Image Image Image Image Image Image Image Image Image Image

TAURIANOVA (RC), DOMENICA 15 DICEMBRE 2024

Torna su

Torna su

 
 

Australia: chirurghi trapiantano il primo cuore “morto” I chirurghi di Sydney sono riusciti in tre casi negli ultimi due mesi su tre pazienti affetti da arresto cardiaco nell'ospedale St. Vincent's di Sydney a far rivivere un cuore "morto", conservato in una soluzione speciale e usato dopo un lungo trasporto del paziente

Australia: chirurghi trapiantano il primo cuore “morto” I chirurghi di Sydney sono riusciti in tre casi negli ultimi due mesi su tre pazienti affetti da arresto cardiaco nell'ospedale St. Vincent's di Sydney a far rivivere un cuore "morto", conservato in una soluzione speciale e usato dopo un lungo trasporto del paziente
Testo-
Testo+
Commenta
Stampa

Un chirurgo australiano sostiene di avere trapiantato con successo il primo cuore
che in precedenza aveva smesso di battere. I chirurghi di Sydney sono riusciti in
tre casi negli ultimi due mesi su tre pazienti affetti da arresto cardiaco nell’ospedale
St. Vincent’s di Sydney a far rivivere un cuore “morto”, conservato in una soluzione
speciale e usato dopo un lungo trasporto del paziente. I trapianti sono stati eseguiti.
Due dei pazienti, un uomo e una donna, si sono già ripresi bene e il terzo è ancora
in terapia intensiva.La procedura è stata definita dal direttore dell’Unità trapianti
di cuore e polmoni del nosocomio, Peter MacDonald, “una svolta epocale”, che apre
la strada a un forte aumento dello stock di cuori disponili per trapianti, e che
potrà aumentare del 30% il numero di vite che potranno essere salvate. Finora le
unità trapianti potevano contare solo su cuori che battevano ancora, di donatori
cerebralmente morti.MacDonald, affiancato dal chirurgo cardiotoracico Kumud Dhital
che ha eseguito gli interventi, ha spiegato in una conferenza stampa che i cuori
donati erano alloggiati in una console portatile e sommersi in una soluzione protettiva
sviluppata da specialisti dell’ospedale stesso. Gli organi venivano poi connessi
a un circuito sterile che li faceva battere e li teneva caldi. “Tutto questo è stato
possibile grazie allo sviluppo della soluzione protettiva e di una tecnologia che
permette di preservare il cuore, di risuscitarlo e di monitorare la sua funzione”.La
squadra medica lavorava a questo progetto da 20 anni e intensivamente negli ultimi
quattro, ha riferito MacDonald. “Abbiamo ricercato per quanto a lungo il cuore può
sostenere un periodo in cui cessa di battere. Abbiamo poi sviluppato la tecnica per
riattivarlo nella console. Per fare questo abbiamo rimosso sangue dal donatore per
caricare il congegno e poi abbiamo estratto il cuore, l’abbiamo collegato al congegno,
l’abbiamo riscaldato e ha cominciato a battere”, ha spiegato. La tecnica darà la
possibilità di trapianti cardiaci in molti paesi del mondo in cui la definizione
di morte non è la morte cerebrale ma quella cardiaca, ha osservato.Per i tre pazienti,
osserva Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, il trasporto
dell’organo donato dalla località di provenienza dei donatori è durato dalle 5
alle 8 ore.