La famiglia Mancuso a rischio scissione. Un nipote dietro all’agguato alla sorella dei boss
redazione | Il 03, Apr 2014
La Squadra mobile di Catanzaro ha fatto luce su uno degli episodi più delicati della storia del potente casato mafioso di Limbadi e Nicotera: il tentato omicidio di Giovanni Rizzo e sua madre Romana Mancuso
La famiglia Mancuso a rischio scissione. Un nipote dietro all’agguato alla sorella dei boss
La Squadra mobile di Catanzaro ha fatto luce su uno degli episodi più delicati della storia del potente casato mafioso di Limbadi e Nicotera: il tentato omicidio di Giovanni Rizzo e sua madre Romana Mancuso
CATANZARO – La Squadra Mobile di Catanzaro ha arrestato un esponente della cosca della ‘ndrangheta dei Mancuso di Limbadi su provvedimento emesso dalla Dda di Catanzaro. Le indagini della polizia hanno fatto luce su un tentato duplice omicidio compiuto con un kalashinikov nei confronti di una donna e di suo figlio, appartenenti ad una cosca avversaria. Del tentato duplice omicidio è accusata anche una seconda persona già irreperibile da circa un mese.
Una vera e propria faida familiare per la gestione degli affari illeciti emerge dalle indagini della squadra mobile di Catanzaro, che ha arrestato Giuseppe Salvatore Mancuso, di 25 anni, accusato del tentato omicidio della prozia, Romana Mancuso, e del figlio di quest’ultima, Giovanni Rizzo, avvenuto il 26 maggio del 2008 a Nicotera (Vibo Valentia). Per il duplice tentato omicidio è attualmente ricercato lo zio della vittima, Pantaleone Mancuso. A Giuseppe Mancuso è stata notificata un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal giudice per le indagini preliminari di Catanzaro, Assunta Maiore, che ha accolto la richiesta della Dda del capoluogo di regione. I particolari dell’inchiesta, chiamata “Family Affairs”, sono stati illustrati nel corso di una conferenza stampa. Per individuare gli autori del duplice tentato omicidio gli investigatori si sono avvalsi delle dichiarazioni della moglie di un esponente della cosca della ‘ndrangheta dei Mancuso che ha deciso di diventare testimone di giustizia. Durante le indagini sono state effettuate anche intercettazioni telefoniche e ambientali. “Si tratta – ha detto il questore di Catanzaro, Vincenzo Carella – dell’ultimo tassello di un’attività molto più complessa, relativa ad un fatto avvenuto parecchio tempo fa. Le indagini, nell’immediato non hanno portato a nessuna risultanza investigativa rilevante, se non a comprendere che i fatti erano maturati all’interno della criminalità organizzata proprio per eliminarne dei personaggi rilevanti”. Il dirigente della squadra mobile del capoluogo calabrese, Rodolfo Ruperti, ha evidenziato che “il tentativo di uccidere sia Romana Mancuso che il figlio è stato un evento molto cruento, avvenuto con colpi di varie armi tra cui dei kalashnikov, proprio per motivi relativi al controllo del territorio, che come si sa è sempre stato al centro di liti tra gli appartenenti alla famiglia”. “I fatti – ha aggiunto Ruperti – avvengono dopo l’operazione ‘Dinasty’, che aveva messo in ginocchio i Mancuso, nel 2008, periodo in cui i primi membri del clan iniziano ad uscire dal carcere. Quello che è importante è il ruolo della testimone di giustizia. Come è noto non c’è un collaboratore di giustizia appartenente ai Mancuso; tutto quello che abbiamo ricostruito lo abbiamo fatto grazie alle intercettazioni ed alle investigazioni. Per questo, le dichiarazioni relativamente a quei fatti di una donna, sposata con un membro della famiglia Mancuso, incensurata, che si è rifugiata da noi dopo essere fuggita, sono state determinanti. Queste novità, assieme agli indizi e ai dati raccolti all’epoca, hanno consentito di far luce sul delitto”.