Mentana, Mieli e il caso Oliverio: quando il PD “fucilò” un suo presidente
È una di quelle lunghe notti di maratone elettorali che Enrico Mentana trasforma in rito televisivo collettivo. I dati scorrono, i grafici si tingono di blu, e il “campo largo” affonda anche in Calabria.
Intorno al tavolo del direttore del TG La7, tra i commentatori c’è Paolo Mieli: storico, giornalista, già direttore del Corriere della Sera. Una delle voci più lucide e meno faziose del panorama nazionale, capace di toccare i nervi scoperti della politica italiana.
Quando il discorso arriva al Mezzogiorno e al disastro del Partito Democratico, Mieli decide di ricordare un caso emblematico — quello di Mario Oliverio, l’ex presidente della Regione Calabria travolto da un processo poi rivelatosi inconsistente, ma soprattutto abbandonato dal suo partito.
“Ricordavo la storia di Mario Oliverio — dice Mieli — un gigante nella storia del Partito Comunista e poi del Partito Democratico. Presidente della Regione Calabria, abbattuto da un processo e dal suo partito, che si era adeguato al processo, l’aveva quasi fucilato sul campo. Dopodiché quel processo si è risolto in un totale nulla di fatto, ma lui è rimasto abbattuto e la regione è passata alla destra.
Non lo so, ognuno tragga le sue conclusioni… È la storia di questi processi: un altro, e poi un altro ancora. E intanto lui è uscito dalla politica. È curioso: nel centrodestra, un avviso di garanzia non distrugge la carriera di un leader; a sinistra, invece, è una condanna preventiva.”
Parole pesanti, che in pochi minuti racchiudono il fallimento culturale e politico del Partito Democratico calabrese. Un partito che, pur di mostrarsi “moralmente superiore”, non ha esitato a scaricare un suo uomo — e con lui un’intera stagione politica — piegandosi al vento giustizialista.
Mieli coglie il punto che in Calabria in tanti hanno provato a dire per anni, ma che nessuno a livello nazionale aveva mai osato pronunciare in modo così diretto: Oliverio non è stato sconfitto dal centrodestra, ma dal suo stesso partito.
E mentre la destra ha imparato a difendere i propri leader fino all’ultimo grado di giudizio, la sinistra continua a confondere la giustizia con la propaganda, perdendo insieme la bussola e l’anima.
Il cortocircuito di Schlein e il PD calabrese
Le parole di Mieli arrivano come una sentenza anche sull’attuale gruppo dirigente del PD. Elly Schlein, che pure parla di diritti, inclusione e rinnovamento, non ha mai affrontato pubblicamente la questione morale interna che ha devastato il partito in Calabria. Si preferisce il linguaggio dei festival, la passerella tra talk show e influencer, ma nessuno trova il coraggio di guardare negli occhi una comunità tradita.
Il PD calabrese — commissariato, spaccato, spesso piegato alle logiche di corrente — è oggi l’esempio perfetto di un partito che ha perso la propria classe dirigente autentica e ha sostituito la politica con la convenienza.
L’eredità di Oliverio è stata cancellata, non per rinnovamento, ma per vendetta interna. E così, mentre la destra occupa spazi e istituzioni, la sinistra continua a recitare litanie moraliste, incapace di riconoscere i propri errori.
Forse aveva ragione Mieli: il vero avviso di garanzia per il Partito Democratico è la sua paura di difendere chi ha ragione.