Il bullismo che nessuno vede: quando le vittime diventano i genitori

Una testimonianza reale che rivela il lato oscuro dei gruppi WhatsApp scolastici
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Di Caterina Facchineri
Quando si parla di bullismo, l’immaginario collettivo si sposta subito nei corridoi delle scuole.
Ragazzi che si sfidano, che si feriscono con parole o gesti. Tuttavia, esiste una forma di bullismo
più adulta, più nascosta e spesso ignorata: quella praticata dagli stessi genitori. È un fenomeno
reale, subdolo, che si consuma in silenzio, lontano dagli insegnanti e lontano dagli occhi dei
bambini, ma che può avere conseguenze drammatiche sull’equilibrio di un’intera famiglia.
Questa è la mia storia. Una storia che non avrei mai pensato di dover raccontare: quella di una
madre costretta a cambiare scuola alla propria figlia, non per tutelarla dai suoi compagni, ma per
difendere me stessa dalle dinamiche tossiche generate da altri genitori nel gruppo WhatsApp della
classe.
Il tribunale digitale dei genitori
Il gruppo WhatsApp di classe nasce sempre con intenzioni nobili: condividere informazioni utili,
coordinarsi, facilitare la comunicazione. Ma ben presto diventa altro. Diventa un luogo dove ogni
parola può essere interpretata, giudicata, attaccata. Dove un semplice commento si trasforma in un
processo.
È quello che è accaduto a me. Le mie parole — normali, rispettose, in buona fede — venivano
travisate, ridicolizzate, attaccate. Non potevo più esprimere un’opinione senza essere
immediatamente oggetto di critiche, frecciate o insinuazioni. E ciò che iniziava nel gruppo,
continuava fuori: chiacchiere, malelingue, giudizi dati con leggerezza ma capaci di ferire
profondamente.
Quando gli adulti dimenticano di essere adulti
Essere genitori non significa automaticamente essere maturi. Le dinamiche che ho vissuto avevano
tutte le caratteristiche del bullismo: isolamento, ridicolizzazione, attacchi continui, pressione
psicologica. Eppure, ciò che lo rende ancora più difficile da affrontare è proprio il fatto che a farlo
fossero degli adulti.
Un bambino può imparare. Un genitore dovrebbe già sapere. E invece no. Invece mi sono ritrovata
circondata da comportamenti che non avrei mai accettato tra i figli di nessuno, ma che tra adulti
venivano normalizzati.
La scelta più dolorosa
Quando il clima è diventato insostenibile, quando la serenità di casa ha iniziato a risentirne, quando
mia figlia ha iniziato a percepire il mio malessere, ho capito che non si trattava più solo di me. Che il
problema stava oltrepassando uno schermo.
E così ho preso una decisione che mai avrei immaginato: cambiare scuola. Far ricominciare mia
figlia altrove, in un ambiente più sano, lontano da chi aveva trasformato un luogo di confronto in un
terreno di scontro.
Una riflessione per tutti
Racconto questa storia perché nessuno parla abbastanza del bullismo tra genitori. Un bullismo che
non grida, non spinge, non picchia. Ma punisce, schiaccia, logora. E che spesso viene ignorato
perché avviene tra adulti, come se questo lo rendesse meno grave.
Eppure la verità è chiara: il modo in cui noi adulti ci comportiamo è il primo modello educativo per i
nostri figli. Se nelle chat ci sbraniamo, se giudichiamo, se attacchiamo, come possiamo pretendere
che i nostri bambini imparino il rispetto, l’empatia, la gentilezza?
Il messaggio che voglio lasciare
Non scrivo questa storia per denunciare qualcuno, ma per rompere un silenzio. Per dare voce a chi
vive la stessa situazione ma non trova il coraggio di parlarne. Perché il bullismo non ha età. Perché
non dovremmo accettarlo da un bambino, né tantomeno da un genitore.