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TAURIANOVA (RC), MARTEDì 30 APRILE 2024

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Si non caste, tamen caute Emanuele Pecheux commenta la vicenda di Mons. Krzysztof Charamsa

Si non caste, tamen caute Emanuele Pecheux commenta la vicenda di Mons. Krzysztof Charamsa
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Un fatto è certo: Il polverone alzato da Mons. Krzysztof Charamsa, alla vigilia dell’apertura del Sinodo sulla famiglia, sarà di nessuna utilità alla causa lgbt.
E’ sufficiente leggere quanto ha affermato Dariusz Oko, teologo polacco e paladino del Cristianesimo tradizionale, che ha definito le affermazioni del detestato confratello e collega teologo: “un complotto ordito dalla lobby gay con cura artigianale, probabilmente per indebolire, al Sinodo, la posizione di tutti i vescovi fedeli all’insegnamento della Chiesa e del Vangelo. Credo voglia colpire anche la posizione della Congregazione per la Dottrina della Fede e tentare di indurre i padri sinodali ad accettare l’omosessualità nella Chiesa”.
E’ codesta, solo l’anteprima di ciò che potrà avvenire da oggi al 25 ottobre, data di chiusura del Sinodo: la probabile mancata contrapposizione, che simili forzature rischiano di provocare, tra gli innovatori e i conservatori di Santa Romana Chiesa che porterà verosimilmente ad eludere il vero tema che avrebbe dovuto essere posto alla base della discussione, che finirà per produrre, bene che vada, una stiracchiata ed elusiva posizione di mediazione, buona per perpetuare la comoda applicazione da parte del clero l’antico detto latino: “Si non caste, tamen caute” (se non castamente, almeno con cautela).
L’avere posto l’omofobia come questione primaria significa pretendere di volere ristrutturare una casa lesionata dalle ingiurie del tempo partendo dal tetto poiché è chiaro a tutti che il problema della Chiesa è il permanere di una rigida interpretazione sessuofobica della religione che si manifesta in diversi aspetti, considerato che, da secoli, è la cifra che ne informa la dottrina.
Charamsa, con il suo clamoroso coming out, ha ottenuto il bel risultato di spostare la discussione e l’attenzione mediatica solo su un aspetto, pure importante, dell’aggrovigliata matassa teologica e dottrinale che i vescovi dovranno tentare di sbrogliare, non considerando che è prioritaria la rimozione di una norma che ha radici che risalgono almeno al Concilio di Trento: l’obbligo del celibato per il clero.
Codesta è la vera madre di tutte le battaglie, poiché si tratta di un problema che non dovrebbe più essere eluso non fosse altro perché è una delle cause principali del calo di vocazioni sacerdotali maschili e femminili, soprattutto in Europa e in America del nord, e non si contano le continue richieste di riduzione allo stato laicale di sempre più numerosi presbiteri desiderosi di contrarre matrimonio.
In una delle sue lettere ai Corinti San Paolo, che peraltro sul tema del celibato dei presbiteri mostrò di non avere proprio le idee chiarissime poiché si contraddisse più di una volta, scriveva: “è meglio sposarsi che ardere”.
Gli esiti del lavoro dei padri sinodali, se, sul tema, com’è più che probabile, saranno interlocutori, finiranno dunque per consegnare la patata bollente del celibato nelle mani del Pontefice.
Che, come lui stesso non dimentica di sottolineare, in materia dottrinale è un gesuita di sicura flessibilità.
Qualità che da molti, anche tra i laici, è molto apprezzata.

Emanuele Pecheux