MALAGIUSTIZIA | Il TG5 accende i riflettori sui casi simbolo di Callipo e Longo
Nov 16, 2025 - redazione
Di Pasquale Motta direttore della novitàonline
MALAGIUSTIZIA | Il TG5 accende i riflettori sui casi simbolo di Callipo e Longo
Nel servizio delle 20 il TG5 racconta le vite travolte dalle inchieste finite nel nulla: dal giovane sindaco assolto dopo 7 mesi di carcere all’imprenditore-testimone antimafia distrutto da un errore giudiziario
TG5, le vite stravolte dalla “giustizia spettacolo”: il caso-simbolo di Luigi Longo, imprenditore e testimone antimafia distrutto da un errore giudiziario
C’è un filo rosso che unisce le grandi retate finite nel nulla, le assoluzioni di massa, i danni economici ormai incalcolabili dell’ingiusta detenzione, e le storie personali raccontate dal TG5 nell’ampio servizio andato in onda nell’edizione delle 20 del 15 novembre.
Un filo rosso che passa – inevitabilmente – per la Calabria, la terra dove l’epica del “tutto è mafia” ha prodotto più macerie nella vita delle persone che risultati nelle aule di giustizia.
Il servizio del TG5 parte dalle operazioni-monstre firmate da Nicola Gratteri, quelle che lui liquida con disinvoltura come “molliche” rispetto alla sua carriera, anche quando i numeri – impietosi – raccontano altro: centinaia di assoluzioni, indagini evaporate nei dibattimenti, e soprattutto centinaia di milioni di euro in indennizzi per ingiusta detenzione che lo Stato sta pagando.
Denaro pubblico bruciato, e vite distrutte, spesso senza neanche l’ombra dei gravi indizi richiesti per un arresto: lo ha ricordato la Cassazione nel caso del giovane sindaco di Pizzo, Gianluca Callipo, finito in carcere per sette mesi, poi assolto con formula piena.
Ma la parte più forte del servizio del TG5 si concentra sulle vite stravolte, quelle che difficilmente entrano nelle conferenze stampa trionfali della DDA.
Tra queste c’è una storia che vale per cento, una ferita ancora aperta nell’economia calabrese: la vicenda di Luigi Longo, imprenditore, testimone antimafia, e oggi direttore del quotidiano online Approdo.
La parabola distrutta di un imprenditore che denunciò la ’ndrangheta
Fino al 2009, Luigi Longo era uno dei protagonisti dell’economia legale del Porto di Gioia Tauro:
– due aziende,
– circa 150 dipendenti,
10 milioni di euro di fatturato annuo.
Quando subisce minacce dalla ’ndrangheta, Longo – insieme al socio – decide di fare ciò che lo Stato chiede da decenni: denuncia tutto all’antimafia.
Dalle sue parole nasce un’inchiesta. Longo diventa testimone antimafia.
E per tutta risposta, lo Stato cosa fa?
Lo arresta.
Arrestato il testimone, distrutta l’azienda, salvata la mafia
Longo passa:
– 27 giorni in carcere,
– 11 mesi ai domiciliari,
– cinque anni di processo.
Il risultato?
Un’assoluzione piena, “perché il fatto non sussiste”.
La procura neanche presenta appello.
Ma il danno ormai è irreparabile: le sue aziende collassano, i lavoratori vengono licenziati, l’intero indotto del porto perde un pezzo fondamentale. Il giudice che dispone l’indennizzo scrive una frase che dovrebbe essere incisa sui muri dei tribunali italiani:
«L’arresto del Longo ha smantellato l’economia legale del Porto di Gioia Tauro.»
Una sentenza che pesa come un macigno:
non solo errore giudiziario, ma concorso involontario nella distruzione dell’economia legale.
Un capolavoro al contrario.
Come se non bastasse, Longo rivela al TG5 che il Tribunale collegiale ha trasmesso gli atti alla Procura: si ipotizza che alcune intercettazioni siano state modificate o falsificate.
Una bomba istituzionale, accennata nel servizio con la prudenza dovuta, ma che apre interrogativi gravissimi.
Il tema nazionale: gli errori giudiziari non sono “molliche” come li definisce il Procuratore di Napoli.
Lo ricorda nel servizio anche Rita Bernardini, storica militante di Nessuno tocchi Caino:
“Gli errori giudiziari non devastano solo chi li subisce. Devastano territori interi.
Quando colpiscono un’impresa, non pagano solo i proprietari: pagano i dipendenti, pagano le famiglie, paga la comunità, paga lo Stato.”
È il caso Longo: 150 lavoratori rimasti senza occupazione, un pezzo dell’economia di Gioia Tauro che scompare, anni di investimenti polverizzati.
Altro che “molliche”.
Il caso Longo come paradigma della giustizia d’emergenza
Il servizio del TG5 – ed è bene sottolinearlo – non entra nel merito delle polemiche politiche sulla separazione delle carriere.
Ma mostra il volto umano del problema.
Da Falcone e Borsellino in poi, la difesa dell’antimafia è servita troppo spesso come alibi per costruire un modello giudiziario ipertrofico, muscolare, emergenziale, che non tollera dubbi, non tollera critiche, non tollera limiti.
Un modello che, in Calabria, ha prodotto un numero impressionante di innocenti schiacciati in nome della lotta alla mafia.
E che oggi, piano piano, i grandi media nazionali cominciano finalmente a raccontare.
La verità arriva sempre dopo, ma arriva
La storia di Luigi Longo – raccontata dal TG5, ma già nota a chi segue le vicende giudiziarie calabresi – è un monito per lo Stato e per la magistratura:
Chi denuncia la mafia deve essere protetto, non distrutto.
Chi collabora con la giustizia non può finire triturato dalla macchina delle “inchieste a effetto”.
Chi paga per gli errori giudiziari non può essere sempre e solo il cittadino.
Luigi Longo, come Gianluca Callipo, come decine e decine di imprenditori e amministratori finiti nel tritacarne, è il simbolo di un sistema che deve cambiare.
E che non può più nascondersi dietro la retorica dell’antimafia per giustificare tutto, anche l’ingiustificabile.



