In Italia ci troviamo davanti a una protesta o a una rivolta?
redazione | Il 25, Gen 2012
Editoriale di Bruno Morgante
In Italia ci troviamo davanti a una protesta o a una rivolta?
Editoriale di Bruno Morgante
Da giorni la cronaca italiana da conto di movimenti che stanno creando disagio ai cittadini e che danno la sensazione di un fenomeno in crescendo di cui è difficile vedere la soluzione, in quanto espressione di disagi veri, ma non portatore di progetti.
In Sicilia il movimento dei forconi, guidato da un ex esponente PDL, insieme al movimento dei camionisti, raccoglie oltre ad autotrasportatori, agricoltori, pescatori, studenti.
Hanno bloccato l’isola gridando la loro frustrazione per la crisi, che trova un proprio momento di specificazione nel caro gasolio, ma che ha origini lontani in una regione a statuto speciale che trattiene il 90% delle tasse pagate dai cittadini, compresa l’IVA, e che da 15 anni è in recessione ed ha visto crescere solo la spesa pubblica e il clientelismo.
I siciliani hanno ragione a chiedere al governo Monti l’abbattimento delle accise sui carburanti, in quanto buona parte di questi viene raffinato sull’isola, facendo pagare alla stessa prezzi molto alti sul piano ambientale, ma loro stessi sanno che questo non risolverebbe i problemi.
Il vero problema è creare lavoro produttivo, non quello clientelare e parassitario garantito dai politici locali, lavoro che può venire solo dallo sviluppo economico e sociale, dall’apertura dei mercati, dalla libera concorrenza e dalla cultura della legalità, intesa come fattore dinamico di sviluppo in quanto principio di eguaglianza e di difesa dei diritti delle persone e per questo base di ogni libertà.
In Sicilia i vari governi hanno agito sempre per estendere il clientelismo, vera cappa che ha impedito lo sviluppo economico e sociale, ha portato anche al degrado delle coscienze e ha alimentato forze parassitarie cresciute intorno alla spesa pubblica.
Spesso si ha l’impressione che proprio questi capi politici alimentano la piazza contro Roma nel momento in cui hanno difficoltà a dare risposte alle legittime e sacrosante lamentele dei cittadini e delle categorie produttive.
La protesta siciliana si è diffusa con l’inizio della settimana a tutta l’Italia, dove sono scesi in sciopero i camionisti, con blocchi delle autostrade, degli accessi ai porti, agli aeroporti.
Lo sciopero, senza il necessario preavviso, è stato indetto da uno dei sindacati minori dei camionisti, guidato e promosso dallo stesso personaggio che nel 2007 con uno sciopero ad oltranza mise in ginocchio l’Italia.
Il fatto che deve far riflettere è che lo sciopero è partito nel mentre il maggiore sindacato, (raccoglie circa il 90% della categoria) comunicava agli aderenti che il confronto con il governo procedeva in termini soddisfacenti, avendo già ottenuto dei risultati, per cui si è dissociato dallo sciopero.
Comunque l’Italia è bloccata e in molte zone, compresa la piana di Gioia Tauro, è diventato impossibile fare rifornimento di carburante e molte stazioni di servizio sono chiuse.
Purtroppo bastano pochi bestioni, quali sono i TIR, per bloccare caselli autostradali e creare ingorghi.
Non mancano episodi di violenza e di intolleranza verso chi vorrebbe lavorare e purtroppo ci è scappato anche il morto con un camionista schiacciato da un altro camion, guidato da una tedesca, che non ha accettato di fermarsi, così come desta preoccupazione la denuncia del presidente della CONFINDUSTRIA siciliana di mafiosi nei presidi che garantivano i blocchi.
Sia la protesta siciliana che lo sciopero dei camionisti non sono legati al decreto sulle liberalizzazioni, in quanto questa è una categoria non toccata e che può solo beneficiare di alcuni interventi sulle assicurazioni e sulle pompe di distribuzione del carburante, che potrebbero portare a risparmi anche importanti.
Sono legati al decreto sulle liberalizzazioni la mobilitazione dei tassisti, che hanno bloccato le città, la prossima serrata dei farmacisti e il prossimo sciopero degli avvocati
Indubbiamente la gente sente sulla pelle il morso della crisi, per cui non c’è da stupirsi se è pronta a gridare il proprio disagio e la propria rabbia e a solidarizzare con i protestatari.
Da almeno venti anni l’Italia perde colpi, mentre una classe dirigente ci illudeva che vivevamo in uno dei mondi migliori possibili.
La crisi internazionale, le paure dei grandi investitori, l’egoismo di chi come la Germania si sente fuori dalla crisi, hanno messo a nudo le nostre debolezze e ci han costretto a guardare in faccia la realtà, perché il mondo ci ha detto che non possiamo continuare a vivere al di sopra delle nostre possibilità, facendo debiti, perché non è più disponibile a prestarci soldi se prima non incominciamo a pagare i debiti vecchi.
Oggi tutti gridano o sono pronti ad accodarsi a chi grida, dando la colpa all’attuale governo del fatto che ci siamo dovuti svegliare e vengono vissute come angherie i provvedimenti varati per arginare il disastro.
Non si spiega altrimenti il fatto che fino a due mesi fa c’era una pace sociale anche se gli attuali problemi c’erano tutti e non c’era prospettiva, mentre ora qualche speranza potrebbe esserci.
Di fronte a questi strepiti per cedere un minimo di privilegi, si nota ancor di più la responsabilità del mondo del lavoro dipendente.
Come diceva Gobetti i lavoratori stanno dimostrando di rappresentare non solo il nerbo produttivo, ma anche la diga etica della nazione.
Hanno subito una riforma delle pensioni pesantissima e che a molti ha stravolto programmi di vita, ma, anche se gioco forza, hanno accettato di farsi carico della necessità di risanamento del Paese.
Ci troviamo, invece, con queste proteste di fronte a una serie di rivendicazioni e di difesa di privilegi, che ormai sono anacronistici e che tendono a conservare i difetti della nostra società, mentre dallo stato si pretende solo assistenza.
Sembra una prova generale di rivolta, con tratti di ribellismo, e non una protesta, che presupporrebbe un ruolo di corpi intermedi capaci di dare una piattaforma alla protesta stessa e una rappresentanza negoziale per trovare soluzioni compatibili con gli interessi generali.
Purtroppo in questi anni si è lavorato per dividere e delegittimare i corpi intermedi, che sono fondamentali per la coesione sociale, per cui si trovano essi stessi spiazzati di fronte all’attuale ribellismo.
Il governo farebbe un errore imperdonabile se, mentre la politica sembra essersi presa un anno sabatico, cadesse nella tentazione di andare avanti senza il coinvolgimento e la ricerca del consenso possibile da parte delle forze sociali, garanzia di coesione sociale indispensabile per modernizzare in termini stabili il Paese.
Storicamente le ribellioni che tendono a scompaginare la coesione sociale, sono sempre servite per la restaurazione.
Può anche essere che,nella misura in cui i mercati ci stanno dando credibilità e diventa possibile passare senza grandi inconvenienti le idi di marzo, periodo in cui scadranno ingenti rinnovi di titoli di stato, qualcuno sta pensando che la bufera internazionale sarà passata e che sarà possibile tornare indietro, e così mettere in soffitta con un buon condono le misure contro l’evasione fiscale.
Si tratta di votare in primavera con l’attuale legge elettorale, ricucendo l’alleanza con la Lega sull’altare della caduta del governo Monti.
A questo punto queste proteste “spontanee”, così come gli scioperi delle categorie di riferimento del centro-destra, sono le prove generali di verifica della possibilità di una rivolta del paese contro Monti il “comunista” che ha portato alla fame e al disordine il paese e per far dimenticare le responsabilità precedenti.
redazione@approdonews.it