finanziamenti gratuiti». 

IL PALAZZO REFRATTARIO

Già, le consegne di Spirlì. Anche su queste avevo provato a saperne di più interpellando, nuovamente con una lettera aperta su Facebook, il presidente della Provincia Giuseppe Raffa, che però, contrariamente a quanto fa di solito, non mi ha risposto sebbene in diverse occasioni pubbliche era stata annunciata una partnership strutturata tra il Consiglio provinciale e la rete di MafiaNo, sancita addirittura dalla presenza del presidente Antonio Eroi alla prima manifestazione organizzata nel nome del progetto oggi naufragato.

Ora che Spirlì ha chiuso il suo cantiere antimafia, sarebbe importante stilare un resoconto di eventuali eventi, programmi presentati con il «marchio non registrato» e vedere se e quanto la gratuità che aveva garantito il fondatore – che dice di averla mantenuta per un soffio, ma sacrificando la vita della sua creatura – sia stata poi in effetti l’impronta di quest’impegno antimafia.

Visto che l’inquilino di Palazzo Foti non intende rispondere, sarebbe il caso che la domanda gli venisse fatta per le vie formali.

TRE QUESITI SUL PROFESSIONISMO ANTIMAFIA ABORTITO

Con l’obiettivo di mettere le istituzioni e l’opinione al riparo da future speculazioni, dunque, sono almeno tre i quesiti a cui bisogna assicurare risposta per ridare serietà e trasparenza all’impegno antimafia complessivo.

1) Può un soggetto che manca di registrazione completa chiedere, e ottenere, fondi pubblici?

2) Può una somma elargita da un ente pubblico per un progetto antimafia cambiare destinazione e arrivare nella disponibilità dei «responsabili» di un programma non al meglio autorizzati, che la spendono per fini diversi da quelli originariamente individuati (l’antimafia)?

3) Vi è stata, o no, la denuncia alle autorità competenti dell’associazione disubbidiente e, in caso affermativo, è possibile sapere il nome del gruppo che potrebbe speculare in futuro?