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TAURIANOVA (RC), VENERDì 03 MAGGIO 2024

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L’avvocato Minasi consigliori della cosca Gallico di Palmi

L’avvocato Minasi consigliori della cosca Gallico di Palmi

DDA Reggio Calabria: “Costitui’ società in America per evitare il sequestro dei beni”  

L’avvocato Minasi consigliori della cosca Gallico di Palmi

DDA Reggio Calabria: “Costitui’ società in America per evitare il sequestro dei beni”

 

 

REGGIO CALABRIA- Era il “consigliori” della cosca Gallico di Palmi e agli affiliati ha fornito un “un contributo decisivo”, prima “partecipando attivamente all’operazione di intestazione fittizia di numerosi terreni, poi coordinando l’attività di tutti i sodali in un momento particolarmente critico”, successivo all’arresto di numerosi esponenti dell’associazione, avvenuto il 25 maggio 2010. E’ l’accusa contestata dalla Dda di Reggio Calabria nel provvedimento di fermo nei confronti dell’avv. Vincenzo Minasi, arrestato contestualmente su disposizione del gip di Milano. Minasi è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Nel decreto di fermo, firmato dal procuratore di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone, dall’aggiunto Michele Prestipino e dai pm Roberto Di Palma e Giovanni Musarò, vengono riportate una serie di intercettazioni, ambientali e telefoniche: in una, del 21 gennaio 2010, il legale, scrivono i pm, parlando della costituzione di una società, “affermava in maniera inequivocabile che la stessa era stata realizzata al preciso fine di eludere la normativa in materia di misure di prevenzione patrimoniali”. Quindi aggiungeva, che la necessità di costituire una società negli Stati Uniti era dovuta al fatto che in Svizzera “per i reati di mafia non c’é neanche il segreto bancario”, per cui l’Autorità elvetica avrebbe dato alle autorità italiane “tutto a carte scoperte”. Di conseguenza, prosegue nel dialogo intercettato dalla Dda, “l’unica cosa è stata di fare la società Americana e sapete perché? Perché qui possono arrivare, ma qui non arrivano. Perché non arrivano? Perché qui non hanno il certificato capito? per cui arrivano alla società, ma non al proprietario della società. Perché abbiamo fatto tutto questo? Perché: primo, non dobbiamo fare atti in Italia. Secondo, non dobbiamo girare soldi. Terzo, se ci paga estero su estero mettiamo i soldi dove vogliamo, senza dirlo a nessuno”. 

“Minasi fungeva da trait d’union tra i detenuti e i sodali rimasti in libertà”

 

 L’avvocato Vincenzo Minasi, arrestato l’altro ieri durante del blitz contro l’ndrangheta coordinato dalla Dda milanese e destinatario di un fermo disposto dalla Dda di Reggio Calabria, avrebbe avuto, secondo l’accusa, il ruolo di “trait d’union” fra gli affiliati alla cosca Gallico, finiti in carcere, e i loro “sodali rimasti in libertà”. Lo si legge nel decreto di fermo disposto due giorni fa dal procuratore della Repubblica, Giuseppe Pignatone, l’aggiunto Michele Prestipino e i pm Roberto Di Palma e Giovanni Musarò. Secondo il provvedimento Minasi, accusato anche di associazione per delinquere di stampo mafioso, “per aver concretamente contribuito, pur senza farne formalmente parte, al rafforzamento, alla conservazione ed alla realizzazione degli scopi” dell’ndrangheta operativa in provincia di Reggio Calabria e sul territorio nazionale ed estero, avrebbe favorito in particolare la cosiddetta cosca Gallico, e a questo proposito nel decreto si legge che “in un momento particolarmente critico per la cosca”, quello successivo agli arresti del 25 luglio dell’anno scorso, “Minasi fungeva da trait d’union tra i detenuti e i sodali rimasti in libertà comunicando a questi ultimi i messaggi che riceveva nel corso dei colloqui ai quali partecipava come difensore di fiducia”. Secondo gli inquirenti lo scorso 2 luglio avrebbe riferito a Vincenzo Gesuele Misale “una disposizione impartita da Teresa, Domenico e Carmelo Gallico (i primi due in carcere e l’altro irreperibile) dicendogli che doveva attivarsi per cedere i terreni di proprietà della cosca (…) in quanto vi era il concreto rischio che fossero individuati e sequestrati dall’autorità giudiziaria”.


Da gestori di una macelleria e di una pizzeria a Reggio Calabria a gestori di locali pubblici e del noleggio di macchinette da gioco a Milano e in Lombardia

 

MILANO, 2 DIC – Da gestori di una macelleria e di una pizzeria a Reggio Calabria a gestori di locali pubblici e del noleggio di macchinette da gioco a Milano e in Lombardia. Attivita’ che, nel giro di pochi anni porta la famiglia ad avere “una disponibilità economica e finanziaria milionaria assolutamente sproporzionata alla precedente situazione” grazie a “redditi illegali”. A tracciare la parabola economico-finanziaria del clan Lampada-Valle è il gip Giuseppe Gennari nell’ordinanza che l’altro ieri ha portato in carcere tra gli altri gli stessi fratelli Lampada, Giulio e Francesco, Leonardo Valle, il giudice Vincenzo Giuseppe Giglio, il consigliere regionale della Calabria Francesco Morelli e l’avvocato penalista Vincenzo Minasi. Il giudice, dall’esame delle carte raccolte dal pm della dda milanese, traccia un quadro dell’ascesa della famiglia giunta anni fa al Nord con modeste risorse finanziarie e poi diventata ‘potente’, con un tenore di vita a cinque stelle, al punto da voler acquistare anche un immobile del valore di un milione di euro e di frequentare alberghi ‘griffati’, come l’Hotel Suvretta House a Saint Moritz in Engadina, noleggiare auto di lusso a Cannes e organizzare, nel luglio di quattro anni fa, il ricevimento di nozze tra Francesco Lampada e Maria Valle all’hotel ristorante Villa D’Este di Cernobbio, sul lago di Como: 250 invitati per un costo di 58 mila euro. E ancora, spese in gioiellerie e in boutiques, soggiorni a Montecarlo e Palma di Maiorca, ma anche a Lourdes e in Virginia, negli Stati Uniti, bonifici al centro fitness dell’Harbour Club Milano o a Scopelliti 1887, un negozio di Reggio Calabria. Giulio Lampada tra il 2008 e il 2010, ha ospitato a proprie spese numerose persone all’Hotel Brun nel capoluogo lombardo, pagando 54 mila euro, con propri assegni o delle sue società, di cui 27 mila euro per il soggiorno e i ‘divertimenti’ del magistrato Giancarlo Giusti. Ed è ancora Giulio che, per il battesimo della figlia, celebrato nel giugno del 2008 nella Città del Vaticano, organizza un banchetto nella ‘Casina di Macchia Madama’, unno dei locali più esclusivi della capitale. Inoltre, sempre dal provvedimento di custodia cautelare, i Lampada, mogli comprese, e il cognato Raffaele Ferminio (anche lui arrestato) disponevano di parecchie carte di credito: solo Francesco Lampada ne aveva 13, mentre Anna una decina. Così ha rilevato il gip: “i Valle-Lampada, mantengono un livello di vita elevatissimo, con ingenti spese di tipo personale; gli stessi dispongono di ingenti somme di denaro liquide, le quali vengono impiegate per pagamenti illeciti (come il denaro versato al finanziere arrestato due giorni fa – ndr) o per sostenere la commissione di delitti: gli stessi – è scritto nel provvedimento – dispongono di strutture societarie – il cui funzionamento è del tutto al di fuori della fisiologia di impresa – formalmente inattive, ma sostanzialmente utilizzate come stazioni di passaggio di somme di provenienza non nota e di destinazione altrettanto ignota; ricorrente è la preoccupazione – osserva ancora il giudice – di trovare forme legalmente accettabili per dare emersione a situazioni/importi di cui non esiste giustificazione lecita. Insomma la famiglia produce notevolissimi redditi illegali che vengono reimpiegati in incessanti attività di auto riciclaggio”. E qui, soprattutto per quanto riguarda le movimentazioni di denaro, “spicca ancora una volta il prezioso ruolo dell’avvocato Minasi. I suoi consigli – annota sempre il gip – non sono semplici consulenze legali, ma rappresentano lo strumento tecnico per perseguire le finalità illecite della famiglia”.