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TAURIANOVA (RC), DOMENICA 15 DICEMBRE 2024

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Nesci (M5S) interroga Alfano e Cancellieri sul testimone di giustizia Pietro Di Costa

| Il 31, Ott 2013

Ecco il testo integrale dell’interrogazione

Nesci (M5S) interroga Alfano e Cancellieri sul testimone di giustizia Pietro Di Costa

Ecco il testo integrale dell’interrogazione

 

 

Dalila Nesci, deputata M5S di Tropea (Vibo Valentia), ha presentato stamani un’interrogazione ai ministri dell’Interno e della Giustizia, chiedendo «quali misure intendano adottare per la sicurezza e l’effettivo reinserimento economico e sociale del testimone di giustizia Pietro Di Costa e della sua famiglia».
La parlamentare, preoccupata per l’attuale condizione di Di Costa, rimasto a Tropea senza fonte di reddito, ha poi domandato ai ministri Angelino Alfano e Annamaria Cancellieri «se non ritengano di approfondire le doglianze del testimone di giustizia, che comunicò la rinuncia al suo istituto di vigilanza per difficoltà riconducibili a pressioni di tipo mafioso, poi ritrovandosi, all’atto della seconda istanza di licenza, con una nuova, penalizzante disciplina in materia di autorizzazione». Di Costa rinunciò al proprio istituto di vigilanza con sede a Tropea, poi entrò nel programma di protezione e ne uscì, convinto che di tornare alla vecchia attività, il cui permesso gli fu negato per assenza dei requisiti minimi, previsti da una recente legge. La deputata Cinque Stelle vuole dunque sapere, «per la gravità delle denunce del Di Costa, quali accertamenti intendano disporre gli interrogati per verificare eventuali responsabilità negli Uffici interessati».
Nesci commenta: «Più volte ho detto che è indispensabile assicurare una vita sicura e dignitosa ai testimoni e ai collaboratori di giustizia. Purtroppo il sistema presenta una serie di limiti e a volte di superficialità, per cui non è garantito chi trova il coraggio della denuncia. Uno Stato forte e civile deve proteggere quelle figure che consentono, come rimarcava il compianto penalista Federico Stella, di scardinare intere organizzazioni criminali».
INTERROGAZIONE:
NESCI, — Al Ministro dell’Interno e al Ministro della Giustizia. — Per sapere – premesso che:
il signor Pietro Di Costa, nato e tornato residente a Tropea (Vibo Valentia), è un testimone di giustizia;
lo stesso fu ammesso a piano provvisorio di protezione il 28 marzo 2012 e abbandonò il domicilio protetto, unitamente al nucleo familiare, il 22 marzo 2013;
tale scelta maturò – per quanto più volte riferito dal Di Costa in numerose denunce – dalla profilata possibilità di tornare nella sua città d’origine e con ritrovata autonomia economica e sociale, per raggiungere la quale si sarebbero adoperati funzionari della Questura di Vibo Valentia;
l’undici aprile 2013, la Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro comunicò alla Segreteria della Commissione Centrale ex art. 10 L. 15 marzo 1991, n. 82, che le dichiarazioni del Di Costa vennero utilizzate ai fini della richiesta di misura cautelare in carcere di Pantaleone Mancuso + 37, proc. N. 1878/07;
riunita il 17 aprile 2013, la succitata Commissione deliberò la cessazione degli effetti dal piano provvisorio di protezione nei confronti del suddetto testimone di giustizia;
il 19 aprile 2013 Di Costa scrisse al Servizio Centrale di Protezione, chiedendo l’emolumento percepito come testimone fino a quando non avesse raggiunto autonomia economica, domandando una serie di agevolazioni per le sofferenze patite, pretendendo risarcimenti per essere stato per un periodo classificato quale collaboratore di giustizia e, inoltre, per danni originati dalla fuoriuscita dal programma di protezione, collegata a responsabilità di Uffici dello Stato;
l’otto maggio 2013, nel documento di consegna dello stralcio del verbale della riunione del 17 aprile 2013 della Commissione Centrale ex art. 10 L. 82/91, Di Costa dichiarò che le organizzazioni criminali non dimenticheranno le sue denunce e che riterrà responsabili lo Stato e le istituzioni di eventuali ritorsioni nei propri confronti e verso i familiari;
il 20 maggio 2013 Di Costa confermò alla Procura di Vibo Valentia di essere l’autore di uno stampato contenente la notizia dell’acquisto di furgoni – da parte di un vecchio concorrente nel settore della vigilanza privata – promosso da un prefetto sposato con il concessionario venditore;
la storia delle difficoltà del Di Costa iniziò con la sua attività d’impresa, in un largo contesto – secondo quanto si legge negli atti e per quanto in generale emerge dalle inchieste della Procura di Vibo Valentia – di connivenze, di corruzione e di frequente dominio di poteri fuori della legge;
il 2 settembre 2008, la signora Elena Gheorghe sporse denuncia alla Questura di Vibo Valentia, qualificandosi come compagna del Di Costa ed esponendo la mancata concessione di un fido da parte del direttore della filiale tropeana della Banca Carime, malgrado l’avallo della sede centrale, finalizzato alle esigenze comuni dell’impresa del convivente;
il 18 settembre 2008, in seguito a istanza del 18 giugno 2007, Di Costa ottenne dal Prefetto di Vibo Valentia la licenza per il proprio istituto di vigilanza privata, denominato “Sycurpol”;
con lettera al Prefetto, al Questore, al Comandante provinciale dei Carabinieri e al Procuratore della Repubblica di Vibo Valentia, il 14 ottobre 2010 Di Costa restituì la licenza del proprio istituto di vigilanza, dichiarandosi non più interessato alla gestione del medesimo poiché, scrisse, minacciato di morte e invitato con metodo mafioso a lasciare ad altri il mercato del settore;
con propria nota, Prot. Uscita del 25 marzo 2013, n. 0009366, la Prefettura di Vibo Valentia informò Di Costa dell’orientamento del Ministero dell’Interno rispetto alla possibilità che il testimone di giustizia fosse titolare di un – secondo, dopo la rinuncia al primo – istituto di vigilanza, preclusa, nel caso di specie, dal particolare status dell’interessato e subordinata al possesso di tutti i requisiti economico-finanziari, contributivi, assicurativi, fiscali, imprenditoriali e professionali previsti dal D.M. 1 dicembre 2010, n. 269;
con raccomandata a/r, Prot. Uscita n. 0018638 dell’undici giugno 2013, la Prefettura di Vibo Valentia comunicò al Di Costa l’impossibilità di accogliere l’istanza per il rilascio di licenza necessaria alla gestione di un istituto di vigilanza privata, non essendo il richiedente in possesso dei requisiti minimi contemplati all’allegato B del D.M. 269/2010 (tra cui licenza di scuola media superiore, l’aver ricoperto documentate funzioni direttive nell’impresa in argomento, con alle dipendenze almeno 20 guardie giurate o, in alternativa, il conseguimento di un master universitario con occasioni di formazione presso istituti di vigilanza privata);
il 25 luglio 2013, presso la Questura di Vibo Valentia Di Costa presentò denuncia/querela su un episodio di intimidazione consumatosi il giorno precedente, consistente nell’invito, rivoltogli da uno sconosciuto, a non lavorare per l’azienda agricola di Francesco Melograna, sita in San Leo di Briatico (Vibo Valentia), per “irritazioni” procurate in giro dalle sue denunce;
il 19 agosto 2013, alle ore 10 Di Costa sporse denuncia presso la Questura di Vibo Valentia, lamentando nei pressi del campo sportivo di Tropea la presenza, il giorno precedente, di un parcheggiatore abusivo – subito riconosciuto – e la presunta assenza di controlli da parte del Comune e delle forze dell’ordine, che non intervenendo sul posto avrebbero permesso, ad avviso del denunciante, la perpetuazione dell’illecito;
sempre il 19 agosto 2013, alle ore 11 Di Costa denunciò alla Questura di Vibo Valentia di essere stato chiaramente seguito da un veicolo, circa una settimana prima, durante il lavoro di autista per conto del sig. Melograna, titolare della ricordata azienda;
nella stessa denuncia, Di Costa precisò di essere stato osservato sotto la propria abitazione, la sera prima, da soggetto non identificato e con addosso una maglia nera;
il 4 settembre 2013 Di Costa propose denuncia/querela presso la Procura della Repubblica di Vibo Valentia, raccontando di essere uscito dal programma di protezione e di affrontare rischi, nell’indigenza, per causa di una non attenta gestione del suo reinserimento economico e sociale, culminante nell’imprevedibile diniego della licenza di aprire – una seconda volta – un istituto di vigilanza privata;
il 9 settembre 2013, Di Costa integrò l’anzidetta denuncia presso la Procura di Vibo Valentia, allegando documentazione comprovante le riferite doglianze e aggiungendo che addetti amministrativi della Questura di Vibo Valentia «hanno sempre agevolato persone appartenenti alla criminalità organizzata che gestiscono e gestivano gli istituti di vigilanza della provincia» (di Vibo Valentia, nda);
nella predetta integrazione di denuncia, Di Costa asserì che un suo concorrente di mercato organizzava rapine ai propri portavalori e chiamò in causa il Questore di Vibo Valentia per la presunta assenza di provvedimenti di competenza in proposito;
il suddetto testimone di giustizia presentò ancora varie denunce, riportando anche i nomi di soggetti platealmente scontrosi nei suoi confronti – come risulta nel verbale di ricezione di denuncia/querela sporta presso la Questura di Vibo Valentia il 14 settembre 2013 – o di altri da cui non avrebbe ottenuto il pagamento per lavori effettuati dalla propria vigilanza privata, come figura nel verbale di denuncia alla stazione dei Carabinieri di Tropea (Vibo Valentia) redatto l’otto maggio 2013;
il 24 settembre 2013 l’avvocato Giacinto Inzillo scrisse per Di Costa alla Prefettura di Vibo Valentia, al Servizio Centrale di Protezione, alla Commissione centrale per la definizione e applicazione delle speciali misure di protezione e alla Procura Distrettuale Antimafia di Catanzaro, citando norme sui diritti dei testimoni di giustizia e chiedendo l’applicazione di «misure di assistenza idonee a garantire l’effettivo reinserimento del testimone di giustizia Di Costa Pietro, nonché dei suoi familiari, in una normale e dignitosa realtà di vita economica e sociale, mediante l’elargizione di contributi economici diretti e/o la concessione di un mutuo agevolato», come previsto dal D.L. 8/2001;
in diversi articoli, i giornali calabresi hanno raccontato la storia di profonda sofferenza del testimone di giustizia, che per alcune vicissitudini sembrerebbe perfino un ostacolo sociale, come riportato in un pezzo di cronaca apparso il 30 ottobre 2013 sull’edizione di Catanzaro del quotidiano La Gazzetta del Sud –:
se sono a conoscenza delle riferite vicende e quali misure intendano adottare, per le rispettive competenze, al fine di garantire la sicurezza e l’effettivo reinserimento economico e sociale del testimone di giustizia Pietro Di Costa e della sua famiglia;
se non ritengano di approfondire le doglianze del predetto testimone di giustizia, che comunicò la rinuncia al suo istituto di vigilanza per difficoltà riconducibili a pressioni di tipo mafioso, poi ritrovandosi, all’atto della nuova istanza di licenza, con una nuova, penalizzante disciplina in materia di autorizzazione, di cui al D.M. 269/2010;
per la gravità delle denunce del Di Costa, quali accertamenti intendano disporre, nell’ambito delle proprie competenze, per verificare eventuali responsabilità negli Uffici interessati.