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Ritrovamento dei reperti di Riace, nota congiunta di precisazione: “Colpo d’occhio”

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Riceviamo e pubblichiamo

A circa tre settimane dalla presentazione in anteprima mondiale alla stampa il 21 ottobre 2023,
presso l’Hotel Federica di Marina di Riace (Reggio Calabria), dei rinvenimenti effettuati il 1° agosto
del 2023 dal sig. Giuseppe Braghò durante una immersione di “affezione”, in quel lembo di costa
celebre per il rinvenimento dei Bronzi A e B e regolarmente denunciati alle autorità nei tempi e nei
modi previsti, è doveroso chiarire un paio di punti.
Dopo la presentazione, sono montate quasi immediate alcune illazioni speculative e le più
disparate ipotesi che hanno solo generato polemiche e critiche, relegando ad un basso livello di
discussione l’importante scoperta del signor Braghò.
Chi era presente o ha assistito in diretta streaming all’evento, potrà ricordare benissimo il tono
pacato e l’analitica esposizione dei protagonisti che si sono prestati a rispondere a domande con
assoluta onestà intellettuale. I tre relatori, non solo hanno potuto dissertare intorno ai reperti in
questione, senza lasciarsi andare ad inutili iperboli sensazionalistiche, che avrebbero sicuramente
avuto una risonanza mediatica più eclatante, ma consci dell’importanza scientifica dei manufatti
rinvenuti, hanno semplicemente relazionato ciò che si poteva evincere al momento, secondo le
specifiche competenze: il signor Giuseppe Braghò giornalista d’inchiesta freelance esperto in arte
antica, in qualità di scopritore; il dott. Francesco Laratta archeologo subacqueo, in qualità di esperto
in relitti nautici; il dott, Antonio Arcudi archeologo classicista in qualità di esperto in statuaria greca.
Ebbene i relatori sono stati capaci in poco più di 30 minuti di instaurare un rapporto distensivo con
l’attenta audience, mantenendo un equilibrato profilo scientifico.
Ciò nonostante e con sommo rammarico, si registrano fin da subito reazioni contrastanti che
da un lato hanno steso ombre sulle modalità di rinvenimento da parte del signor Braghò e dall’altra,
ricamando sulle parole dei relatori scientifici, hanno costruito ad arte affermazioni che non sono mai
state espresse, se non per avanzare preliminari ipotesi ricostruttive.
Ad oggi, il signor Braghò, il dottor Laratta e il dott. Arcudi, ribadiscono con assoluta fermezza
e convinzione i concetti enunciati durante la loro presentazione, respingendo al mittente qualsiasi
illazione o dubbio sulle modalità di rinvenimento dei reperti recuperati a Riace Marina. Mentre per
quanto riguarda tutte le speculazioni scientifiche fatte subito dopo l’incontro con la stampa, queste
lasciano il tempo che trovano, in quanto le ipotesi avanzate dal dottor Arcudi e dal dottor Laratta,
sono state fatte vagliando una notevole quantità di confronti e facendo numerose consultazioni
bibliografiche, soppesando in modo adeguato ogni singola parola. Cosa che probabilmente, non è
stata fatta da altri sedicenti studiosi.
In attesa dei dati che saranno messi a diposizione delle Soprintendenza, gli studi fatti dai
protagonisti della conferenza stampa di Riace Mariana, hanno portato ad ulteriori riscontri che
possiamo così sintetizzare: sui reperti metallici recuperati nel contesto di Riace si ritiene necessario
fare alcune precisazioni e sottolineature. Innanzitutto le dimensioni dei chiodi rimandano certamente
ad un’unità navale di notevole tonnellaggio, come è facilmente deducibile in base a numerosi
confronti riferibili al contesto del mar Jonio calabrese. Al riguardo basti pensare al relitto della “navis
lapidaria” – comunemente noto come “Punta Scifo D” – nei pressi del promontorio di Capo Colonna,
dalla stazza stimata di 357 tonnellate e dalla lunghezza di circa 40 metri. Proprio nel contesto di
questo relitto è stato rinvenuto un chiodo in lega di rame della lunghezza di 33,5 cm. (S. Medaglia,
2015). Come è possibile costatare, tutti gli elementi di fissaggio strutturale della nave presa in esame
sono a sezione quadrangolare con testa sferica, al pari del materiale recuperato a Riace. Quindi,
facendo le necessarie comparazioni di questi stessi materiali si può azzardare una datazione da porre
a cavallo del III sec. d.C.
Tornando all’analisi dei reperti riacesi, si nota la presenza di un chiodo a sezione circolare,
anch’esso di notevoli dimensioni, circa 22 cm. Dalla casistica generale, si nota come questa tipologia
non sia così frequente, tanto che di esempi accertati se ne conoscono solo due: il relitto greco di
Kyrenia del IV sec. a. C. e la barca di Kinneret, in Israele, datata fra il I a.C. e il II sec. d. C.
(Dell’Amico, 2002). Quindi è possibile ipotizzare che l’utilizzo di chiodi a sezione tonda, possa
provenire da una specifica area geografica, tanto da poter indurre ad avanzare non tanto una possibile
provenienza della nave, ma l’ipotesi che la stessa possa aver toccato quelle coste e necessitato di
piccoli interventi di manutenzione, abbia avuto necessità di utilizzare materiali diversi da quelli di
costruzione.1
Premettendo che la giacitura di questi reperti sul fondo del mare non restituisce nessuna
informazione relativa alla rotta seguita dell’unità, non è possibile escludere a priori che si trattasse
della nave che trasportava i due bronzi A e B.
Per quanto riguarda il reperto di forma semisferica dal diametro di circa 1 cm, è relativa alla
realizzazione di un’iride apparentemente in pasta vitrea o calcite con pupilla circolare a rilievo in lega
di rame. La parte posteriore è caratterizza dalla presenza di due piccole alette di fissaggio in bronzo
di cui una è conservata solo parzialmente. Il manufatto si presenta in buone condizioni generali,
mostrando labili segni di deteriorato dovuto al rotolamento sul fondale marino a seguito del
movimento ondoso. L’iride mostra leggere tracce di pigmentazione sbiadita, mentre la pupilla
evidenzia segni di ossidazione verdastra tipiche delle leghe di bronzo. Come già ribadito in sede di
presentazione, questo reperto per tecnica costruttiva modulare, è assimilabile ad un occhio di una
statua di bronzo di dimensioni compatibili con quelle dei famosi guerrieri di Riace. Ma
contrariamente a quanto ipotizzato in sede di presentazione, sebbene un confronto con le immagini
del volto della statua A inducevano ad avanzare un possibile riferimento con le cavità delle sclere di
questa, gli ultimi elementi emersi in fase di studio hanno smentito totalmente questa preliminare
ipotesi ricostruttiva. Infatti i nuovi dati ricavati dallo studio delle sclere dei bronzi A e B, propendono
decisamente che questo manufatto possa appartenere ad un’altra statua ancora sconosciuta,
aumentando notevolmente l’importanza dei rinvenimenti fatti da Giuseppe Braghò.2
Queste scoperte evidenziano in modo significativo come l’area di Porto Forticchio sia ancora
meritoria di attenzione scientifica. La necessità di effettuare scavi sistematici sia in acqua sia sulla
prospicente linea costiera, imporrebbe decisamente un nuovo impulso alla ricerca archeologica.
Inoltre l’intera area andrebbe messa immediatamente sotto tutela dalle autorità competenti, perché
salvaguardare l’integrità del contesto archeologico di Riace Marina, sicuramente preserverà dati che
amplierebbero decisamente le conoscenze diacroniche del territorio, focalizzando l’interesse non solo
sullo studio delle celebri statue rinvenute ormai più di cinquant’anni fa in circostanze mai troppo
chiarite, ma su tutta la costa ionica calabrese.
Con osservanza
Sig. Giuseppe Braghò
Dott. Francesco Laratta
Dott. Antonio Arcudi