Gioia, Stati generali agricoltura “Italia del Meridione” "Si" al trattato CETA, visto come "un'enorme opportunità". Modernizzazione del processo produttivo, gli imprenditori olivicoli: "ulivi secolari ormai un problema, non si può fare ambientalismo con il portafoglio degli altri!"
Domenico Latino
GIOIA TAURO – Si è discusso del nuovo accordo bilaterale, in vigore da ieri (in via provvisoria), denominato CETA che aprirà al libero scambio tra il Canada e i Paesi dell’UE semplificando l’esportazione di beni e servizi, ma non solo, martedì sera a Gioia Tauro, in occasione degli “Stati generali dell’agricoltura” promossi dal movimento “L’Italia del Meridione”. L’incontro, predisposto al meglio da Antonio Romano e Antonio Parrello, rispettivamente coordinatore e portavoce provinciale, ha riunito molti operatori del settore e al tavolo ha registrato la presenza, oltre del leader consigliere regionale, Orlandino Greco e di Mimmo Frammartino, vicepresidente regionale “IdM”, anche del presidente provinciale di Confagricoltura, Nino Lupini e di due tra i più importanti produttori di olio extravergine del territorio, Pierluigi Taccone e Filippo Zerbi, da poco nominato responsabile regionale “IdM” per l’agricoltura e l’export. I due imprenditori hanno inoltre sollevato un’altra importante questione che riguarda l’olivicoltura pianigiana: la tutela degli imponenti ulivi secolari del territorio andrebbe infatti a minare la sopravvivenza delle stesse aziende che per oltre un secolo ne hanno avuto cura. Zerbi argomentando sul CETA ha esordito definendo il gruppo di coloro che sono contrari come portatore di “un’opinione populista e di una retorica bucolica, di cui noi siamo vittime – ha rimarcato – che vuole l’agricoltore, soprattutto nell’immaginario di Coldiretti, come il contadino della casetta del “Mulino Bianco”, felice di vendere la sua produzione sull’uscio. Credo sia invece uno dei miti da sfatare: noi siamo imprenditori, abbiamo delle aziende e abbiamo bisogno non del Km 0 ma di decine di migliaia di km, altrimenti sia io che i miei colleghi avremmo già chiuso!”. Ma è l’amara riflessione sulle problematiche legate ai beni primari a fare maggiore presa: “c’è la necessità di una meccanizzazione e modernizzazione dell’agricoltura – ha spiegato – per poter produrre a costi minori in una zona in cui le rese sono basse per via della grande quantità di alberi secolari, che rappresentano un problema dal punto di vista economico perché difficilmente meccanizzabili per la coltivazione e la raccolta. La burocrazia ci viene incontro dicendo che non li possiamo abbattere: la loro tutela non può essere però solo a vocazione ambientalista ma legata anche alla sostenibilità delle aziende. Dunque, se non li possiamo toccare proporrei alla politica di pagarci come custodi del territorio perché non si può fare ambientalismo con il portafoglio degli agricoltori che devono avere la possibilità di riconvertire”. Gli fa eco Pierluigi Taccone di Sitizano: “se vogliamo mantenere la realtà ambientale cosi come oggi ci viene offerta, indubbiamente bella – ha aggiunto – non può essere gestita dal mondo agricolo ma da qualcheduno che se ne prenda cura perché, in realtà, nel momento in cui questo non si dovesse verificare probabilmente tutto quello che si cerca di salvaguardare verrebbe meno con la caduta economica dei coltivatori. Tra qualche anno finiranno gli aiuti comunitari e l’olivicoltura che vedete intorno a voi – 30mila ettari splendidi – morirà perché, se non potremo modificare le strutture esistenti, non si avrà più la capacità economica di affrontare e coltivare queste piante”. Taccone avanza quindi una possibile alternativa: “suggerirei a chi ci governa di scegliere 2 o 300h tra le zone più belle e rappresentative con alberi ad alto fusto e convertirli ad ortobotanico rendendoli fruibili al pubblico per vedere cosa è stato nel passato, lasciando però alla libera iniziativa dell’agricoltura la determinazione di scegliere quale altra alternativa percorrere”.
Tornando all’accordo CETA, la posizione di “IdM” è abbastanza chiara e nettamente contrapposta a quella del Consiglio regionale che, di recente, ha approvato all’unanimità dei presenti un ordine del giorno che dice “no” al trattato. “IdM”, con il suo leader Orlandino Greco, viceversa, ci vede un’opportunità di sviluppo per una Calabria che, altrimenti, sarebbe tagliata fuori dai mercati che contano. “Il governo regionale si è espresso frettolosamente – ha evidenziato Frammartino – c’è di contro un mondo agricolo, che comprende Agrinsieme e Confagricoltura, e un livello politico che ha scelto di essere favorevole a una internazionalizzazione che spalanca le porte alle aziende che hanno importanti valori aggiunti. È vero che in Italia riguarderà solo 41 prodotti ma è altrettanto vero che questi da soli valgono il 92% dell’export”. L’avv. Lupini, da parte sua, ha precisato come il mondo agricolo in realtà non sia diviso: “da una parte c’è Coldiretti con la sua posizione isolata che crea disinformazione, dall’altra invece il restante 70%. Occorre sfatare i falsi miti – ha aggiunto – su almeno 3 direttrici: il CETA non modifica il codice doganale UE; non modifica lo standard di sicurezza dei prodotti alimentari in Europa, e l’Italia non sarà mai danneggiata perché siamo all’avanguardia mondiale; non prevede infine l’abbattimento totale dei dazi perché si parla di termini di contingente: fino a un determinato contingente il tasso è azzerato, oltre si applicano misure doganali. La cosa importante è che, oltre questi dazi, vengono tolti i dazi occulti, cioè la cosiddetta rimozione delle barriere non commerciali che sono il monopolio della commercializzazione dei prodotti, il guaio della filiera italiana”. Infine, conclusioni affidate a Orlandino Greco: “purtroppo il Consiglio regionale ha approvato all’unanimità (io non c’ero chiaramente) una mozione contro il CETA, forse perché nessuno aveva letto le carte. Io mi chiedo: chi non è d’accordo a questo protocollo ha mai visto il Canada? HA idea di cosa significhi lì PIL e qualità della vita, o turismo e agricoltura? Oggi c’è una proiezione verso i mercati ricchi e, anziché avere la capacità di essere visionari, si parla di ammortizzatori sociali o mobilità in deroga. La Calabria ha un export che non arriva neanche allo 0,1%; inoltre vi dico che se il reddito medio pro capite dei calabresi che stanno a Toronto lo apportiamo alla sommatoria del reddito medio pro capite della Calabria troveremmo delle sorprese. Forse paghiamo la miopia di una classe politica antica che non ha fatto azioni forti per fare piattaforme di export nel mondo, per perdere tempo in quisquilie locali, politica non significa solo anticipare i tempi ma guidare la comunità verso quei tempi”.
Il nuovo trattato economico globale prima di entrare pienamente in vigore dovrà essere ratificato dai parlamenti nazionali e, in alcuni casi, anche da quelli regionali dell’UE. Prevede l’abbattimento dei dazi doganali e il mutuo riconoscimento della certificazione per una vasta gamma di prodotti. Il Canada aprirà il mercato degli appalti pubblici alle imprese europee e i fornitori europei avranno accesso al mercato canadese. Verranno inoltre tutelate 173 IGP per cui d’ora in avanti, ad esempio, il prosciutto di Parma (finora venduto come “The Original prosciutto”) potrà sbarcare sul mercato canadese utilizzando il proprio nome, circostanza finora impedita alla celebre DOP italiana perché il marchio Parma è un marchio privato depositato da anni da una società canadese. L’accordo ha diviso la classe politica italiana e parte del mondo agricolo: in migliaia sono già scesi in piazza (associazioni ambientaliste; partiti di sinistra, sindacati, la Coldiretti, i “No global”) perché, secondo il loro punto di vista, l’accordo metterebbe a rischio la salute e il “Made in Italy” in quanto non potrebbe essere ostacolata l’immissione di prodotti OGM o di clamorose imitazioni. Preoccupazioni che i sostenitori del ‘si’ giudicano del tutto infondate.