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TAURIANOVA (RC), SABATO 27 APRILE 2024

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Ditta Gheddafi & Figli

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Fondi, hotel e conti segreti: ecco dov’è il tesoro del rais

Ditta Gheddafi & Figli

Fondi, hotel e conti segreti: ecco dov’è il tesoro del rais

 

 

Il cavallo di Troia con cui il rais di Tripoli si è guadagnato un posto d’onore sulla scena internazionale è un tesoretto da 70 miliardi di dollari. Tutti provenienti dal petrolio, che ha benedetto il suolo nordafricano con le ottave riserve mondiali.
GHEDDAFI RE MIDA. Se la natura lo ha aiutato, il dittatore è stato però talentuoso nel farli fruttare nella cosiddetta ditta Gheddafi & Co., ragnatela di interessi e partecipazioni che spaziano dall’editoria al calcio. A titolo privato e come fondi statali; tutti, in ogni caso, accolti come manna dalle cancellerie occidentali a caccia di liquidità.
A fianco alle operazioni finanziarie sotto gli occhi di tutti, Muammar e la numerosa prole pare si siano però assicurati anche la pensione, particolarmente necessaria nel caso di caduta del regime. Secondo gli analisti qualche miliardo di petrodollari, confluiti nei paradisi fiscali del Golfo.

I fondi Lia e Lafico per la diversificazione economica

I trofei più significativi della gestione economica del Colonnello sono arrivati con la creazione di due fondi d’investimento attivi in Europa, la Lybian investment authority (Lia) e la Lybian arab foreign investment company (Lafico). Entrambi ben noti agli italiani: il primo ha in mano, tra le altre cose, il 2,5 % di Unicredit (la Banca centrale libica detiene un ulteriore 4,9%, portando la quota nordafricana al 7,4%); l’altro possiede il 7,5% di Juventus.
LIA: DAL FT A FINMECCANICA. Secondo le stime, la Lia da sola vale tra i 60 e gli 80 miliardi; un capitale che Alistair Newton, della banca giapponese Nomura, ha definito «opaco». Giudizio che non ha impedito ai consigli di amministrazione europei di aprire le proprie porte ai soci libici: oltre a Unicredit (leggi), Lia controlla il 2% di Finmeccanica , il 3% di Pearson – il gruppo che possiede anche il quotidiano finanziario Financial Times – e parecchi private equity ad alta liquidità (leggi la mappa del business italo-libico).
Il più noto è il Carlyle di Abu Dhabi che, solo in Italia, gestisce un patrimonio da 500 milioni di euro, principalmente in immobili di lusso.
LAFICO: DA FIAT ALLE TLC. È però il Lafico ad avere ramificazioni più importanti nel nostro Paese. Oltre alla Juventus, nel cui consiglio di amministrazione è presente anche il figlio di Gheddafi, Al-Saadi, il fondo ha in tasca il 22% dell’azionariato dell’azienda tessile Olcese, il 2% di Fiat e quasi il 15% di Retelit, una telecom meneghina quotata a Piazza Affari.
Secondo la ricostruzione del britannico Guardian, la partecipazione più significativa è tuttavia un’altra. Quella in Quinta Communications, casa di produzione e distribuzione cinematografica parigina cofondata dal premier Silvio Berlusconi (detentore del 22% dell’azionariato) e del magnate tunisino Tarak Ben Ammar. Il fondo libico ne ha in mano il 10%, attraverso una controllata olandese, e ha piazzato un proprio uomo, Jasem Etunsi, nel board direttivo a fianco di quelli espressi dal primo ministro italiano.

L’hotel vicino Rieti e il progetto a Fiuggi

Oltre a essersi impegnati a diversificare l’economia nazionale, Gheddafi e prole hanno però operato anche direttamente sui mercati europei, con investimenti mirati e qualche colpo di testa.
ANTRODROCO E L’ORO BLU. Alla seconda categoria può essere ascritto l’improvviso amore per Antrodoco, il borgo di 2.800 anime nel Reatino in cui il Colonnello incappò in visita di piacere durante una il G8 dell’Aquila, cui era stato invitato da Berlusconi in qualità di ospite speciale.
L’estate scorsa, previo versamento di 15 milioni di euro al sindaco Maurizio Faina, il rais ha iniziato i lavori per la costruzione di un albergo di lusso con beauty farm, unitamente a uno stabilimento per imbottigliare l’acqua minerale. E pare che altri 250 milioni siano a disposizione per la città di Fiuggi, dove costruire un beauty-centre termale: manca tuttavia ancora l’autorizzazione formale.
ALBERGHI IN INGHILTERRA. Nel Regno Unito i Gheddafi si sono concentrati invece sul mattone, acquistando per 10 milioni di sterline una villa lussuosa ad Hampstead, il ricco sobborgo di Londra. Nella capitale, hanno rilevato inoltre un complesso commerciale nella centralissima via dello shopping Oxford street, che ospita ora alcuni negozi delle catene Boots e New Look, oltre a uffici nella City.

In Africa, tra soldi e sporchi e investimenti sottratti

Non tutte le mosse economiche e finanziarie del rais e del suo clan sono però avvenute alla luce del sole. Secondo diverse ricostruzioni, ci sarebbe Gheddafi dietro al sostentamento di alcuni dei più crudeli regimi africani: per esempio quello di Robert Mugabe, in Zimbawe, sostenuto per anni con fiumi di petrodollari. E il Colonello avrebbe foraggiato anche la lotta della tribù Zaghawa del Darfur nei conflitti etnici che hanno dilaniato il Paese per decenni, ottenendo peraltro una contropartita importante: pare che tra i mercenari assoldati per sedare la sommossa di questi giorni ci siano proprio miliziani zaghawa.
FIGLI IN AFFARI. Nella stessa Libia, infine, i sette figli biologici del Colonello, più un nipote adottato, distraggono proventi da praticamente qualsiasi attività nazionale: petrolio e gas, telecomunicazioni, infrastrutture e hotel, il cui controllo è saldamente nelle loro mani.
Stando al Financial Times, il figlio “riformatore” Seif al-Islam succhierebbe ampi share dei 10 miliardi di dollari incassati ogni anno per l’esportazione dell’oro nero, attraverso il controllo di una delle aziende dell’indotto della compagnia nazionale
Mohammed, il primogenito, è a capo del Comitato generale delle Poste e delle telecomunicazioni, e il suo nulla osta è necessario per avviare qualsiasi attività nel settore. Saad, calciatore mancato, prospera nell’edilizia: per invogliare i turisti ai soggiorni in Libia starebbe costruendo grandi resort nell’ovest del Paese.
PARACADUTE D’EMERGENZA. Tutte attività che consentono di rosicchiare capitali significativi da assicurare all’estero. «Nessuna previsione sul loro effettivo ammontare potrebbe essere corretta», ha detto Tim Niblock, professore in politiche mediorientali all’Università di Exeter, «ma qualsiasi stima rischia di essere al ribasso». Di certo, svariati miliardi di dollari, che secondo gli analisti finanziari sono fluiti nelle casse di Dubai e del Sud-est asiatico. Un morbido paracadute in caso di crollo del regime.