La solitudine Riflessione del giurista blogger Giovanni Cardona sul mal sottile dell’uomo d’oggi
Gli acciacchi esistenziali dell’uomo moderno sono tanti, e tanto più numerosi quanto più, di contro, appaiono evidenti e si consolidano i traguardi di progresso e di benessere materiale.
Tra questi mali esistenziali, fenomeni che hanno il loro crogiuolo nella interiorità umana, il più preoccupante, perché bracca l’uomo circondandolo e riempendolo di nulla, è senza dubbio la solitudine, quella solitudine che «è per lo spirito ciò che per il corpo è il digiuno».
Viviamo in un’epoca di esasperata socializzazione, circondati, pressati, assediati dal nostro prossimo; un’epoca in cui il dialogo, il confronto e lo scontro rappresentano i filoni quotidiani dell’umana vicenda; son tempi in cui i mass-media e i mezzi di comunicazione in genere favoriscono, o dovrebbero favorire, con la loro penetrazione, questa opera di reciproco travaso delle sensazioni e delle problematiche umane, acutizzando la sensibilizzazione individuale e agevolando così un processo di amalgama nella società.
E’ una società, questa, che tende al livellamento sociale, economico e culturale (o pseudoculturale), quindi proprio per tali più diffuse affinità, dovrebbe essere più che mai stimolatrice di un incontro tra le lunghezze d’onda dell’uomo. Ciò non avviene. Segno che l’uomo d’oggi, nonostante questo caotico assembramento tra i suoi simili, non comunica, partecipa senza comunicare, corrisponde senza intuire, sa senza comprendere, solo tra la calca, sperduto nella ressa. Potesse almeno sentirsi poeta con Hugo: «Il poeta è un mondo prigioniero dentro un uomo». No! Egli si sente uomo prigioniero nel mondo.
E’ una solitudine che gli viene da dentro, dai tortuosi percorsi della propria interiorità, dalla rivalsa di uno spirito che da tempo si è costretto nell’angolo delle vecchie cose in disuso.
E’ una crisi di valori quella che lo avvolge di solitudine, latitanza di quei valori spirituali che empiono la vita umana senza colmarla, ubriacatura di quei valori materiali che sembrano colmare i giorni ma che in effetti non riescono a riempirli.
La solitudine dell’uomo di oggi è soprattutto smarrimento di se stesso, vivere tra gli altri ma perdere la propria identità, non ritrovarsi. Epoca di piccoli uomini, questa, se dobbiamo credere alla saggezza di Confucio: «Ciò che l’uomo superiore cerca lo trova in se stesso; ciò che l’uomo piccolo cerca lo trova negli altri».
Nella smodata conquista dell’effimero e nell’egoismo si riscontrano le matrici della incomunicabilità e quindi della solitudine interiore.
L’egoismo è stato sempre il gene principale del carattere umano ed ha una sua vitale utilità essendo sempre l’artefice indiretto delle conquiste terrene. Solo che quando il materialismo ne esaspera le connotazioni, così come oggi avviene, da molla della vita ne diviene la sbarra, la prigione di un carattere umano che per sintonizzarsi totalmente con se stesso e con gli altri, ha altrettanto bisogno di donarsi. Tolstoj, da quel grande maestro di vita che è stato, addirittura arrivava a dire che «non vi è che un modo per essere felice: vivere per gli altri».
La smodata conquista dell’effimero ha giocato anche un ruolo determinante. La corsa ai valori materiali – sesso, consumismo, danaro, ecc. – e ancor più la enorme facilità con cui ciò viene oggi acquisito, ha finito con accrescere il senso di solitudine dell’uomo.
L’uomo di oggi ha sacrificato i valori eterni per quelli effimeri. Per il successo personale, per soddisfare la sua sete di arrivismo ha immolato la famiglia senza rendersi conto di quanto più riempia l’armonia di un desco sereno che la nevrotica equazione di un pranzo di lavoro. Ha sacrificato il suo bisogno di felicità alla cupidigia di piacere. Dal sesso ha carpito solo l’elemento più vile, il tremito epidermico e carnale.
Dio non poteva sopravvivere. L’ateismo è stato foraggiato da una distorta interpretazione del progresso scientifico e dalla stolta consapevolezza della onnipotenza delle possibilità umane. Aduso quindi al materialismo e alla sua tangibilità si è persa la dimensione sovrannaturale perché impalpabile. Si sono smarriti quindi il sostegno della Fede, la spinta della Speranza, la vittoria della Carità.
La sfrenata divinizzazione dei valori materiali, tra le sue conseguenze, ha accresciuto nell’uomo le distanze tra l’essere e l’apparire.
L’uomo oggi tende spasmodicamente, per le esigenze di questo perverso ingranaggio materialistico, al protagonismo, all’egoismo, alla ostentazione, alla disinvoltura di atteggiamenti spregiudicati che interiormente non ha del tutto assimilati. Anche questa conflittualità interiore, che sprizza la sua scintilla negli inevitabili attimi in cui ognuno si riunisce con se stesso, porta all’approdo della solitudine; la tensione che scaturisce dal dualismo tra lo sforzo dell’apparire e il soffocamento dell’essere è una delle scintille di quel vuoto che lo affligge.
Ritrovarsi. E’ solo questo il modo per liberarsi delle bende della solitudine. Ritrovarsi in quei valori eterni che apparentemente non hanno forma ma che non passano, che sfuggono al senso tattile ma che hanno sostanza immutabile, che sembrano non aver peso ma che contengono la pienezza della felicità.
Solo le voci e le luci di questi beni – voci senza frastuono e luci senza abbaglio – possono portare l’uomo per mano, lontano ma sicuro, all’incontro con la vita e con il suo simile, senza il tormento di quel Poeta che piange per «questo lago di indifferenza che è il tuo cuore».
La triste veggenza di un altro Poeta moderno, Quasimodo, ci dice che «ognuno sta solo sul cuor della Terra / trafitto da un raggio di sole / ed è subito sera».
Cerchiamo che almeno quel raggio di Sole gli resti trafitto nel cuore, e che il giorno gli duri più a lungo.