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Commando assalta il furgone della polizia e fa fuggire il boss Domenico Cutrì

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L’agguato è avvenuto nei pressi di Gallarate, mentre il detenuto stava per essere trasferito dal carcere al tribunale. Nello scontro a fuoco sono rimasti feriti due agenti mentre è morto il fratello del boss

Commando assalta un furgone della polizia e fa fuggire il boss della ‘ndrangheta Domenico Cutrì

L’agguato è avvenuto nei pressi di Gallarate, mentre il detenuto stava per essere trasferito dal carcere al tribunale scortato dagli agenti di polizia penitenziaria. Nello scontro a fuoco sono rimasti feriti due agenti mentre è morto il fratello del boss

 

Un commando armato ha assaltato un furgone della polizia penitenziaria a Gallarate, in provincia di Varese. Nel corso della sparatoria sono rimasti feriti due agenti ed un componente del commando, mentre il detenuto, che stava per essere trasferito in carcere dopo avere testimoniato in una udienza, è riuscito a evadere. Morto, invece, un componente del commando che sarebbe stato composto da almeno quattro persone.
Il detenuto è il calabrese Domenico Cutrì, 32 anni, residente a Legnano, che è stato condannato all’ergastolo per l’omicidio di un polacco commesso a Trecate (Novara) nel 2006. Poco dopo il blitz, il corpo senza vita del fratello di Cutrì, Antonino, 31 anni, è stato scaricato da un’auto davanti all’ospedale di Magenta. Un secondo fratello di Cutrì msi è presentato ai carabinieri con delle ferite ad un piede; l’uomo è stato accompagnato in ospedale.

Nella zona è in corso adesso una vasta caccia all’uomo che ha portato ad arrestare un componente del commando, rintracciato poco distante dal luogo dell’agguato con una ferita.

Gli assalitori sono entrati in azione su due auto giunte davanti al tribunale di Gallarate mentre Cutrì stava per salire nel furgone della polizia penitenziaria. Nelle fasi concitate dello scontro, pare che la banda abbia anche preso in ostaggio un passante per farsi consegnare il dentenuto. A quel punto ne è nato un conflitto a fuoco e sono stati esplosi diversi colpi.

Una delle vetture è stata abbandonata, con a bordo alcune armi, mentre quella utilizzata per la fuga è una Citroen C3 di colore nero targata EM 197 ZE.
Un agente, spinto dalle scale nel tribunale di Gallarate, ha riportato un trauma cranico, l’altro ha dei problemi agli occhi perché i malviventi hanno usato uno spray urticante. Domenico Cutrì è di origini calabresi. I genitori sono di Melicuccà (Reggio Calabria), e da qui sono emigrati negli anni Sessanta prima in Piemonte e poi in Lombardia. Cutrì è omonimo del boss di ‘ndrangheta ucciso nel 2008 in un agguato e genero del boss Alvaro. Al momento non sono emersi collegamenti tra l’evaso e la ‘ndrangheta.

Il profilo del boss

Nel 2006, a soli 24 anni, fece uccidere un ragazzo perché aveva osato fare qualche apprezzamento di troppo alla sua fidanzata. Un delitto per il quale Domenico Cutrì, l’uomo evaso a Gallarate, era stato arrestato dopo tre anni di latitanza, in un appartamento di Milano in cui si trovava con il fratello Antonino, morto oggi per liberarlo nell’assalto al furgone della polizia penitenziaria. Condannato all’ergastolo, la sentenza è stata confermata in appello nonostante si sia sempre proclamato innocente. Di origini calabresi – la sua famiglia emigrò al Nord negli anni ’60 -, Cutrì davanti ai magistrati ha mantenuto un atteggiamento sprezzante. La notte tra il 15 e il 16 giugno di otto anni fa, come hanno appurato le indagini, era sull’auto da cui partirono i colpi di pistola che uccisero Luckasz Kobrzenieki, magazziniere di 22 anni. “Un bravo ragazzo, che non aveva mai fatto nulla di male”, secondo la descrizione dei famigliari, ‘colpevole’ – secondo Cutrì – di qualche attenzione di troppo verso la sua donna. Per l’ergastolano, che all’epoca fu difeso dall’avvocato Giulia Bongiorno, aveva fatto tutto Manuel Martelli, l’autore materiale dell’omicidio, condannato a 16 anni di carcere con il rito abbreviato. Nelle udienze del processo non erano mancati i colpi di scena. Come quando, nel novembre 2012, spuntò una supertestimone. La donna, dopo anni di silenzio per il timore che il marito scoprisse sua la relazione extraconiugale con Cutrì, sostenne in Tribunale di avere trascorso la notte del delitto a casa sua per un ‘tete a tete’ amoroso. Una versione poi smentita dai registri di un albergo di Vittuone (Milano), dove invece si trovava, e dalla testimonianza del titolare e del portiere di notte dell’hotel. Ma secondo Cutrì gli inquirenti avevano indagato a senso unico e, per questo motivo, era in attesa che la Cassazione si pronunciasse sul suo ennesimo ricorso.