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TAURIANOVA (RC), SABATO 27 APRILE 2024

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Della bella morte Le riflessioni dell'avvocato Cardona sull'eutanasia

Della bella morte Le riflessioni dell'avvocato Cardona sull'eutanasia
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Stoici, sofisti ed epicurei nell’antica Grecia discettavano della “bella morte”, significando un trapasso affrontato dall’uomo in pienezza di coscienza, nell’accettazione serena delle sofferenze: privilegio degli spiriti eletti, sereni e coscienti.

L’eutanasia per i moderni ha acquistato un significato di “soppressione pietosa”, omicidio giustificato dalla pietà e dal desiderio di morte del sofferente; un suicidio per commissione delegato a terzi che comunque solleva problematiche di eterogenea natura: storica, morale, religiosa, filosofica, giuridica, scientifica e sociale.

La Chiesa romana ha sempre definito l’eutanasia come “dottrina sconvolgente, moralmente inaccettabile ed umanamente contraddittoria”; tale assunto conserva ancor oggi la sua cristiana efficacia e forza; i tentativi delle minoranze sono destinati a rimanere più espressioni emotive che manifestazioni di pensiero degne di assurgere al rango di messaggi dottrinari.

La giustizia umana, per converso, è stata sovente clemente.

Nel conflitto fra il comandamento di Dio “Ego occidam et ego vivere faciam” (Io so morire e so vivere) e la legge scritta e profana, vi è sempre nei giudici un velame interpretativo commisto a pietà sul grande dramma umano: le sentenze sono spesso il nobile compromesso tra colpa ed espiazione.

Caso di scuola si verificò a Detroit, ove una giuria popolare composta da nove donne e tre uomini mandò assolto il musicista Eugene Braunsford, colpevole di aver ucciso per pietà con un colpo di rivoltella alla nuca la ventenne figlia paralitica, ponendo quale elemento scagionante l’incapacità di intendere e volere durante la commissione del fatto.

Vi è una pietas del giudicante che, dinanzi al dolore lo porta a sovvertire i comuni canoni ontologicamente deputati alla interpretazione ed applicazione della norma, perché volenti o nolenti siamo tutti figli del dolore per precetto biologico e divino.

L’ateo nega la necessità del dolore, mentre il credente scopre nel dolore la via della fede; ed ecco che, se da un lato non può sopprimersi una vita straziata dalle sofferenze, dall’altra nessuno sente di poter giustiziare chi è naufragato nel dolore.

Oggigiorno il materialismo storico avallato dall’esaltazione di uno smodato edonismo, corroborato dal culto delle istanze esistenziali, trascinano la vita istintuale ad un livello di esasperato e sterile razionalismo: le istanze eutanasiche trovano così agevole accesso anche nelle più affinate coscienze.

Gli esseri umani si illudono di poter sconfiggere il dolore, di esiliarlo dalla vita, di riformare le leggi della natura con la tecnologia e le ipocrisie egualitarie o con novelli miti di ideologie statolatriche e massificanti.

La grande verità che ha sempre nobilitato la fragilità dell’uomo e la relatività della sua esistenza è il dolore; la odierna crisi umana di velleitarismo e di illusioni è essa stessa vittima di un atto di superbia e di rivolta alle leggi eterne della vita.

Forse tra non molti lustri l’uomo avvertirà, pentendosi, l’atto di superbia realizzato e sarà innegabilmente quando, giunto al limite estremo della sua ignavia, nella sterile ricerca di una felicità terrena, ritroverà se stesso, restituendo alle are fra gli incensieri la religione dello spirito e il culto del dolore.