Noi, “grandi” bambini
redazione | Il 31, Ago 2013
Quando si inizia un’esperienza, non c’è modo di sapere come essa finisce
di MIRCO SPADARO
Noi, “grandi” bambini
Quando si inizia un’esperienza, non c’è modo di sapere come essa finisce
di Mirco Spadaro
Quando si inizia un’esperienza, non c’è modo di sapere come essa finisce. Non possiamo conoscerne l’ora. Né il modo. Ogni tanto, siamo talmente abituati a qualcuno, a qualcosa, che non ci rendiamo nemmeno conto di quanto questa ci sia vicina. Di quanto possa essere importante. Arriviamo sempre al punto di gettarla. Di lasciarla. Fino a fermarci un attimo prima di compiere il gesto. In quel preciso momento, ricordiamo ogni cosa: sogni e passioni. Dolori e ferite. Lacrime e sorrisi. Ogni cosa. In quel piccolo momento siamo di nuovo quel bambino davanti al negozio di bicilette che grida: <<me la compri mamma?>>
In quel breve secondo siamo ancora noi. Bambini con le lacrime agli occhi. Ci ravvediamo e facciamo un passo indietro. Poi, tutto, comincia di nuovo. Ma è normale, quasi routine. Perché siamo preda di quel meccanismo. Intrecciati in esso, come esso è parte di noi. Ma anche quel meccanismo si rompe. Sia ciò che perdiamo come una bicicletta, oppure un semplice drappo di velluto. Nulla è per sempre, neanche il dolore, le passioni o i desideri. Eppure, proprio un attimo prima, che la corda si spezzi, noi siamo ancora noi: il grande “bambino” con le lacrime agli occhi.
Ci insegnano, che essere “grandi” vuol dire essere capaci di non soffrire. Di non essere più quel bambino. Di non curarsi della routine, ma di lasciar… scorrere.
Eppure è difficile. Siamo troppo abituati al mondo, che ci circonda. Troppo inconsapevoli di quello che abbiamo, fino a quando non c’è più. Troppo occupati a scavalcare montagne, per renderci conto che, forse, non ne abbiamo bisogno. Ogni uomo-bambino ha il suo drappo rosso, che sia questo un pallone o delle ruote non importa. Ce ne dimentichiamo. Magari, lo buttiamo. Eppure, lui è sempre li. Tra noi e il mondo che ci circonda. Così piccolo da non farci più caso. Eppure, è sempre lì. Splendente e raggiante come la prima volta, che lo abbiamo visto. Qualcuno lo chiama infanzia. Qualcun altro, più semplicemente, felicità. Sono cuori di ricordi, colorati dai nostri sogni. Dalle nostre fantasie più stravaganti. Dai nostri hobby e dalle nostre passioni. Ci dicono, che non abbiamo fantasia. Eppure, senza un briciolo di quest’ultima, come faremmo a ricamare sopra i nostri desideri?
Ci dicono, che essere “grandi” vuol dire essere capaci di non soffrire. Di non essere più quel bambino. Di non curarsi della routine, ma di lasciar scorrere. Eppure, io credo che essere adulti non voglia dire essere capaci di non soffrire. Ma fingere, di non soffrire.
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