Stop ” ai ritardi ” nei Pronto Soccorso anche se il paziente arriva in Ospedale in
condizioni disperate: la struttura ospedaliera, pur se rispetta le istruzioni previste
dalla normativa vigente, insufficienti rispetto a un’emergenza maggiore, è in ogni
caso responsabile contrattualmente del decesso del paziente. L’ennesimo caso di
malasanità varca le porte della terza sezione civile. La Suprema Corte è invitata
a pronunciarsi in tema di colpa medica, consistita nella violazione delle leges artis
da parte di più sanitari, che ha determinato la morte di un lavoratore marito/padre
per un grave incidente sul lavoro. La vicenda è stata scandita dall’intervento
di più medici che hanno concorso con condotte omissive a cagionare la morte del
paziente. Secondo la Corte territoriale, dapprima ingiustificabili furono i ritardi
del sanitario in servizio presso il pronto soccorso. Successivamente, questa condotta
è stata tenuta nella fase intermedia tra quella di accesso al pronto soccorso e
quella chirurgica e inoltre, la struttura non aveva comunicato tempestivamente i
dati degli esami di laboratorio. Lo afferma la Cassazione con la sentenza n. 21090/15,
depositata lunedì. Per questo motivo la Corte di legittimità boccia il ricorso
di un ospedale contro la decisione di merito con cui il giudice condannava la struttura
a risarcire la moglie e i figli per la morte del marito/padre che aveva subito un
grave incidente sul lavoro.Per il giudice di appello, la morte del lavoratore poteva
essere scongiurata o ritardata, se il paziente fosse stato immediatamente sottoposto
agli esami di laboratorio e strumentali negli stessi locali del pronto soccorso e
se l’ospedale avesse avuto in dotazione le sacche del sangue. A complicare il quadro
già delicato, anche il ritardo nel trasferire il lavoratore da una divisione all’altra
del nosocomio. Ciò su cui si concentra Piazza Cavour, che respinge il ricorso della
struttura, è che, per escludere la responsabilità, non basta che l’ospedale rispetti
la dotazione o le istruzioni, in questo caso, insufficienti rispetto alle emergenze
maggiori.Come affermano gli “Ermellini”, «in tema di responsabilità contrattuale
deriva dall’obbligo di erogare la propria prestazione, oggetto di obbligazione contrattuale
nel contratto di ospedalità, con la massima diligenza e prudenza che un nosocomio,
oltre ad osservare le normative di ogni rango in tema di dotazione e struttura delle
organizzazioni di emergenza, tenga poi in concreto condotte adeguate alle condizioni
disperate del paziente e in rapporto alle precarie o limitate disponibilità di mezzi
o risorse, benché conformi alle dotazioni o alle istruzioni previste dalla normativa
vigente, adottando di volta in volta le determinazioni più idonee a scongiurare
l’impossibilità del salvataggio del leso». E così, nel caso in questione, sottolinea
Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti [1]” almeno il ritardo
nella comunicazione dei dati decisivi degli esami di laboratorio e l’effettivo avvio
dell’intervento chirurgico, come pure le modalità di manipolazione del «devastato»
bacino del paziente, sono state correttamente individuate dalla Corte di merito come
potenziali cause dell’esito letale per il paziente. La decisione della Suprema Corte
riapre indirettamente il capitolo della gestione dei rischi e della capacità di
risarcimento delle Asl e delle Regioni messe a dura prova da una spending review
che rischia di danneggiare i cittadini senza eliminare le sacche di inefficienza.Le
richieste di risarcimento arrivate alle strutture sanitarie appartenenti al campione
sono state in totale 42mila in dieci anni: in pratica è come se, dal 2004 a oggi,
tutti gli abitanti di una città italiana di medie dimensioni, come Imperia, Lodi
o Macerata, avessero denunciato danni subiti in ospedale. Nel dettaglio, avvengono
quasi un sinistro ogni 10 posti letto, tre ogni mille ricoveri, 17 ogni 100 medici
e sette ogni 100 infermieri. Le specialità cliniche che subiscono la maggiore frequenza
di richieste di risarcimento danni sono ortopedia (13,2%), chirurgia generale (10,3%)
e ostetricia e ginecologia (7,5%). Anche il pronto soccorso registra il 13% delle
denunce di sinistro e nel 2013 svetta fra tutti come il reparto che ha totalizzato
più episodi di malasanità. Al primo posto della classifica dei sinistri denunciati
c’è l’errore chirurgico (27,3%), seguito dall’errore diagnostico (18%) e quello
terapeutico (10,4%), a pari merito con le cadute di pazienti e visitatori (quasi
il 10%) sulle scale e nei corridoi degli ospedali. Se poi si analizzano gli errori
per tipologia di ospedale, le strutture sanitarie di primo livello, ovvero quelle
di base, hanno registrato il maggior numero di richieste danni pari al 54%, seguono
le strutture di secondo livello con il 24,5% (ospedali ad alta intensità di cura
o ad alta specializzazione) e gli ospedali universitari al 20 per cento. Molto distanziate
sono le strutture mono-specialistiche come quelle ortopediche, con l’1,2%, e quelle
materno-infantili con lo 0,4 per cento.Il costo totale di questi sinistri è di oltre
un miliardo e mezzo di euro in risarcimenti, per un costo medio di quasi 60mila euro
per ogni caso. Cosa che ha fatto aumentare i valori assicurativi anche del 16,5%
per i medici e del 13,4% per gli infermieri. Nel dettaglio, il valore assicurativo
di un posto letto è stimato intorno a 4mila euro, un singolo ricovero intorno a
107 euro, un medico 7mila euro e un infermiere circa 3mila euro, con differenze importanti
a seconda delle aree geografiche prese in considerazione: un posto letto al Nord
costa circa 3.700 euro, al Centro 5.380 euro e al Sud 2.700 euro. Il personale medico
paga per la copertura assicurativa 6.300 euro al Nord, fino a 9.700 euro al Centro,
ma solo 3.900 euro al Sud.