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TAURIANOVA (RC), GIOVEDì 02 MAGGIO 2024

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Ha diritto al ricongiungimento l’immigrato anche se si «distacca» dalla famiglia per dissapori

Ha diritto al ricongiungimento l’immigrato anche se si «distacca» dalla famiglia per dissapori

L’art. 29 D.lgs. n. 286/98 salvaguarda il diritto alla vita affettiva in funzione della quale l’espulsione non dev’essere effettuata

Ha diritto al ricongiungimento l’immigrato anche se si «distacca» dalla famiglia per dissapori

L’art. 29 D.lgs. n. 286/98 salvaguarda il diritto alla vita affettiva in funzione della quale l’espulsione non dev’essere effettuata

 

 

Ha diritto al ricongiungimento alla propria famiglia l’immigrato, anche se in passato
ha avuto dissapori con un parente e per questo si sia distaccato. A stabilirlo la
Cassazione con l’ordinanza n. 18608, pubblicata ieri 3 settembre dalla sesta sezione
civile che per Giovanni D’Agata, fondatore dello “Sportello dei Diritti”,
evidenzia la preminenza dei legami familiari rispetto alla posizione irregolare dello
straniero.Nella fattispecie, i giudici di legittimità hanno accolto il ricorso di
un cittadino originario del Senegal avverso il decreto di espulsione emesso dal prefetto
di Cagliari per non aver chiesto il rinnovo del permesso di soggiorno per ricongiungimento
familiare.In prima istanza il giudice di pace di Cagliari aveva rigettato l’opposizione
dello straniero che comunque ha deciso di ricorrere alla Suprema Corte.Secondo gli
ermellini, né l’autorità amministrativa né il giudice di pace avrebbero tenuto
conto dei legami familiari e dell’inserimento sociale del ricorrente, giunto in Italia
per ricongiungersi al padre, con cui in passato aveva avuto alcuni dissapori. Non
vi è dubbio che l’immigrato era intenzionato a «conservare l’unità del suo nucleo
familiare», considerato che aveva instaurato anche una stabile relazione con una
ragazza italiana e non aveva precedenti penali.I giudici di Piazza Cavour hanno così
ritenuto fondato il primo motivo di ricorso del senegalese. L’articolo 13, comma
2 bis, del D.lgs. n. 286/98 prevede che «/nell’adottare il provvedimento di espulsione
ai sensi del comma 2, lettere a) e b), nei confronti dello straniero che ha esercitato
il diritto al ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto, ai sensi
dell’articolo 29, si tiene anche conto della natura e dell’effettività dei vincoli
familiari dell’interessato, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale
nonché dell’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese
d’origine/».La norma, introdotta dal D.lgs. n. 5/08, di attuazione della direttiva
2003/86/CE sul diritto al ricongiungimento familiare, tende a salvaguardare il diritto
alla vita familiare dello straniero tutte le volte che esso non contrasti con prioritari
interessi pubblici (e infatti non trova applicazione nel caso di espulsione per pericolosità
sociale ai sensi della lett. c) dell’articolo 13, comma 2, cit.). In funzione di
tale diritto, continua la Corte di legittimità, l’espulsione dev’essere evitata
«/ancorché sarebbe consentita sul mero presupposto della posizione irregolare dello
straniero/».Nell’ordinanza impugnata, invece, manca del tutto una valutazione dei
profili inerenti al diritto alla vita privata familiare del ricorrente. Il Giudice
di pace, infatti, si era limitato a motivare con riferimento alla «/non dimostrata
titolarità, da parte del ricorrente, di un documento valido per l’espatrio, di una
stabile dimora ove essere rintracciato, di un lavoro che gli garantisse un reddito
certo, e ciò al solo fine di giustificare il suo immediato accompagnamento alla
frontiera/».