Il trasbordo beffardo delle armi di Assad in Calabria
redazione | Il 20, Gen 2014
Editoriale di Luigi Pandolfi
Il trasbordo beffardo delle armi di Assad in Calabria
Editoriale di Luigi Pandolfi
La questione del trasbordo delle armi chimiche siriane nel porto di Gioia Tauro sta surriscaldando gli animi in Calabria. Si avvertono imbarazzi e strumentalizzazioni, chiamate alle armi e minacce di insubordinazione. Anche inviti alla calma ed alla moderazione, da parte di chi crede che in fondo stiamo per dare solo un nostro modesto contributo alla pace nel mondo. Ma di cosa stiamo parlando? Prima di esprimere qualsiasi giudizio sulla gravità, o meno, della faccenda è opportuno schiarirci le idee sul tipo di operazioni che dovranno essere effettuate, poi sul loro significato simbolico.
C’è una nave danese, la Ark Futura, a bordo della quale sono state stipate 560 tonnellate di sostanze tossiche provenienti dall’arsenale chimico del regime di Assad. Nei prossimi giorni l’imbarcazione arriverà al porto di Gioia Tauro, dove tali sostanze verranno trasferite, o trasbordate se piace di più, sull’americana Cape Ray, un cargo civile dell’amministrazione statunitense, su cui sono stati installati due impianti per l’idrolisi, il processo chimico che dovrebbe rendere quei gas inerti.
Si tratterà di un passaggio da nave a nave, senza alcuno stoccaggio dei container sulla banchina. L’operazione di idrolisi invece avverrà in mare aperto, in acque internazionali, sotto il controllo dell’Opac, l’organizzazione che collabora con le Nazioni Unite per la proibizione e la distruzione degli arsenali chimici nel mondo.
Non sono un esperto in questo campo, ma credo che tra le sostanze contenute nei container della Ark Futura e quelle che generalmente vengono trasportate via mare e via terra per l’industria chimica non ci sia molta differenza. Queste sostanze possono essere utilizzate per usi bellici, come armi di distruzione di massa, ma senza un congegno detonante sono solo sostanze, per quanto tossiche, pericolose, letali.
Beninteso, non voglio minimizzare la portata di questa operazione, evidentemente delicata, ma essa, in quanto tale, non giustificherebbe reazioni oltremodo allarmate e sdegnate. Tanto più che nell’intera operazione di distruzione di queste armi sono coinvolti anche altri paesi, che si sono fatti carico di smaltire sul proprio territorio le scorie prodotte dal procedimento di idrolisi che sarà eseguito sulla Cape Ray. Tra questi la Germania e la Gran Bretagna, che si sono impegnate a distruggerne rispettivamente 370 e 150 tonnellate.
Nondimeno a Gioia Tauro la vicenda assume un significato che va al di là dell’operazione in sé e dei rischi ad essa connessi. Gioia Tauro è Calabria, una delle regioni al centro delle rotte dei rifiuti tossici che hanno avvelenato negli anni intere aree del Mezzogiorno, dove ai gravi problemi ambientali si aggiungono gigantesche emergenze sociali pronte ad esplodere in qualsiasi momento. La Svimez, nel suo ultimo Rapporto, ha parlato addirittura di “rischio desertificazione”, alludendo all’aggravarsi della situazione economico-produttiva nei prossimi anni ed alla fuga di migliaia di giovani dai nostri centri. Una situazione drammatica dove lo stesso porto di Gioia Tauro è simbolo per eccellenza dello sviluppo tradito e di tante promesse mancate.
Diciamolo francamente: questa storia delle armi chimiche di Assad, oltre gli aspetti tecnici e logistici, ha tutto il sapore della beffa a queste latitudini. E’ così. E lo è ancora di più se si pesano alcune parole che sarebbero state pronunciate in queste ore da alcuni esponenti delle istituzioni: “Abbiamo scelto la Calabria perché lì sarebbe stato più facile fronteggiare proteste e manifestazioni”. Incredibile. All’abbandono di questa regione si aggiunge la convinzione che i suoi abitanti non siano nemmeno in grado di ribellarsi ai torti subiti o subendi.
Certo, il Ministro Lupi si è affrettato a dire che la scelta sarebbe ricaduta sulla scalo calabrese “per allontanarsi il meno possibile dal Mediterraneo centrale” e che tra il 2012 ed il 2013 a Gioia Tauro sarebbero stati trattati ben tremila container di sostanze chimiche, pari a sessantamila tonnellate, ma questo non cancella il fatto che la Calabria sarebbe stata scelta solo dopo che altri porti italiani ed europei avevano manifestato il loro inappellabile rifiuto.
Che dire poi del fatto che la scelta sarebbe stata fatta senza alcun coinvolgimento dei sindaci dei comuni interessati e, stando alle sue parole, dello stesso Governatore Scopelliti? Un’altra prova della scarsa e pessima considerazione che a Roma hanno della nostra classe dirigente.
Gli amministratori locali, le associazioni, le forze politiche, fanno bene a chiedere ogni garanzia sulla sicurezza delle operazioni, a denunciare la mancanza di un piano di sicurezza e di evacuazione per la popolazione, a stigmatizzare l’atteggiamento omissivo del governo. E’ giusto, devono farlo. Ma si parta da questo ennesimo atto di prevaricazione per stimolare un più largo risveglio civile e politico in questa regione, per riprenderci la nostra dignità.