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TAURIANOVA (RC), VENERDì 29 MARZO 2024

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Il tarlo della coscienza Riflessioni del giurista blogger Giovanni Cardona sul rapporto tra coscienza e verità

Il tarlo della coscienza Riflessioni del giurista blogger Giovanni Cardona sul rapporto tra coscienza e verità
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Il grande giurista Alfredo de Marsico suggeriva un arricchimento della conoscenza del passato anche attraverso raccolte degli imponenti materiali costituiti dagli scritti difensivi, altrimenti votati alla dispersione. Dai repertori delle difese, memorie e comparse, si traggono elementi di grande interesse per la rivisitazione di un’epoca, attraverso i suoi modelli di difesa nelle liti. Una storia del costume, attraverso gli avvenimenti giudiziari, visti non solo nel momento decisionale, desumibile dalle sentenze, ma dalla parte degli avvocati, nella delicata fase preparatoria della decisione dei giudici.
Antesignano di tale visione dell’utilità culturale degli apporti delle difese forensi, fu l’avvocato scrittore francese del ‘700 Gayot de Pitaval, autore di una monumentale raccolta, in venti volumi, di Causes cèlèbres ed intéressants avec les jugements qui ont décidées.
L’esperienza forense e la sua straordinaria capacità di ricercatore di materiali, difese e decisioni, gli consentì di portare a compimento la sua mastodontica raccolta, inaugurando un modello e un genere, che attecchì anche in terra italica nell’800 (tra le varie raccolte, i quattro volumi di Cause celebri discusse da Giovanni Carmignani, stampati a Pisa nel 1843-47).
L’impostazione e gli intenti divulgativi originari che presiedettero all’opera di Gayot de Pitaval, subirono nel tempo un’evoluzione, partendo dai romanzi d’appendice fino alle forme moderne di diffusione del racconto giudiziario, con carattere narrativo o saggistico, e alle svariate forme di reinvenzione filmica e televisiva.
Dall’imponente serie di “processi memorabili” assemblati dall’enciclopedico avvocato-scrittore tre vicende sono esemplari.
Il primo caso é quello di madame de Brinvillier, storia di una famosa avvelenatrice, il cui “crescendo processuale” giunge al culmine nell’arringa del difensore Nivelle.
Il caso é disperato, di fronte alla confessione scritta autografa dell’accusata.
La prova di eloquenza del patrono fu straordinaria, non riuscendo comunque a evitare la condanna.
Il secondo processo “singolare e meraviglioso” concerne un’incredibile vicenda giudiziaria, sulla effettiva condizione di un bambino, scambiato per un altro.
Quello dello scambio di persona é uno dei capitoli atroci della storia del processo indiziario. Immaginazione e realtà si confondono, e confondono i sentieri della Giustizia. Non per nulla il tema della doppia identità di un figlio entra di prepotenza nella letteratura (per tutti, Tom Castro, l’impostore inverosimile, nella Storia universale dell’infamia di Borges).
La “Storia del povero di Vernon,” riveste uno straordinario interesse, oltre che per il problema della doppia identità, per quello della responsabilità del magistrato, che affiora nella sentenza d’appello del Parlamento di Parigi. Per quanto accaduto a Vernon “se i Giudici sono in qualche modo colpevoli, non lo sono però a causa di una malizia che li abbia mossi alla vendetta o ispirati all’interesse, ma solo per non aver usato la diligenza e l’attenzione dovute nel rilevare l’impostura”.
Sono enunciati, come si vede i criteri distintivi tra responsabilità per dolo o per colpa nel giudizio.
Il tema della responsabilità del giudice é affrontato nel terzo caso, quello di un terribile errore giudiziario riguardante “un marito e sua moglie accusati ingiustamente di un furto esorbitante, l’innocenza dei quali fu scoperta solo dopo la loro condanna a pene infamanti e dopo la morte del marito nelle galere”.
Il processo era tipicamente indiziario, ma non si trattava di indizi “gravi e concludenti”, bensì di semplici congetture: “Tutti gli indizi rapportati in questa causa si riducono a supposizioni dubbiose, senza alcun legame tra il furto e i fatti sui quali si fondano”.
A conclusione di tre istanze di giudizio, in sede di revisione, venne riconosciuta la piena innocenza degli accusati, e riabilitata la memoria del morto. Nelle arringhe si era sostenuto che “tutti quegli indizi avevano persuaso il giudice al punto da fargli dire che o il furto lo avevano commesso i signori d’Anglade, o l’aveva commesso lui”.
Orbene, nonostante la supposta evidenza della prova si fosse in seguito rivelata una totale fallacia, nonostante l’ingiustizia della condanna, tardivamente riconosciuta, fosse solo opera dei giudici, nelle stesse arringhe essi appaiono misericordiosamente assolti.
Si afferma che non si può dire che sono i giudici “responsabili di tutto, perché chi inganna i giudici é il solo responsabile dell’inganno. Appartiene ai Giudici e alla necessità del loro ministero decidere, e solo in ciò consiste la loro opera; essi non propongono né procurano accuse, e tantomeno hanno parte nelle prove e negli indizi che produce l’accusatore. E nonostante la loro esperienza e la loro saggezza siano maggiori di quelle di altri uomini, essi non sono infallibili”.
I giudici, come tutti gli uomini, non solo non sono infallibili, ma sono votati all’errore proprio in ragione del compito ingrato di giudicare, ai quali han voluto dedicarsi. Compito a volte assurdo e impossibile, specie per quanti si accingono ogni giorno ad operare senza essere neppure sfiorati dal tarlo del dubbio.
“Il magistrato più fine e più sapiente potrà possedere la coscienza di aver sempre cercato la verità, ma non la certezza di averla sempre raggiunta”. (Lodovico Mortara)