Covid-19, L’eco del coraggio del Capitano Settimio Il Comandante della Polizia Municipale di Marina di Gioiosa Jonica, riesce ad essere tra le prime vittime del coronavirus
Di Cosimo Sframeli
L’impotenza più grande è il non riuscire a difendere chi è più debole, più ingenuo, più solo; chi, quasi profugo da questa terra, finisce per essere dato in pasto agli avvenimenti dei giorni nostri. Le leggi, per Socrate, non sono né giuste né ingiuste, ma rappresentano la Patria. I responsabili delle strutture sanitarie sono allarmati e disorientati. Problematico appare l’intervento di polizia, nonostante la legge ne vieti i raduni e quant’altro. E’ una sfida alla morte e chi scopre di essere positivo resta sconvolto, provando la sensazione di appartenere a un gruppo esclusivo, di aver conquistato un’identità speciale negativa. Anche in questa terra difficile da capire, un amico ci dovrebbe essere anche nei momenti difficili. Il Capitano Settimio Ambrosio, Comandante della Polizia Municipale di Marina di Gioiosa Jonica, riesce ad essere tra le prime vittime del coronavirus. L’esame del tampone, a cui si sottopone dopo settimane di cure per fermare la bronco-polmonite, è positivo al Covid-19. Settimio è componente della Commissione d’esame nel Comune di Scilla dove tutti accusano lo stesso malore, ma non vengono sottoposti ai prescritti esami del tampone. Tutte le energie della Sanità e della Politica vengono concentrate su Settimio, chiuso in casa con la sua famiglia, additato, non solo sui social, come un pericoloso appestato responsabile di potere divulgare il virus nella Locride. Non ha parenti in paese e attorno a lui si muove una macchina burocratica “sintomatica”. Oramai da settimane, nessuno si avvicina a casa sua per porgere generi di prima necessità. Settimio, suo malgrado, diviene una vittima esemplare, infettato dal virus mentre esegue i compiti istituzionali affidatigli. In un mondo in cui spesso è l’illegalità a sconfinare nei territori dello Stato, affermare e testimoniare la verità in un piccolo paese potrebbe essere quanto di più rischioso si possa pensare. Sono tanti i Settimio che sono costretti ad attraversare le molteplici difficoltà soltanto per mantenere il diritto di parlare, per trasportare l’eco del coraggio e della speranza, il riscatto del bene per il quale i calabresi si battano come leoni per riconquistarlo. Opinionisti, che commentano la cronaca, organizzatori di marce e manifestazioni variamente impegnate, ripetitori inesausti di parole scaramantiche: Solidarietà, Dialogo, Tolleranza; ne abbiamo fin troppi, ma nessuno con i dovuti titoli. Militanti ed esperti di cause sociali e politiche, che hanno infinite risposte alle domande sulle questioni ultime, a quelle che ogni uomo si pone quando è finito il chiacchiericcio del dibattito socialmente impegnato e, nella solitudine, si interroga sul mistero che incombe sulla vita di ognuno. E vive male chi ha paura della morte. “Muore mille volte chi ha paura della morte”, dice Epicuro dall’alto della sua saggezza. Purtroppo, questo mondo moderno, pieno di belle parole, dominato da generica follia, ha stolidamente perduto. La disinformazione religiosa sconcerta persino l’uomo della strada. Ed oggi più che mai, non ci serve un Virgilio come guida nei gironi infernali né una Beatrice nei cieli paradisiaci. Ci basterebbe qualche buon vecchio parroco che riscoprisse che il suo dovere primario è tenerci per la mano e spiegarci con pazienza il Catechismo, magari dal capitolo che ha per titolo: De resurrectione carni set vita aeterna. Settimio non può allontanarsi da se stesso e dal suo ruolo. Il coronavirus cambia le sue giornate, come quelle di tutti, e mostra l’imbocco d’un tunnel in fondo al quale appaiono la colpa e la verità della colpa. Sulla sua uniforme c’è l’odore che si fiuta con piacere, quasi con sollievo, un buon odore greve così denso, che si può tagliare con il coltello, emanato dal cuoio delle bandoliere, della stoffa pesante delle divise, delle scartoffie, dei portacenere freddi e dei poveri cristi che hanno lustrato con il loro sedere le sedie della sala d’attesa. Aspettiamo la luce d’agosto per guardare la spiaggia di Marina di Gioiosa Jonica con le sue sagome di bagnanti sotto gli ombrelloni e di qualcuno che si tuffa nelle onde scintillanti come scaglie di pesce del Mar Jonio.