Aldo Alessio non c’entra nulla con la cosca Molè di Gioia Tauro Il tribunale di Reggio Calabria, chiude una vicenda scabrosa, a favore del sindaco di Gioia Tauro, con protagonista un PM della DDA un pentito Pietro Mesiani Mezzacuva. A rimetterci l'immagine della giustizia nel diffondere notizie che compromettono l'onorabilità di persone perbene
Di Luigi Longo
Era una storia incredibile, ma ci sono voluti tre anni per chiudere una vicenda assurda con protagonisti il sindaco di Gioia Tauro Aldo Alessio e il pentito di Ndrangheta Pietro Mesiani Mezzacuva. Il tribunale di Reggio Calabria dispone l’archiviazione del caso dopo la querela di Alessio per diffamazione. Il tutto era scaturito da alcuni articoli di giornali e mass media di un procedimento penale nei confronti della cosca Molè, secondo un giudice della DDA di Reggio Calabria , Aldo Alessio avrebbe chiesto l’aiuto elettorale alla cosca gioiese per la campagna elettorale comunale del 2001.
Lo stesso pentito Mesiani prendeva le distanze dal Pm antimafia inviando una e-mail all’avvocato Macino difensore di Aldo Alessio.
«Non ho mai fatto dichiarazioni che lo riguardano [che riguardano Aldo Alessio, ndr], e non ho mai dichiarato di essere a conoscenza in maniera diretta o indiretta di rapporti fra Aldo Alessio e la famiglia Molè, né di essere a conoscenza di un incontro avvenuto tra Aldo Alessio ed il defunto Rocco Molè», scriveva Mazzacuva nella sua mail all’avvocato Macino.
ECCO LA MISSIVA INTEGRALE DEL PENTITO MESIANI ALL’AVVOCATO PINO MACINO
«Illustrissimo avvocato Macino sono Pietro Mesiani Mazzacuva, le scrivo in riferimento alla questione che vede associato il mio nome a presunte accuse rivolte al signor Aldo Alessio. Ci tengo a specificare che non ho alcun timore sulla querela che il signor Alessio ha presentato contro di me in quanto non ho mai fatto dichiarazioni che lo riguardano, o per meglio specificare, non ho mai dichiarato di essere a conoscenza in maniera diretta o indiretta di alcun rapporto tra il signor Alessio e la famiglia Molè, tantomeno di essere a conoscenza di un incontro avvenuto tra lo stesso Alessio ed il defunto Rocco Molè, o chiunque altro, familiare, affine o vicino alla famiglia Molè. Scrivo questo perché sono stanco che il mio nome venga usato per infangare una persona di cui io non so niente. Sfido chiunque a procurarsi i verbali integrali delle mie dichiarazioni e dimostrare il contrario di quanto le ho scritto in questa mail».
ECCO QUELLO CHE DICE ALDO ALESSIO
«Il problema a monte è che quando i magistrati fanno delle indagini, devono possedere prove certe per poter procedere, altrimenti si rischia di fare un buco nell’acqua. Sia chiaro, la stampa deve poter accedere ai documenti delle inchieste, ma bisogna anche saperli dare: se un nome non ha legami con l’indagine a cui si sta lavorando, va fatto un lavoro di filtro e pulizia prima di girare alla stampa i documenti processuali. Se poi si da tutto in pasto all’opinione pubblica, allora il rischio è quello di creare forti dubbi. Quando è uscito l’articolo con le mie dichiarazioni, io mi trovavo fuori per lavoro; ho rilasciato qualche dichiarazione annunciando che al mio rientro avrei sporto denuncia nei confronti di questa persona che avrebbe lasciato intendere che io sia andato alla masseria dei Molè per chiedere l’appoggio della mafia in occasione delle elezioni comunali. Mi domando come una cosa del genere fosse possibile, dal momento che in quel periodo vivevo sotto scorta della Polizia di Stato, e non mi spostavo senza di essa. Ricordo che io quelle elezioni le ho perse. Ho quindi sporto querela nei confronti della quale il pubblico ministero ha chiesto l’archiviazione; mi sono opposto all’archiviazione ben due volte ma finalmente nei giorni scorsi il gip del Tribunale ha chiarito in modo inequivocabile che io con quella vicenda non avevo alcun legame. Rimane la pendenza con un altro pentito, Russo, nei confronti del quale ho presentato querela ma dall’ottobre del 2017 non ho avuto notizia alcuna. Aspetterò l’esito di quest’altra vicenda, ma una cosa è certa: quando avvengono queste cose il politico che viene in maniera ingiusta tirato in ballo, deve fare una sola cosa, sporgere querela nei confronti di chi lo accusa di fatti non veri, come ho fatto io e non hanno fatto altre persone.
ECCO LE DICHIARAZIONI DELL’AVVOCATO PINO MACINO
«Era per noi doveroso convocare questa conferenza stampa oggi, alla luce della decisione di un magistrato. Lo è perché in maniera del tutto anomala è stato riportato il nome di Aldo Alessio in una situazione caratterizzata dall’equivoco, tanto nelle espressioni quanto nelle supposizioni. Tutto nasce a seguito di un articolo pubblicato da alcuni quotidiani, nei quali veniva riportato un interrogatorio reso al magistrato Di Palma dal pentito Mazzacuva, in cui si mettevano sullo stesso piano diversi soggetti politici, legandoli alla ‘ndrangheta. Abbiamo agito non contro i giornalisti, i quali si sono rifatti ad un atto ufficiale della Procura, e pertanto ritenuto attendibile, ma contro Mazzacuva il quale, appresa la notizia che Alessio aveva sporto querela nei suoi riguardi, mi ha inviato una mail che ho prontamente allegato agli atti della denuncia. Oggi dopo tre anni la vicenda si chiude, ma resta un enorme problema, che non è rappresentato da Mazzacuva o dai collaboratori di giustizia. Il problema riguarda i limiti della procura nella diffusione di notizie che ledono persone estranee a certe circostanze. Ai magistrati spetta l’esatto contrario, ossia tutelare i diritti dei cittadini».
Dunque si chiude una vicenda assurda che ha visto protagonista Aldo Alessio una persona e amministratore che ha speso tutta la sua vita per il rispetto delle regole, il rispetto della legalità. E’ stato il primo sindaco di Gioia Tauro che si è costituito parte civile contro tutte le cosche di Ndrangheta di Gioia Tauro. D’altronde io conosco personalmente il suo impegno per la legalità per aver lavorato gomito a gomito per anni alla cooperativa All Services nel porto di Gioia Tauro. Insomma, basta rileggersi gli atti del processo “Cent’anni di storia” della DDA di Reggio Calabria per capire di che pasta è fatto Aldo Alessio ed il sottoscritto. La Ndrangheta si combatte andando nelle caserme dei carabinieri, nei commissariati della polizia, con fatti concreti ed assumendosi la responsabilità in prima persona il resto sono solo chiacchere. Aldo Alessio non meritava questo schizzo di fango. Ancora oggi non ho capito per quale motivo è stato dato impasto alla stampa.
In ogni caso resta un enorme problema, che non è rappresentato da Mazzacuva o dai collaboratori di giustizia. Il problema riguarda i limiti della procura nella diffusione di notizie che ledono persone estranee a certe circostanze. Ai magistrati spetta l’esatto contrario, ossia tutelare i diritti dei cittadini».
.