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TAURIANOVA (RC), MERCOLEDì 24 APRILE 2024

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Giusto processo e giusta informazione Analisi del giurista Giovanni Cardona sul rapporto tra processo e stampa

Giusto processo e giusta informazione Analisi del giurista Giovanni Cardona sul rapporto tra processo e stampa
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Una stampa responsabile è sempre stata vista quale collaboratrice di una efficace amministrazione della giustizia, specialmente in campo penale.

La sua funzione in tal senso è documentata da un novero impressionante di servizi resi attraverso secoli.

La stampa, però, non si limita a diffondere informazioni sui processi, bensì è baluardo contro la distorsione della giustizia a mezzo dell’assoggettamento della polizia, dei rappresentanti della pubblica accusa e dell’intero procedimento giudiziale all’osservazione e alla critica estensiva del pubblico.

Il processo è visto esclusivamente come sistema di garanzie per l’imputato e quindi come fase o meccanismo dotati di autonomia concettuale rispetto alla funzione di realizzare il diritto punitivo dello stato; che si esplica per sempre attraverso il processo e tuttavia dello stesso costituisce un’appendice eventuale dotata di autonomia funzionale e concettuale.

Invero, la segretezza dell’azione giudiziaria può solo nutrire l’ignoranza e la sfiducia sulle corti e il sospetto quanto alla competenza e alla imparzialità dei giudici.

L’informazione libera e disinibita, la critica e il dibattito possono contribuire alla comprensione sociale per la funzione della legge e per il funzionamento dell’intero sistema penale, e anche migliorare la qualità di quel sistema assoggettandolo agli effetti purificatori dell’esposizione al controllo pubblico.

Nessuno può seriamente dubitare che una indiscriminata pubblicità compromettente prima del dibattimento può distruggere l’equità del processo penale.

Essi non si attagliano, evidentemente, all’informazione in generale su qualsiasi processo, essi vanno riferiti bensì a quei fatti destinati a sfociare in processi che per risonanza dell’evento, per entità degli interessi o numero o notorietà dei soggetti coinvolti non solo siano atti a riscuotere una particolare attenzione ma siano tali da poter coagulare un movimento di opinione attorno alla rappresentazione processuale.

Né tale restrizione – insieme qualitativa e numerica – è sufficiente a circoscrivere il rilievo da attribuirsi agli effetti della informazione a rendere operativa l’opportunità di attuare cautele atte a prevenirli o ribatterli.

Infatti, senza dissonanze si esige altresì che l’attività dei mezzi di informazione si traduca in esternazioni continuate e unidirezionali potenzialmente adeguate a creare condizionamenti e pregiudizi.

La Commissione Europea dei Diritti dell’Uomo da un lato ha affermato ripetutamente che, “in particolare allorquando laici partecipano al processo in qualità di giurati, la garanzia di un equo dibattimento può seriamente essere messa a rischio” (da una virulenta campagna di stampa); da altro lato, però essa ha anche ritenuto di precisare che, ferma la necessità di prevenire pregiudizi, il fatto che il processo sia celebrato davanti a giudici togati “costituisce una ulteriore garanzia di imparzialità“.

La ratio di quest’ultima decisione si apprezza meglio, tuttavia, attraverso la osservazione che “la corte di appello che ha competenza di merito può correggere qualsiasi errore occorso nel giudizio davanti al giudice laico riconducibile a una pubblicità pregiudizievole“.

E norma inequivoca che, mentre pende un giudizio davanti a una Corte, nessuno deve esprimere commenti sulla controversia in modi tali che si ingeneri il reale sostanziale pericolo di pregiudizio per il processo, come ad esempio potrebbe avvenire influenzando il giudice, i giurati o i testimoni ovvero anche soltanto influenzando l’opinione generale in danno di una delle parti, anche se colui che fa il commento ritiene onestamente che esso sia corretto, tuttavia si realizza l’oltraggio alla corte se egli arreca pregiudizio alla verità prima che essa sia stata accertata nel procedimento.

Ma oltre a ciò si potrebbe arrivare a porre una delle parti sotto pressione; nessuno deve, attraverso una rappresentazione alterata dei fatti o in altro modo, provocare una ingiusta pressione che si concentri su una delle parti in causa cosi da costringerla ad abbandonarla, o a rinunciare alla sua difesa, o ad accettare componimenti in termini che non avrebbe altrimenti preso in considerazione.

Non dobbiamo consentire “processi a mezzo stampa” o “processi a mezzo televisione” o comunque processi attraverso qualsiasi altro mezzo che non siano le Corti.

E allorché si esamina la questione deve sempre tenersi presente che oltre agli interessi delle parti per un processo giusto e per una giusta transazione, v’è un altro interesse di rilievo che va preso in considerazione: si tratta dell’interesse del pubblico quanto a questioni di importanza nazionale e la libertà della stampa di svolgere imparziali commenti su tali questioni.

Un interesse deve controbilanciare l’altro.