“Chiesa, giovani e ‘ndrangheta in Calabria” L’esordio letterario di don Vincenzo Leonardo Manuli
Prefazione. “(…) A questo può servire parlare di mafia, parlarne spesso, in modo capillare, a scuola: è una battaglia contro la mentalità mafiosa, che è poi qualunque ideologia disposta a svendere la dignità dell’uomo per soldi” (Don Pino Puglisi)
Non è facile parlare di criminalità mafiosa senza essere scontati o cadere nell’ovvietà perpetua dove da una parte ci sono i buoni e dall’altra parte i cattivi. Oramai viviamo in una società incerta, dove “Il guaio del nostro tempo è che il futuro non è più quello di una volta”, come sentenziò lo scrittore Paul Valery. Ma c’è un libro che presto sarà in tutte le edicole che affronta il problema in maniera ambiziosa e con un metodo da trattato storico, misto allo studio (saggio) del problema anche nei suoi aspetti più critici. Leonardo Vincenzo Manuli è l’autore del libro pubblicato da Luigi Pellegrini “Chiesa, giovani e ‘ndrangheta in Calabria”, con un sottotitolo “ambizioso” e forse un po’ rivoluzionario che aiuta di più la curiosità a leggere il libro, “Sfide e proposte per un trasformante e liberante impegno nella vita pastorale e sociale”.
Quando si parla di Chiesa e Mafia o criminalità mafiosa in genere, non può che non venire a mente quel 9 maggio di 25 anni fa, quel “Convertitevi” gridato da Giovanni Paolo II alla Valle dei Templi di Agrigento. Quelle parole anche se con tono minaccioso, non erano altro che un invito ai mafiosi di incontrare quel Cristo che la Chiesa porta come testimonianza la sua croce. Ma era uno scongiurare la violenza mafiosa perpetrata con la vendetta. In quello stesso anno, a settembre in una calda sera di fine estate veniva ammazzato Don Pino Puglisi. E su questo parroco che fece della sua missione pastorale una ragione di vita, Leonardo Manuli riporta nel capitolo sesto descrive il “metodo pastorale” del prete che per aver cercato di avvicinare gli uomini a Cristo pagò con la vita, così vengono descritti anche in maniera molto eloquente e con un piglio intellettuale quasi accademico così come Giuseppe Diana assassinato l’anno successivo dalla camorra e altri ispiratori della Chiesa cristiana che ne hanno nel loro piccolo costruito le fondamenta della misericordia e della divulgazione di quel Dio dell’infinito che spesso viene menzionato come un qualcosa su cui aggrapparsi quando accadono disgrazie del genere dalla connotazione mafiosa.
Quelle parole, «Mafiosi, voi che portate sulle vostre coscienze tante vittime innocenti, convertitevi! Cambiate vita!..Dio ha detto ‘Non Uccidere!’..e un giorno verrà il giudizio Divino!», quel “giudizio Divino” contiene in sé ogni capitolo del saggio di Leonardo Manuli, che seppur corposo nella sua estensione, vale la pena di addentrarsi e leggerlo come se si volesse apprendere una “spinta propulsiva” al cambiamento delle stagioni. Un modo per smettere di stare in silenzio e gridare a viso aperto che la Chiesa ha bisogno di essere cambiata per aprirsi di più contro un cancro qual è la criminalità mafiosa. E Leonardo Manuli si rivolge a chi ha in mano il futuro del mondo, i giovani. La forza fresca, il sorriso che irradia luce seppur colmo di problemi e di piaghe sociali. Un grido di aiuto per dire, “iniziare per cambiare questo mondo, è possibile”, c’è bisogno di voi. Partire da alcune fondamenta già in essere per alzare muri di speranza e ponti di dialogo.
La parola che più ricorre frequentemente in questo “trattato” il “silenzio”, quella invisibile omertà che rafforza la criminalità e che in certi casi con la Chiesa ha avuto un ruolo di collaborazione pacifica, come se qualcosa non doveva essere svegliato e tutto doveva scorrere come una gattopardesca sensazione. “Il silenzio è una caratteristica dell’umiltà o dell’obbedienza, che si impone all’esterno con prepotenza (…)”, scrive Manuli, e ne fa una disamina che frequentemente si ripete quando la ‘ndrangheta prende il sopravvento grazie al silente atteggiamento sociale ed ecclesiale. Così come quando ancora scrive sulla ‘ndrangheta, “Essa gode di prestigio e di autorevolezza accumulata negli anni con il silenzio e la sottovalutazione (…)”.
“La Calabria vive nella morsa di una sottocultura che il silenzio e la rassegnazione richiedono una energica azione ecclesiale e civile (…), e i giovani devono, come dovere morale e diritto alla libertà, insieme alla cooperazione della Chiesa promotrice di speranza e di misericordia, fare in modo che tutto ciò non avvenga più, e che mai devono più ripetersi azioni e atteggiamenti di spiccata omertà che fino a oggi, hanno solo portato rassegnazione e arrendevolezze sociali. Perché ogni silenzio è accompagnato sempre dalla paura ed essa si combatte con un filo di coraggio mista alla speranza.