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TAURIANOVA (RC), VENERDì 13 DICEMBRE 2024

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La lanterna di Diogene

La lanterna di Diogene

| Il 26, Set 2013

Mi chiamo Federico Aldrovandi ed avevo 18 anni. E lì mi sono fermato

a cura di GIUSEPPE LAROSA

La lanterna di Diogene

Mi chiamo Federico Aldrovandi ed avevo 18 anni. E lì mi sono fermato

 

a cura di Giuseppe Larosa

 

 

Molte volte si tende a commemorare personaggi famosi, uomini che hanno scolpito con le loro gesta pagine di storia indelebili. Uomini, che hanno contribuito a dare con le loro significative azioni, un lodevole prestigio ad un Paese, e che tra lapidi e intitolazioni di vie (a volte inutili), vengono ricordati nel tempo.
Ma ci sono gli “altri”, quelli che di pagine ne hanno scritto ma che in molti, tra ruffiani, demagoghi di professione e conservatori, tendono a nascondere, perché rappresentano un effetto contrario al prestigio, le onte della vergogna.
Il 25 settembre ricorre un triste anniversario. In una tarda notte, quasi freddolosa, nella bellissima e civilissima città di Ferrara, otto anni fa un giovane di 18 anni giaceva senza vita in una strada, coperto (in un secondo momento), con un lenzuolo bianco, il volto tumefatto da percosse e la sua testa poggiata sopra un cuscino di sangue. Quell’immagine resta e resterà il simbolo della vergogna di un paese civile.
Quel ragazzo si chiamava Federico Aldrovandi. Mentre fa il suo ritorno a casa, a piedi, incontra una pattuglia della Polizia, e poi ancora un’altra di pattuglia si aggiunge a questa. Sono “Alfa 2” e “Alfa 3”. Fermano Federico, ed intanto la madre, un’impiegata comunale, lo aspetta a casa, viene pestato a botte che inondando il corpo di lesioni ed ecchimosi. Dalle perizie si accerta che sono 54 le “piaghe” inflitte. La madre ancora lo aspetta a casa. Ma lui non farà più ritorno. Verrà avvisata della morte del figlio cinque ore dopo.
Non è il solo ragazzo che cade in questo modo, anche un altro a pochi chilometri di Ferrara, a Roma, si chiamava Enrico Cucchi muore con il corpo pieno di percosse. Ma adesso, in questa giornata di settembre che ricorre uno dei tanti anniversari della vergogna, desidero vergognarmi del mio Paese. Vergognarmi del mio Stato, della mia Repubblica che nella sua Costituzione ci impone Diritti e Doveri. E vorrei vergognarmi di quella Polizia che dovrebbe tutelarci, ma che invece massacra di botte un figlio di diciotto anni.
Un figlio che potrebbe essere di tutti, come anche un fratello o un amico. Così come la mamma di Federico Aldrovandi aspettava il proprio figlio che non ritornerà più, ad altri potrebbe accadere la stessa cosa.
Desidero che in tanti si vergognassero di quei poliziotti che invece di tutelarlo, hanno impedito che Federico ritornasse a casa vivo. Ma soprattutto, vorrei vergognarmi dei loro colleghi che l’hanno coperti. Perché si sono resi complici di aver spezzato la vita ad un giovane che la vita doveva ancora iniziarla.
E vorrei vergognarmi ogni volta che, in questo paese la magistratura non fa in automatico il proprio dovere e non perché una madre prende l’iniziativa di scriverlo su un blog o per alcune denunce con il solo scopo di sapere la verità e di avere, come di solito si fa in un paese civile, giustizia per un figlio che non vedrà mai più vivo.
Nella sentenza di primo grado il giudice Caruso disse, che ognuna delle 54 lesioni causate a Federico meriterebbe un processo penale. Altri imbecilli politici di corridoio hanno affermato fandonie, ma mi vergogno anche a riportarle. Ed inoltre, i quattro poliziotti condannati, “una volta scontata la detenzione e passati i sei mesi di sospensione sono ritornati in servizio”. l’ex ministro degli Interni Cancellieri, aveva garantito alla famiglia di Federico che avrebbe adottato ogni provvedimento contro quelli che aveva definito “mele marce”. I genitori di Federico a questa notizia, si erano lasciati andare ad uno sfogo, “Io non so se quella della commissione disciplinare sia la decisione finale, o se ci sia ancora spazio – aggiunge la madre -. Credo che si tratti di etica, qualcosa che va oltre le regole: si tratta di umanità il fatto che qualcuno che ha ucciso un ragazzo resti nelle istituzioni o meno”.
Cosa resta oggi di Federico? Un’immagine di un viso fresco, giovane “alterato” dalle botte con la testa poggiata su un cuscino, non piumato, ma di sangue vero, il suo.
D’ora in poi, ad ogni 25 settembre finché non vedrò riposare in pace un diciottenne di nome Federico Aldrovandi, mi vergognerò del mio Paese.

lalanternadidiogene@approdonews.it