Potere e Stato (seconda parte) Continua la riflessione del giurista blogger Giovanni Cardona, sul rapporto tra identità collettive, il potere, la libertà e lo Stato
Altra caratteristica dell’autorità è che essa ha bisogno dell’approvazione e della collaborazione di tutti i cittadini, senza di che non è possibile comandare, perché comandare significa educare, istruire, giudicare, e senza collaborazione è impossibile fare tutto ciò.
Sia chi comanda che chi obbedisce sono chiamati ad agire nel senso di dirigere, la vita; e l’individuo, in quanto natura razionale, deve ubbidire all’autorità.
Il primo beneficiario della carenza di comando e di ubbidienza è l’attuale concezione “turbocapitalistica” dello Stato coniata dal filosofo Diego Fusaro, che approfitta del caos per farsi portatore di una ben diversa concezione statuale, quello concentrato e forte, e di una ben diversa moralità pubblica.
Si è parlato tanto male della dittatura: nella concezione romana la ragione del dittatore era unicamente la difesa della Patria in pericolo, il bene comune e non certo il desiderio di comandare senza vincoli e senza controlli, tanto che cessato il pericolo cessava la dittatura.
La gloria del pensiero unico moderno, non è nelle varie filosofie che tutte si contraddicono, ma nell’avere compreso una grande verità: che la prima verità è l’assoluto senza il quale non è possibile intraprendere un percorso virtuoso volto al diritto ed alla moralità.
La nostra democrazia ha dato Governi senza autorità e quindi ha creato, attraverso il vuoto delle istituzioni, crepe paurose.
Il difetto è del sistema, perché un sistema valido funziona anche con uomini mediocri, mentre un sistema non valido rende vano ogni più nobile proposito e ogni merito individuale.
Non si è mai avuta un’epoca più assurda e più cieca, un più pauroso vuoto di potere politico, una società continuamente minacciata nelle sue tradizioni e nei suoi valori morali.
Se questa è democrazia, bisogna dare ragione a Gaetano Mosca che considerava la democrazia un sistema politico non onesto e non funzionale.
Noi abbiamo un regime corrotto e confuso, permeato di correnti libertarie, socializzanti, anarcoidi, pseudo capitalistiche, un regime che non ha confidenza nell’avvenire, che costituisce un sistema del tutto inaccettabile, formatosi lungo il travaglio di infinite delusioni.
La nostra democrazia, con la sua assurda permissività, non è stata capace di assumersi la difesa dei valori liberali, ne’ è stata capace di creare una classe politica sulla base del merito personale e della capacità tecnica.
La democrazia, come bene definito, dice Salvemini, non esiste e non esisterà mai, esiste solo la fede operante nella democrazia e la insonne lotta contro la degenerazione delle istituzioni umane, ossia la democrazia in cammino.
La non democrazia è invece nella natura umana, perché l’inefficienza dei Governi lascia aperta la strada alle forze opposte organizzate, alle cristallizzazioni ed alle oligarchie.
Ha giustamente osservato Maranini, che il problema della democrazia, la quale per definizione si configurerebbe quale governo di popolo, è una definizione errata, perché il governo democratico non è il governo del popolo, ma è «quel governo nel quale si ottiene la maggiore possibile identificazione fra governanti e governati. Impostare, poi, la democrazia sull’eguaglianza è un altro errore perché gli uomini non nascono eguali: taluni sono forti ed altri deboli, taluni accorti ed altri tardi, taluni dotati di preziose doti tecniche, altri inetti quasi ad ogni attività, taluni energici ed imperiosi altri remissivi e passivi. Anche se gli uomini fossero artificialmente ricondotti per un momento a completa uguaglianza giuridica, economica e sociale (ipotesi mai verificatasi), subito nuove disuguaglianze e nuove gerarchie sorgerebbero e non solo perché provengono dalla natura dell’uomo singolo, ma perché corrispondono ai bisogni insopprimibili della vita associata.».
La nostra democrazia ha aperto la strada a molte nullità, abili soltanto nell’arte delle mistificazioni e delle manipolazioni, ma non certamente nell’arte assai difficile della politica e quella ancora più difficile di governare i popoli.
Con uomini siffatti, privi di cognizioni d’intelletto e spesso anche di moralità, non è possibile realizzare una democrazia pluralista e garantista organica e globale.
Noi siamo travagliati da una crisi perenne di insoddisfazione, perché siamo incapaci di restaurare l’idea del dovere, siamo senza educazione, senza legge e senza fede, la criminalità organizzata e la corruzione degli ambienti politici vanno di pari passo.
Noi ci troviamo nell’epoca della dissoluzione estrema, perché siamo senza miti e senza ideali.
Ogni vera democrazia, si suol dire, ha i suoi miti: la democrazia americana ha il culto del puritanesimo, quella francese l’orgoglio nazionale, quella tedesca il culto della razza ariana, l’inglese l’amore per la monarchia.
Noi potremmo, a buon diritto, avere il culto della romanità e del Rinascimento, i miti più grandi del mondo, i grandi miti della Provvidenza, ma ci siamo rivelati figli degeneri di quel grande passato.
Subito dopo la prima guerra mondiale vi fu in Italia il culto del nazionalismo, che fu un grande ideale, al quale confluivano uomini di grande cultura come D’Annunzio, che con il suo esasperato estetismo travolgeva i giovani in un delirante entusiasmo, e poi Papini, Corradini, Prezzolini, Oriani e tanti altri.
Oggi il nazionalismo non è solo tramontato ma si alimentano tutte le forze disintegrative della Nazione.
I Governi si sono appalesati come una fabbrica confusa di agitazioni, sprofondati nel disastro, incapaci di fronteggiare e riorganizzare Io Stato, di dargli uno sviluppo politico, equilibrato e deciso.
Vi sono mille problemi cruciali che divengono insolubili per mancanza di coerenza e di omogeneità: in queste condizioni il paese precipita nell’anarchia e nella sventura.
(continua)