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TAURIANOVA (RC), DOMENICA 28 APRILE 2024

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Palmi, la Dda sequestra il palazzo simbolo del potere mafioso dei Gallico

Palmi, la Dda sequestra il palazzo simbolo del potere mafioso dei Gallico

L’immobile è un palazzo di 4 piano dal valore complessivo di circa 3 milioni di euro

Palmi, la Dda sequestra il palazzo simbolo del potere mafioso dei Gallico

Il sequestro è stato disposto dalla sezionemisure di prevenzione del tribunale di Reggio Calabria su richiesta della distrettuale antimafia di Reggio Calabria. L’immobile è un palazzo di 4 piano dal valore complessivo di circa 3 milioni di euro

 

 

PALMI – La polizia ha sequestrato quello che gli investigatori definiscono «il simbolo del potere mafioso esercitato dalla cosca Gallico sul territorio di Palmi». Si tratta di un palazzo di quattro piani con cinque appartamenti abitati e quattro rustici, situato in un appezzamento di terreno circondato da alte mura di cinta e protetto da un massiccio cancello blindato. L’edificio, del valore di 3 milioni di euro, è stato sequestrato su richiesta della Dda reggina. L’immobile, il cui sequestro è stato disposto dal Tribunale di Reggio Calabria – Sezione misure di prevenzione, è di proprietà di Lucia Giuseppina Morgante, di 86 anni, vedova di Antonino Gallico. Il provvedimento è stato eseguito da personale dell’Ufficio misure di prevenzione della Divisione anticrimine della Questura di Reggio Calabria e del Commissariato di Palmi. L’operazione, hanno riferito gli investigatori, costituisce un brillante risultato, vista la valenza simbolica dell’ imponente immobile, definito «emblema del potere esercitato dal clan Gallico sull’intera comunità di Palmi e nel territorio della Piana di Gioia Tauro» e «base logistica per gli affari della famiglia che negli anni scorsi ha rappresentato il rifugio per lo stesso Giuseppe Gallico, per il padre Antonino ed il fratello Domenico, durante il periodo della loro latitanza».

Prima hanno estorto il terreno ai legittimi proprietari attentando alla vita di due possibili acquirenti e poi hanno costretto un imprenditore a costruire a sue spese il palazzo diventato la basa logistica della cosca Gallico di Palmi e divenuto simbolo materiale del loro potere. A raccontare la genesi dell’edificio sequestrato oggi dalla polizia, è uno dei boss della cosca, Giuseppe Gallico, di 57 anni, già condannato definitivamente all’ergastolo nel 1994, parlando con la moglie Maria Carmela Susace, la figlia Italia Antonella Gallico e il genero Vincenzo Barone. Il colloquio, intercettato nel carcere di Secondigliano (Napoli) nell’ottobre 2007, è agli atti dell’inchiesta “Cosa Mia” coordinata dal procuratore aggiunto di Reggio Calabria Michele Prestipino e dal pm Sara Ombra che nel 2010 ha portato all’arresto di numerosi affiliati alla cosca dei Gallico – Morgante – Sgrò – Sciglitano di Palmi e quelle contrapposte dei Bruzzise-Parrello operanti nella frazione di Barritteri di Seminara, protagoniste di una faida tra il 2004 ed il 2008. Agli indagati, tra l’altro, veniva contestata l’infiltrazione negli appalti per l’ammodernamento dell’autostrada A3 tra gli svincoli di Gioia Tauro e Scilla, con la pretesa del pagamento di una tangente del 3% dell’importo fissato nel capitolato d’appalto alle ditte appaltatrici, la cosiddetta “tassa ambientale”. Giuseppe Gallico, ai familiari ha raccontato come, negli anni 1979 – 80, mediante l’uso della violenza e della prevaricazione tipica mafiosa, si era impadronito prima del terreno e poi della palazzina in cui la famiglia Gallico ancora oggi risulta risiedere. L’uomo ha riferito che il terreno, era di fatto amministrato da un avvocato al quale era giunta una proposta di acquisto. Ciò aveva scatenato le ire della famiglia Gallico. Giuseppe Gallico ha raccontato che con la complicità dei suoi fratelli Domenico (54) ed Alfonso (55), aveva organizzato un attentato nei confronti del possibile acquirente e della sorella. L’attentato, non mortale, aveva indotto il legale a trasferire ai Gallico la proprietà senza alcun compenso. Successivamente, sempre secondo quanto ha raccontato Gallico ai familiari, Gallico ha imposto ad un altro avvocato il pagamento di alcune somme di denaro, costringendo il cognato del legale a non accedere più ad una villa di sua proprietà realizzata su un terreno vicino a quello dei Gallico. Solo dopo un anno e mezzo, mediante l’intercessione del legale, Gallico “aveva concesso” al proprietario della villa “l’autorizzazione” a rientrare nella sua proprietà a patto che si accollasse in toto le spese per la costruzione del palazzo. Le indagini condotte dalla squadra mobile di Reggio Calabria e dal Commissariato di Palmi hanno anche evidenziato la sproporzione tra i redditi percepiti da Giuseppe Gallico e dalla sua famiglia ed i costi di costruzione dell’immobile.

PRESTIPINO, NON CI SONO ZONE IMPUNITA’. NON C’E’ ALCUN POTERE CRIMINALE CHE STATO NON POSSA INTACCARE’

“Privare la ‘ndrangheta e le famiglie che la compongono dei beni illecitamente accumulati e’ uno degli obiettivi strategici della Dda di Reggio Calabria e della sua azione”. Lo ha detto all’ANSA il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Michele Prestipino in relazione al sequestro, effettuato stamani, di un edificio della cosca Gallico, a Palmi, divenuto simbolo del potere della famiglia sul territorio. “Quando poi – ha aggiunto Prestipino – questo bene, come è il palazzo dei Gallico, rappresenta anche un simbolo del potere mafioso realizzato sul territorio, il sequestro assume una duplice valenza e, in particolare, dimostra che non ci sono santuari o zone di impunità e che non c’é alcun potere criminale che lo Stato non possa intaccare con la propria azione. Questo è il principale significato del provvedimento eseguito stamani nei confronti dei Gallico di Palmi”.

ECCO LA NOTA DIRAMATA DALLA QUESTURA DI REGGIO CALABRIA

Nell’ambito dell’attività di aggressione ai patrimoni illecitamente acquisiti da parte di soggetti appartenenti alla criminalità organizzata, il Tribunale di Reggio Calabria – Sezione Misure di Prevenzione, su richiesta della locale Procura della Repubblica, con decreto emesso il 16.10.2012, ha disposto il sequestro dell’immobile sito nel Comune di Palmi, in via Concordato, nella disponibilità della famiglia GALLICO e di proprietà di MORGANTE Lucia Giuseppina (cl. ’26), vedova di Antonino GALLICO (cl. ’28).

Il provvedimento, eseguito da personale dell’Ufficio Misure di Prevenzione della Divisione Anticrimine della Questura e del Commissariato di Palmi, è relativo ad uno stabile costituito da un fabbricato in cemento armato con scantinato e quattro piani fuori terra, all’interno del quale sono stati ricavati cinque appartamenti rifiniti ed abitati e quattro appartamenti, allo stato rustici, immesso in un più vasto appezzamento di terreno circondato da alte mura di cinta e protetta da un massiccio cancello blindato. Tale struttura, comunemente intesa “villa” rappresenta il simbolo del potere mafioso esercitato dalla famiglia Gallico nel territorio di Palmi.

L’odierna richiesta di sequestro ha preso le mosse da un’attività investigativa della Procura della Repubblica – D.D.A. di Reggio Calabria da cui è scaturito il procedimento penale n. 4508/06 R. G. N. R./D. D. A. e n. 2815/07 R. G. G. I. P./D. D. A., poi sfociato nelle due ordinanze di custodia cautelare n. 107/09 O. C. C. e n. 1/10 O. C. C., del maggio 2010, meglio noto come Operazione “COSA MIA”, a carico, tra gli altri, dei principali esponenti delle cosca GALLICO, eseguita dalla locale Squadra Mobile e dal Commissariato di P. S. di Palmi.

Si ricorda che tale operazione, traeva spunto dagli esiti di una minuziosa indagine riguardante le ‘ndrine dei Gallico-Morgante-Sgrò-Sciglitano gravitanti in Palmi e quelle contrapposte dei Bruzzise-Parrello operanti nella frazione di Barritteri di Seminara, protagoniste di una faida tra il 2004 ed il 2008. Sono accusati di estorsione e altri delitti contro il patrimonio, associazione mafiosa e di infiltrazione negli appalti legati all’ammodernamento del V macrolotto dell’autostrada A3 (tra gli svincoli di Gioia Tauro e Scilla), con la pretesa del pagamento di una tangente del 3% dell’importo fissato nel capitolato d’appalto alle ditte appaltatrici (c.d. “tassa ambientale”) e il rifornimento di calcestruzzo da aziende vicine agli ambienti mafiosi.

I recenti accertamenti degli organi inquirenti hanno fatto piena luce sulle modalità di acquisizione del palazzo dei Gallico, oggetto dell’odierno sequestro, e sul terreno sul quale è stato edificato.

In particolare, nel corso di un colloquio, oggetto di intercettazione, avvenuto nell’ottobre 2007 all’interno della Casa Circondariale di Secondigliano (NA), intercorso tra Giuseppe GALLICO (cl. ’55), già condannato definitivamente all’ergastolo nel 1994, la moglie Maria Carmela SURACE, la figlia Italia Antonella GALLICO e il genero Vincenzo BARONE, il detenuto raccontava ai propri familiari come, negli anni 1979 – 80, mediante l’uso della violenza e della prevaricazione tipica mafiosa, si era impadronito prima del terreno e successivamente della palazzina in cui la famiglia GALLICO tutt’oggi risulta risiedere. Lo stesso riferiva che, in origine il terreno era di proprietà della principessa PIGNATELLI, ma di fatto amministrato dall’Avvocato Luigi LA CAPRIA (cl. ’40), il quale aveva ricevuto una proposta di acquisto da parte di ROSSINI Saverio (cl. ’22), che aveva scatenato le ire della famiglia GALLICO, evidentemente interessata ad impossessarsi del terreno senza sborsare alcuna somma di denaro. Sempre in base al suo racconto, GALLICO Giuseppe aveva preso in mano la situazione e, con la complicità dei suoi fratelli Domenico (cl. ’58) ed Alfonso (cl. ’57), aveva organizzato un attentato nei confronti del ROSSINI e della di lui sorella Teresa. Tale attentato, non mortale, aveva indotto l’Avvocato LA CAPRIA, già amministratore dei terreni oggetto di contesa, a redigere un atto con il quale trasferiva a beneficio dei GALLICO, la proprietà dell’immobile in questione, senza che questi ultimi sborsassero realmente alcun compenso.

Le affermazioni di piena ed inconfutabile valenza autoaccusatoria da parte di Giuseppe GALLICO, proseguivano e riguardavano anche la costruzione dell’immobile oggetto di sequestro. In merito a tale vicenda, GALLICO Giuseppe dichiarava anche di avere imposto all’Avvocato MASSEO Marco (cl. ’22) di Palmi, il pagamento di alcune somme di denaro, chiaramente a titolo estorsivo. Lo stesso aveva costretto il cognato del legale, identificato in LIROSI Alfonso (cl. ’32), a non accedere più ad una villa di sua proprietà giacente su di un terreno limitrofo a quello dei GALLICO e sulla quale la stessa famiglia mafiosa aveva puntato l’attenzione con il chiaro scopo di appropriarsene in maniera illecita. Solo dopo un anno e mezzo, mediante l’intercessione del predetto Avvocato MASSEO, GALLICO Giuseppe “aveva concesso” al malcapitato “l’autorizzazione” a rientrare nella sua proprietà a patto che LIROSI, per poter esercitare il diritto di godimento del proprio bene, si accollasse in toto le spese per la costruzione del manufatto “de quo”.

Alla valenza delle acquisizioni probatorie inerenti il procedimento “Cosa Mia” ed alle conversazioni ambientali registrate all’interno della Casa Circondariale di Secondigliano (NA), si aggiungono le attività di indagine patrimoniale che hanno ricostruito ed evidenziato la sproporzione tra i redditi percepiti da Gallico Giuseppe, dai genitori e dai fratelli ed i costi di costruzione affrontati per la realizzazione dell’immobile, risalente agli anni ’80. Si ricordi, tra l’altro, che tale sperequazione era stata già motivo di precedente confisca da parte del Tribunale di Rc- sez. M.P. nel 1999, successivamente revocata dalla Corte d’Appello di Rc, nel 2003.

L’attività odierna di esecuzione rappresenta l’ennesimo brillante risultato, realizzato nel delicatissimo settore dei sequestri patrimoniali, tenuto conto della valenza simbolica dell’imponente immobile oggetto del provvedimento del Tribunale, emblema del potere esercitato dal clan GALLICO sull’intera comunità di Palmi e nel territorio della Piana di Gioia Tauro, base logistica per gli affari della famiglia che negli anni scorsi ha rappresentato il rifugio per lo stesso Giuseppe Gallico, per il padre Antonino ed il fratello Domenico, durante il periodo della loro latitanza.

Il valore del patrimonio sequestrato ammonta a circa tre milioni di euro.