Chizzoniti scrive a Nando Dalla Chiesa
redazione | Il 13, Ago 2014
Ecco la missiva integrale
Chizzoniti scrive a Nando Dalla Chiesa
Ecco la missiva integrale
Si trasmette, nella sua interezza, il testo della missiva che il presidente della Commissione speciale di Vigilanza del Consiglio regionale della Calabria, Avv. Aurelio Chizzoniti, ha inviato al Prof. Nando Dalla Chiesa – Presidente del Comitato Antimafia presso il Comune di Milano e, trasmessa per conoscenza, all’Avv. Giuliano Pisapia – Sindaco di Milano, alla Dott.ssa Antonella Stasi – Presidente della Giunta Regionale della Calabria nonché a tutti gli Onorevoli Parlamentari e Consiglieri Regionali eletti nella circoscrizione della Regione Calabria:
“Parafrasando il titolo di una delle tante commedie di successo prodotte dal mitico Oscar Wilde ‘l’importanza di essere – rectius – di chiamarsi Onesto’, nella specie diventa ‘l’importanza di chiamarsi Dalla Chiesa’. Ne deriva che risiede proprio nel blasonatissimo gentilizio la ratio ispiratrice dalla supponente e disinvolta ‘lectio magistralis’ impartita ‘urbi et orbi’ dal Presidente del Comitato Antimafia del Comune di Milano la cui manichea conclusione ammucchia indiscriminatamente tutti i calabresi in un audace teorema da far impallidire i più ispirati Pitagora o Euclide esaltando l’equazione calabresi=mafia. La sortita de qua agitur si scontra anche con il pensiero manzoniano secondo il quale il torto o la ragione non possono separarsi con un taglio netto di spada, postulando sempre e comunque una responsabile quanto prudente riflessione. Ma questo vale soltanto per i comuni mortali, non per gente radical chic che vive nel lusso, sempre in credito, disponibile ad immolarsi qualora movimenti e partiti dovessero loro proporre il ‘sacrificio’ a farsi eleggere. E così, il Prof. Dalla Chiesa, profondo conoscitore del principio di Archimede applicato ai liquidi, riesce a galleggiare nel Parlamento della Repubblica facendosi eleggere Deputato nelle liste de ‘La rete di Orlando’ nel 1992; ‘Federazione dei Verdi’ nel 1996 e nei ‘Democratici’ nel 2001 e quando qualcuno gli nega la candidatura interviene il Professore Romano Prodi che lo risarcisce e lo rianima con un posto al sole di sottosegretario. Ma, probabilmente l’incontaminato Prof. Dalla Chiesa non avrebbe accettato il pulpito governativo ove avesse saputo che il figlio di Paolo Prodi, fratello dell’ex Premier, ha sposato una bella ragazza calabrese di Marina di Palizzi che, secondo il Dalla Chiesa pensiero, non può che essere mafiosa. E così il tribuno, quello dai toni gergali orgogliosamente esibiti, della totalitaria ed autoritaria sentenziosità che ricorda il populismo linguistico degli esordi di Umberto Bossi, Antonio Di Pietro et similia, si lascia travolgere da una forma di letargia resistente a qualsivoglia terapia, il cui fisiologico blocco della memoria, gli impedisce di ricordare che la sorella Simona è stata spinta per ben due volte in Parlamento da una massa tumultuosa di calabresi mafiosi dopo averla incoronata anche Consigliere della Regione Calabria. Imputet sibi! È una dimenticanza drammatica che celebra sistematici tabù e pregiudizi al punto che il popolo brutio deve solo aspettarsi di essere rinchiuso in un ghetto, con le abitazioni marcate, come avvenne per gli ebrei e come sta avvenendo per i cristiani in Irak, in attesa di essere deportati nei campi di sterminio soltanto perché calabresi, divenuti tutti oziosi, briganti e vagabondi soprattutto dopo il 1860. Transitando dal regime borbonico ‘sulle spalle dell’Italia che produce’. Sono gli stessi che, pur avendo contribuito con braccia, genio, operosità e quant’altro allo sviluppo del nord dell’Italia, hanno dovuto affrontare l’umiliazione della discriminazione razziale anche sul versante della locazione di case sfitte: ‘Non si affitta a meridionali’! Esimio Professore, esercito la professione forense da circa quarant’anni nel cui contesto ho avuto il piacere e l’onore di condividere la difesa di un reggino (Cento Vincenzo) proprio con l’Avv. Pisapia rappresentato dall’Avv.ssa Germanà e quindi sono tutt’altro che impegnato a glorificare improponibili quanto irrazionali opzioni negazioniste di quel fenomeno mafioso ultra organizzato che attanaglia la realtà calabrese ed altre regioni meridionali. Ma quando si argomenta e si scrive per luoghi comuni, va detto senza infingimenti, (in claris non fit interpretatio) che si finisce con il fare il gioco della ‘ndrangheta perché quando tutto è mafia è come se si dicesse che niente è mafia ed alla fine la ‘ndrangheta, quella vera ed autentica, che purtroppo esiste ed i cui tentacoli non conoscono ostacoli, sogghigna e sorride compiaciuta. Non è un caso che anche la rivoluzione francese nacque quale fatto spontaneo, popolare e democratico per poi finire in mano ai tagliatori di teste. Ma non per questo, fu messo in discussione il ruolo di fondamentale centralità e rilevanza della travolgente, unanime volontà popolare che rappresentò la sostanziale essenza della corale sollevazione contro l’esercizio smodato del potere. A Lei Prof. Dalla Chiesa sfugge l’aspetto più importante, ed anche per questo è più da compiangere che da condannare, perché non si accorge che mentre per un verso con gelida reticenza e perfida ipocrisia criminalizza tutti i calabresi già organizzati in un proditorio assalto alla diligenza (Expo 2015) a finire ospiti degli hotel di Stato, quali responsabili di un grossolano sistema tangentizio, è stato il Sig. G. e dintorni. Ormai esperto della materia, per usare un termine casermiero ‘già noto a questo ufficio’. Per non dire degli scandali del Pirellone, dell’MPS, del Mose, previa asportazione piratesca di ben quattrocento milioni destinati al fondo FAS e poi finiti nelle tasche di politici ed imprenditori senza remore e scrupoli. Ovviamente la data della conclusione dei lavori della Salerno- Reggio Calabria resta nella sfera di vetro in un ambito di ben concatenate beffe nelle beffe in salsa lombardo-veneto che fa man bassa di tangenti sulla pelle del Mezzogiorno e di tutti gli Italiani. Conseguentemente, l’associato Dalla Chiesa ben farebbe a preoccuparsi anche dei mercanti che infestano il tempio perché, in quest’ottica, i Signori Penati ed altri appartengono a ben altre ‘organizzazioni criminali’ che non sono riconducibili a quelle meridionali e calabresi a meno che non si voglia ricoprire la delinquenza settentrionale, tutt’altro che disorganizzata, con una coltre di brina autunnale, ostentando superiorità antropologiche all’insegna del doppio pesismo. Ma, chi si trucca da Carlo Magno dovrebbe offrire qualche spiegazione sui tantissimi Cavalieri del Lavoro disseminati nell’opulento nord che non provengono da liturgie meridionali ma sono espressione di quella potenza economica scandita da onorificenze presidenziali concesse ad imprenditori nordisti che poi si scoprono essere raffinati evasori fiscali. Questa, ovviamente, è tutt’altro che mafia! Per i grandi sacerdoti della legalità – che non si capisce se mossi dalla speranza di ulteriori conquiste di potere o dalla nostalgia di un passato difficilmente ripetibile – trattasi in verità di uno schema funzionale al ‘prossimo appalto’ farcito da storiche ovvietà al punto che si ipotizzano addirittura turbative al mercato turistico per via di preventive acquisizioni di alloggi da affittare ai visitatori dell’Expo 15. Il cui mercato, secondo Dalla Chiesa, dovrebbe essere evidentemente di esclusivo appannaggio degli imprenditori di rito meneghino perché appare tutt’altro che peregrina la sensazione che l’equazione meridionale-calabrese uguale mafia (a prescindere) ubbidisca a ferree logiche di controllo del territorio ‘ad escludendum’ nobilitate da frasi fatte, compitini già scritti in una trama che traveste da mafiosi anche chi è nato a Milano da genitori di origini calabresi e mai ha avuto il benché minimo contatto con la ‘ndrangheta alla quale sono comunque accostati attraverso opinabili lezioni di retorica sociologica. Si consuma quindi inesorabilmente una contraddizione conflittuale fra peccato e reato, quasi fosse quest’ultimo una caricatura contrapposta alla parodia di un peccato e così la giaculatoria che insiste sul pregiudizio anti calabrese mi appare sempre di più il patetico tentativo di proteggere le ruberie fin qui perpetrate nell’ottica dell’Expo 2015 criminalizzando strumentalmente il fiero e nobile popolo calabrese. Un esempio peggiore la storia ce lo offre con il musico-terapista Nerone che addossò ai cristiani la responsabilità dell’incendio di Roma. E’ un film surrealista in chiave lombarda dove faziosamente i big dell’industria nordista sarebbero addirittura ascari della ‘ndrangheta calabrese che suggestiona le menti puntando alla desertificazione del mondo intero. No, Prof. Dalla Chiesa, l’ha sparata veramente grossa e non sono qui a sollecitare le Sue scuse poiché nessun calabrese sarebbe interessato in quanto eventualmente provenienti da espressioni totalitarie della politica foriera di tendenze liberal democratiche con finalità pseudo riformiste decisamente carenti negli obiettivi e prettamente asservite e livorose nei mezzi: “Bonus iudex damnat improbanda, non odet”- il Giudice onesto condanna le riprovevoli cose, ma non odia – (Seneca, de ira, 1,16,6); mentre non è da dimenticare che “ad paenitendum properat, cito qui iudicat” – presto si pente chi giudica rapidamente – (P.Siro, Sent., 32). Si interroghi Professore e si domandi se anziché chiamarsi Dalla Chiesa si fosse chiamato Brambilla, Lei e sua sorella Simona avreste mai varcato la soglia del Parlamento Italiano facendosi eleggere anche nella mafiosa Calabria? Non Le chiedo di rispondere, convinto come sono, che la vita prima o poi fornirà adeguate risposte a tutti anche a chi non ha voglia di porsi domande ma la verità innegabile é che Lei resta la sintesi operativa del nuovismo politico che, nel tentativo di limitare i danni endemicamente prodotti. indulge nel candidare orfani, ben coreografate vedove in gramaglie, magistrati, prefetti compiacenti, ecc… continuando a deragliare sugli incerti binari di candidature vuote politicamente ma stracolme di evocazioni nostalgiche. E già che si trova estenda le attenzioni della Commissione che presiede rifuggendo, però, da obbiettivi da tesina ambiziosa, da valutazioni unilaterali della vera realtà, procedendo non con il capo rivolto all’indietro e provi ad individuare quanti calabresi-mafiosi esercitano a Milano le funzioni di Magistrato Ordinario, Amministrativo, Contabile, Tributario, quanti calabresi-mafiosi insigni cultori delle scienze mediche si annidano al San Raffaele e dintorni, quanti calabresi-mafiosi siedono ai vertici della burocrazia milanese, quanti calabresi-mafiosi e meridionali servono lo Stato in uniforme delle forze dell’ordine pagando anche con il sacrificio delle carni, come taluni filosofi che servono solo quando bevono la cicuta, quanti calabresi-mafiosi sono titolari di prestigiosi incarichi accademici e chiarisca a quale organizzazione criminale appartiene un big del giornalismo italiano che di nome fa Eugenio Scalfari. Anch’egli – hai lui – calabrese!. C’è soltanto da morire dal ridere!. Dimenticavo Professore: approfondisca scrupolosamente le indagini sugli elettori che hanno contribuito al successo dell’avv. Giuliano Pisapia e provi ad escludere il consistente apporto dei calabresi residenti a Milano cominciando, quindi, se ne avverte la sensibilità, ad arrossire per la vergogna. Anche perché il Suo modus operandi collide con un penetrante concetto di Aristotele secondo il quale “La virtù più grande di un uomo è il senso del proprio limite”. E in questa circostanza, Professore convenga, non ha mostrato alcun senso del limite ed ha repentinamente dimenticato che ‘la verità esiste per l’individuo solo se la produce nell’azione’ (S.K. KierKegaard) perché, viceversa sarebbe congettura, interpretazione, supposizione, travisamento ed anche vaneggiamento. Non mi permetto di invitarLa alle dimissioni poiché trattasi di un istituto pressoché sconosciuto in politica anche se recentemente utilizzato da Pontefici ancora viventi e teste coronate spagnole che abdicano, ma, rebus sic stantibus, mi consentirà di riservarmi di adire autonomamente le vie della Giustizia ordinaria perché verifichi l’eventuale rilevanza penale delle Sue spietate sentenze pronunciate, ex cathedra e in ‘odium’ spericolato ai calabresi, per cui ricordando a me stesso un aforisma (uno dei tanti) di Arthur Schopennauer ‘l’odio è una faccenda del cuore; il disprezzo della mente’, invito formalmente la Presidente della Giunta Regionale della Calabria a far altrettanto nel supremo interesse della collettività regionale. La stessa che ostenta fra i tantissimi figli illustri anche il ‘Sig. Zaleuco’ che non è un calciatore sud americano ma il primo legislatore occidentale mentre sono certo che l’Avv. Pisapia che, mai avrebbe contribuito a bruciare nel rogo del pregiudizio anticalabrese secoli e secoli di fulgida e gloriosa storia, comprenderà le fondatissime ragioni di questa mia critica reprimenda ben perimetrata esclusivamente al censurabile esercizio della funzione Istituzionale del Prof. Dalla Chiesa e non alimentata da ‘argumenta ad personam’. Ma è stato il predetto accademico ad opporre al diritto, alla razionalità, all’analisi dei problemi, la violenza della scorciatoia della demagogia criminalizzante di una intera regione che, con costernato stupore, respinge e fronteggia con inimitabile dignità la risacca della menzogna, unica realtà tanto spumeggiante e schiumosa prospettata da chi certamente non ha brillato per coraggio ma, caso mai, per irresponsabile impudenza. Mi preme, inoltre, sottolineare come l’accaduto, di una gravità inaudita, rappresenti il paradigma di una inaccettabile concezione autoritaria-xenofobica del ruolo di taluni miracolati protagonisti politico-istituzionali che ripropone il rispetto imprescindibile dei baluardi di legalità e libertà al cui servizio mi dedico con il peso del mio dovere e con il dovere della mia fede che non persegue obiettivi dissacranti. Montesquieu, quello che impiegò oltre dieci anni per scrivere lo spirito della legge, ovvero lo spirito di un popolo, nel volumetto ‘Pensieri’ evidenziò che: ‘non devono ferirci i segni di indifferenza, ma piuttosto quelli del disprezzo’. Concludo, citando un grande milanese: ‘se v’ho annoiati, non s’é fatto apposta’. Con rispettosi ossequi per l’Avv. Pisapia e la Dott.ssa Stasi e con la stima di cui si ritiene meritevole per il Prof. Dalla Chiesa”.