Image Image Image Image Image Image Image Image Image Image

TAURIANOVA (RC), MERCOLEDì 01 MAGGIO 2024

Torna su

Torna su

 
 

Confusione “certificata” La Dottoressa Gelonesi prova a fare luce sull'intrigante mistero delle norme sulla tutela dell'attività sportiva. Chi tutela chi?

Confusione “certificata” La Dottoressa Gelonesi prova a fare luce sull'intrigante mistero delle norme sulla tutela dell'attività sportiva. Chi tutela chi?
Testo-
Testo+
Commenta
Stampa

Ci eravamo lasciati mentre il dubbio che in fondo non stessi dicendo sciocchezze faceva capolino nella vostra testa e il seme dell’amore per voi stessi iniziava a germogliare. La vostra coscienza in tenuta da jogging è venuta a strapparvi via dal divano, dove avete relegato in solitudine la pigrizia, avete indossato e allacciato le vostre scarpe da ginnastica, tirato fuori le tute dagli armadi, e ora siete pronti a prendervi cura di voi stessi (spero!)
Ma con questa bella carrozzeria un controllo al motore non lo vogliamo fare?
Qualsiasi sia l’attività che avete deciso di intraprendere, dalla corsetta all’uscita domenicale in bici, dalla piscina al riprendere quell’attività in palestra che vi piaceva tanto, verificare prima che sia tutto a posto rappresenta un ulteriore atto di amore verso voi stessi.
Questo è il mio consiglio e il mio invito, ma anche lo spunto per trattare il complicato e controverso argomento delle certificazioni di idoneità all’attività fisica cercando di fare un po’ di chiarezza, visto che la tematica genera confusione anche negli stessi addetti ai lavori. Confesso, infatti, che, in questa ricerca, mi sono trovata ad annaspare nel mare magnum di leggi, decreti, rettifiche, chiarimenti, circolari, abrogazioni, sprecando più energie che in una lezione di zumba!
Nella mia navigazione a vista mi sono trovata davanti il primo e inamovibile isolotto: la legge del febbraio 1982 che regolamenta la tutela sanitaria delle attività sportive agonistiche e che è tuttora vigente in cui l’attività agonistica viene definita come “quella forma di attività sportiva praticata sistematicamente e/o continuativamente soprattutto in forma organizzata dalle Federazioni Sportive Nazionali, dagli Enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI, e dal Ministero della Pubblica istruzione per quanto riguarda i Giochi della Gioventù nelle fasi nazionali, per il conseguimento di prestazioni sportive di un certo livello”.
Vale la pena ricordare che tale legge, voluta fortemente dal CONI e dalla FMSI, rappresenta un momento di grande valore ed un motivo di orgoglio per l’Italia, che a livello internazionale è riconosciuta nazione all’avanguardia in tema di legislazione e protocolli volti alla tutela sanitaria di chi pratica attività sportiva.
L’Italia è l’unico paese infatti che sottopone i suoi atleti a controlli periodici e completi. I vantaggi di questa politica sono intuibili: oltre alla finalità immediata di non far gareggiare atleti che presentino una qualche patologia, uno screening effettuato su una popolazione così ampia possiede una straordinaria valenza come strumento preventivo e rappresenta quindi un’arma preziosa a disposizione nella diagnosi di patologie (parliamo di cardiopatie soprattutto) che potrebbero restare misconosciute. Negli USA, ad esempio, dove non esistono controlli obbligatori, la cardiopatia ipertrofica (una malattia caratterizzata da un’alterazione strutturale del muscolo cardiaco) è la causa più frequente di morte improvvisa mentre in Italia la stessa condizione può essere diagnosticata precocemente durante la visita di idoneità.
Se l’importanza dell’effettuazione di tali controlli non fosse sufficientemente chiara, vi illumino con un piccolo flash mnemonico che quelli di voi votati alla sofferenza, gli interisti intendo, sicuramente hanno ben impresso nei circuiti della memoria: la vicenda dei calciatori Kanu e Fadiga, acquistati dalla società meneghina e giudicati non idonei a calcare i campi della Serie A italiana. Al giocatore nigeriano è stata riscontrata una patologia valvolare (successivamente corretta con un intervento di cardiochirurgia), mentre il senegalese non ha ottenuto l’idoneità sportiva per un problema aritmico.
Il protocollo secondo cui si articola una visita di idoneità varia a seconda della disciplina. Mi limito qui a far riferimento a quello più largamente utilizzato, che si applica agli sport più comunemente praticati (esempio calcio, pallavolo, basket, ciclismo, nuoto e altri ancora) cui momenti fondamentali sono rappresentati da anamnesi e visita, elettrocardiogramma a riposo e dopo sforzo (lo sforzo si effettua salendo e scendendo per tre minuti da uno scalino, il cosiddetto gradino di Master), spirometria (quell’esame in cui si “soffia” in un boccaglio per valutare la capacità respiratoria) ed esame delle urine.
Per gli atleti master (over 35) il test dei gradini è sostituito da un test ergometrico massimale (la bicicletta o il tappeto, per capirci).
La visita è annuale, viene richiesta dalla società sportiva e per i ragazzi di età inferiore ai 18 anni è gratuita. Il certificato può essere rilasciato esclusivamente da uno specialista in medicina dello sport nelle strutture riconosciute. Lo specialista può’ poi avvalersi della consulenza del cardiologo per l’esecuzione di esami di secondo livello (ad esempio Holter ECG ed ecocardiogramma) se durante la visita viene riscontrata una qualche anomalia.
Qualche considerazione personale: proprio perché la nostra legislazione in materia è all’avanguardia ed è animata dall’esigenza di tutelare i nostri atleti e i nostri ragazzi, sebbene i protocolli siano consolidati, qualche modifica per migliorarli ulteriormente potrebbe essere fatta. Ad esempio, l’introduzione dell’ecocardiogramma, l’esame che va a “guardare” il cuore nella sua struttura e permette di riscontrare anomalie come i vizi valvolari, o i difetti interatriali, cioè delle comunicazioni tra i due atri, normalmente divisi da un setto (si ricordi il caso di Cassano a cui fu diagnosticato un difetto interatriale successivamente corretto). Altro punto migliorabile, se vogliamo, è il test del gradino che potrebbe essere sostituito da un test ergometrico anche per gli under 35 (in alcune strutture già lo fanno), per vedere realmente come si comporta il cuore sotto sforzo.
E con l’attività agonistica ci siamo. Legge vecchiotta mai messa in discussione, protocolli per il giudizio di idoneità ben chiari, tante certezze.
Ma è il momento di lasciare questo isolotto per riprendere la navigazione nelle acque agitate di tutto ciò che non rientra nell’ agonismo. Mentre sto aggrappata al mio pezzo di legno, tipo Rose del Titanic, vedo galleggiare articoli, circolari ministeriali, lettere del CONI, finché approdo in un’altra isoletta dove gli abitanti mi spiegano che anche il loro un tempo era un posto felice, prima della colonizzazione da parte di legislatori ubriachi, venuti a sostituire certezze con difficoltà interpretative.
È l’isola del decreto legge del 24 aprile 2013, che disciplina la certificazione dell’attività sportiva non agonistica e amatoriale.
In tale decreto viene ripresa la definizione di attività sportiva non agonistica già presente nel DM del 28 febbraio 2013 (norme per la tutela sanitaria dell’attività sportiva non agonistica) e viene introdotto il concetto di attività “amatoriale”. Inoltre viene introdotta l’obbligatorietà dell’elettrocardiogramma a riposo nell’idoneità non agonistica (la cui certificazione, presa visione del referto, è sempre rilasciata da medici di base e pediatri di libera scelta)
Sono attività non agonistiche le attività fisico-sportive organizzate dagli organi scolastici nell’ambito delle attività parascolastiche, le attività organizzate dal CONI, da società sportive affiliate alle Federazioni sportive nazionali, alle discipline associate, agli enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI, che non siano riconosciuti “agonisti” ai sensi del DM del 20.2.82 (la differenza è abbastanza sottile, non si basa sul carattere di competività richiamato nel termine “agonismo”, è stata creata al fine di discriminare i soggetti che devono sottoporsi ai controlli obbligatori ed è demandata alle federazioni), e i giochi sportivi studenteschi nelle fasi precedenti a quella nazionale.
Per attività amatoriale si intende invece l’attività “ludico motoria” praticata da soggetti non tesserati a federazioni sportive nazionali, alle discipline associate, agli enti riconosciuti dal CONI, finalizzata al raggiungimento del benessere psico-fisico e non regolamentata da organismi sportivi. Se tale attività si svolge in un contesto organizzato e autorizzato è obbligatoria la certificazione (secondo l’art 2 del decreto sopra citato) conseguente al controllo medico da parte del medico di base o del pediatra di libera scelta.

Fin qui tutto bene. Ma a questo punto emerge dalle acque una strana creatura: il decreto legge del giugno 2013, cosiddetto decreto del Fare (confusione) che contiene una disposizione che sopprime l’obbligo di certificazione per le attività amatoriali e ludico-motorie, per “non gravare cittadini e servizio sanitario nazionale di ulteriori e onerosi accertamenti”.
Seguono sgomento e confusione, il CONI chiede chiarimenti, il ministero della Salute risponde dicendo che sì, abbiamo scherzato, l’articolo 2 è stato soppresso, via le attività amatoriali e ludico motorie dall’obbligo di accertamenti sanitari e via l’elettrocardiogramma obbligatorio per le attività non agonistiche (la cui richiesta sarà a discrezione del medico certificatore), tanti saluti e ora sbrigatevela voi.
Il pomo della discordia è stato lanciato e adesso Afrodite (i titolari delle palestre) ed Era (medici di base e pediatri) possono farsi la guerra.
A poco serve l’intervento di Paride-Lorenzin, che nelle linee guida dell’agosto 2014 fa riferimento esclusivamente all’attività non agonistica, reintroducendo la necessità di un ECG eseguito almeno una volta nella vita, e ripetuto ogni anno per i soggetti con patologie che comportino un aumentato rischio cardiovascolare (es. Diabete, ipertensione, ipercolesterolemia) e per soggetti di età superiore ai 60 anni con altri fattori di rischio.
Resta quindi il dilemma riguardante centri sportivi e palestre. I titolari delle strutture esigono che i loro allievi producano una certificazione che possa farli lavorare con tranquillità, e si ritrovano spesso davanti al diniego dei medici di base, che a loro volta, non ravvedono i criteri di obbligatorietà.
Sembra quasi che ad essere “tutelati” non debbano essere più gli atleti ma chi si prende, in un modo o nell’altro, la responsabilità di farli allenare.
Il bandolo di questa, apparentemente inestricabile, matassa di lana caprina è tutto nella definizione di attività non agonistica pertanto se la palestra è affiliata a un ente di promozione sportiva riconosciuta dal CONI o a una federazione, e tessera i suoi allievi può e deve richiedere il certificato (che verrà rilasciato seguendo le indicazioni del decreto Lorenzin), chi invece frequenta strutture prive di tali requisiti e quindi non risulta tesserato non è obbligato a presentare alcun certificato.
Il tutto dovrebbe essere semplificato rilasciando agli iscritti un modulo per la richiesta del certificato, in cui si specifica a quale ente è affiliata la struttura.
Questa è la legge.
Poi c’è il buon senso, che a volte segue strade diverse e indipendenti.
Pertanto al di là dei casi in cui gli accertamenti sanitari sono obbligatori, tesseramento o non tesseramento, liberatoria o certificato, sarebbe bene per tutti eseguire dei controlli: una visita e un Elettrocardiogramma per i più giovani, un test ergometrico per chi è entrato negli ‘anta.
In fondo sul piano pratico che differenza c’è tra il cuore di una persona che è obbligata ad eseguire degli accertamenti per partecipare, ad esempio, a un campionato pallavolo o calcio, e un’altra che in palestra svolge attività ad alto impegno cardiovascolare? Credo siano meritevoli entrambi di essere trattati con riguardo.
Lo so, è un po’ una rogna, ed è pure a pagamento, ma c’è un prezzo per divertirsi in sicurezza?

Natalia Gelonesi