Operazione Dda di Torino e legami con la ‘ndrangheta nel Reggino. La Cassazione annulla con rinvio a nuovo giudizio per Vincenzo, Salvatore e Carmelo Luppino
In accoglimento della tesi difensiva degli avv.ti Maria Angela Borgese, difensore di Vincenzo Luppino, avv. Renato Cravero, difensore di Salvatore e Carmelo Luppino, e avv.ti Giuseppe Marra e Pietro Fusca, difensori di Gerardo InfanteMar 06, 2025 - redazione
Nel giugno del 2020 un’operazione coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Torino aveva portato a dodici ordinanze di custodia cautelare per associazione di stampo mafioso e traffico di droga. Per la prima volta veniva accertata in provincia di Cuneo, a Bra, la presenza di una “locale” di ‘ndrangheta, riconducibile alla famiglia Luppino di Sant’Eufemia di Aspromonte, nel Reggino.
La cosca, facente capo ai fratelli Salvatore, Vincenzo e Carmelo Luppino, risultava collegata alla potente famiglia Alvaro di Sinopoli.
Poiché tra i principali business vi era il traffico di cocaina i fratelli Luppino erano stati condannati dalla Corte di Appello di Torino, oltre che per associazione a deliquere di stampo mafioso aggravata dall’essere l’associazione armata ex art. 416 bis c.p., su impugnazione del pubblico ministero che ne aveva chiesto la condanna ad anni 28, anche per associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti ex art. 74 DPR 309/90 e per i reati fine di spaccio di sostanza stupefacente e ricettazione.-
Vincenzo era stato condannato alla pena di anni 19 e mesi 4; Salvatore era stato condannato alla pena di anni 18 e mesi 1 e Carmelo alla pena di anni 10, ma i fratelli avevano agganci anche all’interno della pubblica amministrazione e nelle forze dell’ordine.
Erano stati per questo indagati a piede libero anche tre carabinieri (due in servizio a Bra e un terzo a Villa San Giovanni, in Calabria), due agenti di Polizia penitenziaria del carcere di Saluzzo e un impiegato nella pubblica amministrazione.
Ai militari erano contestate a vario titolo le accuse di favoreggiamento e rivelazione di segreti d’ufficio aggravati dall’agevolazione mafiosa, alle guardie carcerarie la corruzione sempre con aggravante mafiosa.
Nell’inchiesta era entrato in un primo tempo l’assessore braidese del Partito Democratico Massimo Borrelli, indagato per voto di scambio e poi prosciolto a seguito dell’archiviazione disposta dalla Procura (l’esponente politico si era dimesso dopo essere stato raggiunto dall’avviso di garanzia).
Nelle carte dell’inchiesta compare anche il nome di “Cheese”, una delle maggiori rassegne enogastronomiche in Italia che si tiene ogni due anni a inizio autunno a Bra. Una serie di intercettazioni telefoniche indicherebbe che due dei personaggi chiave, i fratelli Salvatore e Vincenzo Luppino, fossero percepiti come delle figure capaci di condizionare l’assegnazione di posti e stand a chi voleva prendere parte alla manifestazione internazionale.
Insieme ai capi della “locale” erano stati condanni anche Giuseppe Sganga ad anni 7 e mesi –in primo tempo latitante in Georgia e poi arrestato all’aereoporto di Orio al Serio- e 3 e i carabinieri “infedeli” Gerardo Infante a 10 mesi e Vincenzo Gatto (4 mesi).
In accoglimento della tesi difensiva degli avv.ti Maria Angela Borgese, difensore di Vincenzo Luppino, avv. Renato Cravero, difensore di Salvatore e Carmelo Luppino, e avv.ti Giuseppe Marra e Pietro Fusca, difensori di Gerardo Infante, la Corte di Cassazione –prima sezione penale- ha annullato con rinvio per un nuovo giudizio , la sentenza della Corte di Appello di Torino in ordine alla sussistenza dell’associazione finalizza al narcotraffico ex art. 74 DPR 309/90 per Vincenzo, Salvatore e Carmelo Luppino e per quest’ultimo anche per l’associazione a delinquere di stampo mafioso; ha annullato senza rinvio la sentenza in ordine al reato ex art. 326 c.p. per Gerado Infante ed ha confermato nel resto.-