Italia, processo alla stampa. Come il fatto diventa notizia
redazione | Il 26, Giu 2014
Siamo sicuri di essere e di voler essere correttamente informati di quello che succede intorno a noi? Editoriale di Antonio Giangrande
Italia, processo alla stampa. Come il fatto diventa notizia
Siamo sicuri di essere e di voler essere correttamente informati di quello che succede intorno a noi? Editoriale di Antonio Giangrande
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In Italia la notizia è tale solo se data da un giornalista iscritto all’albo
di origine fascista e non perché il fatto vero, raccontato correttamente da
chiunque, può suscitare un pubblico interesse. Se non creata dal
pennivendolo, la notizia è solo una misera e opinabile opinione. L’opinione
si eleva a notizia solo se è pubblicata come editoriale dal direttore
dell’organo di informazione, o da un suo delegato. Gli esperti, che hanno
molto da dire, invece, se graditi, parlano solo se intervistati.
Il giornalista, come in tutte le categorie professionali, può essere un
incapace raccomandato, vincitore di un esame-concorso truccato. Come tutti,
del resto, in Italia. Inoltre in questa professione può essere anche uno
sfruttato a 5 euro al pezzo.
La preparazione culturale del giornalista non permette alcuna competenza
specifica, né egli ha alcuna esperienza diretta dei fatti, vivendo recluso
in redazione, di conseguenza si appoggia alle considerazioni di coloro che
lui reputa esperti. Quindi, non ci si aspetti da lui un approfondimento
peritale del fatto.
Importante sapere è che i fatti non sono cercati dalle redazioni
giornalistiche, d’altronde non possono prevedere gli eventi, ma sono
vagliati in base alle segnalazioni ricevute. Sono cestinati i suggerimenti
scomodi o che comportano approfondimento e ricerca. Sono dileggiate le note
che urtano i loro convincimenti o danno fastidio ai loro amici. Alcune
fonti, poi, sono da loro trattati erroneamente come mitomani o pazzi.
Quindi come far diventare notizia, un fatto vero ed interessante ed
assolutamente conoscibile?
“Conditio sine qua non” è che il fatto deve essere giornalisticamente
pubblicabile: vero; pubblicamente interessante; con obbiettiva, corretta e
civile esposizione. A questi requisiti noti si aggiunge il modus operandi
corrente: comodo, condiviso ed omologato. Insomma diventa notizia quella che
tutti danno. Non esiste lo scoop, se non quello artefatto.
Chi ha un fatto da far conoscere, per prima cosa ha bisogno di attivarsi nel
cercare quanto più contatti redazionali, per poter inviare la segnalazione o
il contributo pre confezionato in stampo giornalistico. Tra il mucchio si
può trovare la redazione interessata alla problematica condivisa dalla sua
politica editoriale. Le grandi testate nazionali, che nessuno più legge,
destinati all’estinzione dall’inevitabile assottigliarsi del numero dei loro
lettori, disdegnano tutto quanto esce dalla loro dotta (a loro dire)
professionalità. Le piccole testate lette solo dal parentado redazionale ed
interessate esclusivamente alle loro sagre paesane, scartano le segnalazioni
non attinenti la competenza condominiale. Eccezionalmente, nel mucchio si
può anche trovare qualcuno che si impietosisce e fa passare il suggerimento
come l’istanza di un caso umano.
Se la nota parte da un organo politico o istituzionale, avrà fortuna solo se
il ricevente è un suo referente politico o destinatario di contributi
pubblici. Invece le veline dei magistrati e degli organi di polizia
giudiziaria, pur attinenti fatti coperti da segreto istruttorio, hanno
pubblicazione certa e pedissequa alla virgola, specie se si sbatte il mostro
in prima pagina.
Il contributo già formato in stampo giornalistico, inoltre, non deve urtare
la suscettibilità del ricevente. Bisogna apparire inferiori
intellettualmente. Quindi non deve essere perfetto in sintassi e grammatica
ed essere zoppicante nella fluidificazione del discorso. Avere un linguaggio
politically correct. Non avere intercalari di linguaggio comune e moderno,
né usare un lessico comprensibile al popolo. Non offendere nessuno. Meglio
appuntare i nomi. Non denunciare il malaffare di magistrati ed avvocati e
comunque del sistema di potere precostituito. Chi è giornalista lo sa, chi
dice verità scomode è tacciato di mitomania, pazzia o addirittura accusato
di diffamazione a mezzo stampa. Oggi il valore del giornalista si compara
alla quantità delle querele a carico. Parlar male della politica e di
politici in particolare, può segnare l’interesse della redazione avversa a
quel partito.
Non approfondire la tematica, pur se esperti, sareste chiamati prolissi.
Basta l’accenno del profano. Non collegarli a casi similari, sareste
chiamati confusionari. Basta l’allusione dell’inesperto. L’autore del
contributo non si deve presentare nel testo, sarebbe accusato di
autocelebrazione ed autocitazione. Meglio essere anonimi. Sia mai che
diventi propaganda gratuita, perché la pubblicità è l’anima del commercio….e
pure dell’informazione. E poi, il testo come può essere firmato come proprio
da chi lo riceve e lo pubblica?
Le recensioni dei libri, inviate alle redazioni cultura, devono essere
attinenti ai testi pubblicati dall’editore della testata: non è permesso
agevolare la concorrenza. Gli scrittori, poi, violentino il loro talento e
diano una parvenza di inettitudine allo scritto. Insomma, bisogna essere
sintetici e divulgativi. I giornalisti superano l’esame di abilitazione
nello svolgimento di una prova di sintesi di un articolo o di un altro testo
scelto dal candidato tra quelli forniti dalla commissione in un massimo di
30 righe di 60 caratteri ciascuna, per un totale di 1.800 caratteri compresi
gli spazi. Per le moderne testate tutto questo spazio è troppo, meglio
centellinare i periodi, se no nella pagina non entra nello spazio lasciato
libero dalle inserzioni pubblicitarie. Per esempio, questo pezzo è troppo
lungo è sarebbe di sicuro cestinato.
L’espressione del pensiero deve essere misurato e limitato in spazi
preconfezionati. Non si consulti il dizionario, ma la calcolatrice.
Seguendo queste basilari regole, forse, dico forse, tra 1500 testate, ai cui
contatti email arrivano le note stampa, qualcuno di loro può prendere in
considerazione la missiva sotto forma di lettere al direttore e far leggere
ai suo pochi lettori quello che solo allora diventa notizia.
In caso contrario, se i giornalisti altezzosi o permalosi ci ignorano, ci si
apre un blog o si fa parte di un social network o di un portale di
giornalismo partecipativo. In tal caso, però ci si accorge che i commenti
dei lettori alla notizia da noi data, spesso, sono postate da gente esaltata
ed alienata: lo specchio della società. Solo allora ci si rende conto qual è
l’umanità frustrata che ci circonda e che la notizia dovrebbe leggere. A
quel punto ci si pensa che è meglio tenere il fatto per sé, non elevandolo a
notizia, e far vivere gli altri nell’illusione di essere informati su tutto.
Perché gli altri son convinti che la notizia è solo quella detta dai tg.
Perche?!? Perché l’ha detto la televisione!!!
Per inciso ed in conclusione, voglio dire che sui media ho scritto un saggio
“Mediopoli. Disinformazione, censura ed omertà”. Ho cognizione di causa.
Facendo parlar loro, la cronaca diventa storia. Per il resto i miei scritti,
quelli sì, pur non pubblicizzati, sono al vaglio del giudizio dei miei tanti
lettori, anzi studiosi, oggetto delle loro tesi di laurea. Ad ognuno il suo.