Processo al giornalista Pantano, la senatrice Ricchiuti interroga il ministro di Giustizia Lucrezia Ricchiuti definisce «assai precaria» l’accusa di ricettazione: «La segretezza delle relazioni prefettizie è priva di agganci legislativi»
Approda all’attenzione del governo il caso del giornalista Agostino Pantano, rinviato a giudizio con l’accusa di ricettazione per aver scritto un’inchiesta sullo scioglimento per mafia del consiglio comunale di Taurianova.
La senatrice Lucrezia Ricchiuti ha presentato un’interrogazione a risposta scritta al ministro di Giustizia, Andrea Orlando, descrivendo la vicenda del cronista calabrese che, nel processo che partirà a Palmi il 16 aprile, risponde per degli articoli pubblicati, nel 2010, dal quotidiano Calabria Ora.
La parlamentare componente della commissione bicamerale Antimafia, che aveva preso posizione a difesa del diritto di cronaca subito dopo la denuncia pubblica fatta dal segretario calabrese della Fnsi, Carlo Parisi, ha incentrato il suo atto ispettivo anche sulla contraddittoria segretezza delle relazioni prefettizie di Accesso, documento sul Comune calabrese che il giornalista aveva avuto la possibilità di visionare per attingere alle informazioni poi riportate nei suoi 15 servizi.
«L’accusa – scrive la senatrice del Pd a proposito del particolare capo d’imputazione addebitato a Pantano – parrebbe assai precaria, dal momento che il delitto da cui proverrebbe la cosa oggetto della ricettazione, vale a dire la rivelazione del segreto d’ufficio, dovrebbe presupporre una segretezza stabilita per legge o da altra fonte idonea. La segretezza delle relazioni prefettizie prodromiche allo scioglimento dei Comuni è del tutto priva di agganci legislativi».
Se per la Procura di Palmi Pantano si è «avvantaggiato» grazie ad un documento considerato «riservato» e del quale non è stato mai accertato il suo possesso, senza venire mai incriminato per diffusione di segreto istruttorio o per aver ostacolato la giustizia, secondo l’interrogante il reato della ricettazione sarebbe invece da escludersi «posto – si legge nell’atto ispettivo – che la proposta ministeriale di scioglimento e il relativo decreto del Presidente della Repubblica (che generalmente recepiscono il contenuto delle relazioni) sono pubblicati in Gazzetta Ufficiale, tanto più che il comma 11 dell’articolo 143 del Tuel prevede che il sindaco del Comune sciolto sia incandidabile, ciò che quindi deve essere noto alla comunità degli elettori».
Nell’interrogazione, inoltre, il caso del giornalista Pantano viene riferito assieme a quello dei cronisti della Gazzetta di Mantova – Rossella Canadè, Igor Cipollina, Gabriele De Stefani e Paolo Boldrini – recentemente indagati per la pubblicazione di atti relativi ad un’inchiesta contro un clan di ‘ndrangheta attivo in Lombardia.
A parere della senatrice Ricchiuti, che nei giorni scorsi aveva proposto all’Ufficio di presidenza della commissione antimafia l’audizione del giornalista calabrese e dei colleghi lombardi, «l’avvio di queste due inchieste sembra davvero frutto di un eccesso di zelo da parte degli uffici giudiziari, che potrebbe oggettivamente fare il gioco di chi vorrebbe una stampa meno libera».
Proprio sul ruolo dei media nel contrasto alle organizzazioni criminali, l’interrogante si sofferma per affermare che «la lotta alle mafie è compito di tutti e richiede una coscienza civile diffusa, affinché il lavoro della magistratura e delle forze dell’ordine non sia svolto in solitudine», sottolineando altresì la necessità di costruire una «vera trincea contro le mafie» e, per questo fine, definendo «essenziale il ruolo di informazione svolto dalla libera stampa».
Al ministro Orlando, infine, viene chiesto «se disponga di dati sulle indagini a carico di giornalisti per attività di cronaca su processi di mafia e sui relativi esiti».
L’interrogazione ha fra l’altro il merito di porre una questione, quella relativa alla presunta segretezza delle notizie rivelate da Pantano, che appare sempre più urgente affrontare poiché lo scioglimento dei consigli comunali, da fatto straordinario, è diventato negli anni effetto politico e prassi molto frequenti.
La vicenda giudiziaria in cui è incappato il giornalista Pantano, senza precedenti nella storia delle inchieste sulle infiltrazioni mafiose nella politica, in assenza di un autorevole chiarimento – fuori dalle aule di giustizia – in futuro potrebbe ripetersi in danno di tanti altri cronisti che trattano casi analoghi, costituendo per questo un definitivo e preoccupante bavaglio alla stampa su fatti così nevralgici per la doverosa denuncia del connubio tra amministrazioni pubbliche e criminalità organizzata.
Un effetto tanto più limitativo del diritto\dovere di cronaca, tenuto anche conto dell’aggravante insita nel caso di cui è protagonista Pantano, la cui inchiesta giornalistica sullo scioglimento del consiglio comunale di Taurianova aveva già superato indenne un primo giudizio, nel 2011, quando la posizione del cronista venne archiviata dopo una querela sporta dall’ex sindaco Rocco Biasi che lamentava di essere stato diffamato dai servizi pubblicati.
Il lavoro di Pantano, giornalista che viene accusato dalla Procura di Palmi di aver tratto «un profitto» durante quello che il Gip di Cosenza ha definito nella sua ordinanza un normale «esercizio del diritto di cronaca», aveva superato positivamente il vaglio dell’autorità giudiziaria anche rispetto all’altra ipotesi di reato classica in occasione di servizi giornalistici su atti generalmente ritenuti coperti dal segreto d’ufficio.
Fattispecie accusatoria, quest’ultima, che il Tribunale bruzio – all’epoca competente a trattare la querela per diffamazione – aveva escluso decidendo, in maniera del tutto inconsueta, di trasmettere gli atti alla Procura ordinando di indagare Pantano per ricettazione.
Tocca ora al giornalista, che al tempo dell’inchiesta aveva un contratto a tempo indeterminato con la mansione di responsabile della redazione di Calabria Ora, l’onere di dimostrare nel processo – in cui è assistito dall’avvocato Salvatore Costantino e dall’ufficio legale della Fnsi – che nessun «profitto» indebito un cronista può trarre nel normale espletamento del suo incarico di lavoro e che rappresenta un vulnus per la democrazia la malsana convinzione che una notizia pubblicata possa trasformarsi da bene immateriale in “refurtiva ricettata”.