Image Image Image Image Image Image Image Image Image Image

TAURIANOVA (RC), MARTEDì 16 APRILE 2024

Torna su

Torna su

 
 

Riflessioni sul referendum costituzionale Con la mente ho voluto fare un excursus sui referendum piu' importanti a cui ho partecipato, per vedere se ci sono similitudini

Riflessioni sul referendum costituzionale Con la mente ho voluto fare un excursus sui referendum piu' importanti a cui ho partecipato, per vedere se ci sono similitudini

Di Bruno Morgante

  1. Referendum abrogativo della legge sul divorzio, promossa in parlamento dal socialista Fortuna e dal liberale Gaslini. Quando è stata approvata la legge c’era il centrosinistra e la DC era stata la promotrice del referendum. A nessuno venne in mente che era in gioco il governo. Si votava per abrogare o meno una legge del parlamento e su questo si svolse una campagna elettorale vivacissima che coinvolse tutto il popolo;
  2. referendum sull’aborto fu la ripetizione di quello sul divorzio. in entrambi i casi vi fu un imbarazzo del PCI, che temeva la rottura all’interno delle classi popolari, ma che alla fine si schierò per la difesa delle leggi, insieme alle forze laiche, liberali e socialiste;
  3. referendum sulla preferenza unica. Per la prima volta la corte costituzionale ha accettato, costituendo un pericoloso precedente, un referendum propositivo, sull’onda della pressione populista contro lo strapotere dei segretari dei partiti, delle strutture di potere, della corruzione dilagante. Con un sistema di tagli mirati si cambiò la legge elettorale nelle parti riguardanti le preferenze che divennero una. Non si abrogava la vecchia legge, ma si chiamava il popolo a votarne una nuova. Tanto è vero che dopo il referendum, il parlamento ha preso atto della nuova legge. La campagna elettorale si avviava stanca e non sembrava attivare l’attenzione della gente. Era forte il pericolo che non si raggiungesse il quorum del 50%+1 dei votanti per rendere valido il referendum. Su una precisa domanda sul voto dei socialisti al quesito referendario Craxi pose il problema della sciocchezza dello stesso, che non toccava i problemi dell’efficienza del paese e solleticava solo populismi e sentimenti di bassa lega, per cui invitava gli elettori ad andare la mare. Apriti cielo! Immediatamente tutti i leaders dei partiti, da Fini a Occhetto si buttarono in campagna elettorale per chiedere un voto contro Craxi, divenuto il prototipo del segretario arrogante, che decideva tutto compreso gli eletti del suo partito con le cordate con le quattro preferenze e che cosa debbono fare gli elettori il giorno del voto. Divampò un incendio. Votò l’81%. I SI furono una valanga. Le conseguenze di quel voto, di cui nessuno si è vergognato, sono state:
  • la fine delle sezioni dei partiti sul territorio. Con l’elezione diretta del sindaco ognuno veniva eletto con le sue preferenze e pretendeva di rappresentarsi direttamente con il sindaco, il quale ha preteso ed ottenuto che la giunta fosse formata da suoi collaboratori scelti da lui. Le sezioni non avevano molto senso, essendo espropriati della funzione fondante di selezione del gruppo dirigente, di essere parte di un partito nazionale che informava dei valori del partito l’azione amministrativa con i suoi rappresentanti legati alle deliberazioni della sezione. Inizialmente furono crisi e rotture tra sindaci, assessori e le sezioni. Alla fine cedettero le sezioni.;
  • la dequalificazione in termini di formazione politica, di cultura degli eletti, in quanto vinceva chi aveva grosse famiglie, chi gestiva patronati per servizi alle persone, chi aveva risorse economiche, chi aveva dietro gruppi di potere leciti e non leciti. La mafia elesse direttamente i propri rappresentanti. Era scomparso il voto di opinione, surclassato dai voti organizzati (ricordo sempre il fatto eclatante di Mancini in Calabria, che nel 1972, la prima volta che si votò con la preferenza unica, pur avendo preso 22.000 preferenze, non venne eletto perchè ormai da tempo aveva sciolto la sua componente e furono eletti quattro capicorrente. Con tutto ciò, con le quattro preferenze, era stato sempre il primo eletto perchè a lui andava il voto di opinione, che sempre rimaneva su quattro disponibili, che nessun segretario, nemmeno Craxi, poteva controllare).

Si avviò una canea populista antipolitica che ha allevato mani pulite, ha portato al maggioritario (il popolo                                                                               sceglieva il governo), alla nomina dei parlamentari da parte dei segretari nazionali dei partiti, essendo scomparse le preferenze perché portatrici di corruzione ed essendo l’uninominale un gioco ad incastro con i segretari della coalizione, per cui chi non godeva dei favori del segretario, anche se potente sul suo territorio, veniva sacrificato perchè quel collegio toccava a un altro partito della coalizione. Non ci fu piu’ dialettica nei partiti. Chi non era d’accordo con il segretario se ne andava nel gruppo misto, formava un suo partito e iniziava la trattativa con un altro partito, mettendo sul piatto della bilancia la sua capacità di spostare decine di voti in diversi colleggi, che potevano far perdere o vincere una coalizione. Era il potere marginale usato come trattativa per garantirsi un collegio sicuro. Si facevano le campagne elettorali con dieci partiti nelle liste, per arrivare in parlamento a contarne piu’ di cento! Per ovviare a questo andazzo si votò la legge, denominata dal suo proponente porcellum, un proporzionale con sbarramento, con possibilità della presenza nella scheda elettorale di coalizioni e con liste bloccate dei singoli partiti. Dal 1996 sono calate continuamente le percentuali dei votanti, fino a diventare in alcuni casi maggioranza, così come sono diminuiti drasticamente gli iscritti nei partiti.

  • referendum sulla riforma costituzionale Renzi – Boschi. Prima della riforma era stata approvata una legge elettorale coerente con l’impianto della riforma costituzionale c che superava il bicameralismo con l’abolizione del senato elettivo e la sua trasformazione in senato delle regioni, l’abolizione del CNEL, l’abolizione delle province, la revisione del Titolo V° della costituzione e l’introduzione del principio dell’interesse nazionale, per cui era sempre prevalente il parere dello stato rispetto alle competenze delle regioni e la fine delle competenze concorrenti, la fine del finanziamento dei gruppi nelle regioni e la fissazione in costituzione degli emolumenti dei consiglieri regionali che non potevano superare l’indennità prevista per il sindaco del capoluogo di quella regione (in alcune regioni significava piu’ che dimezzare gli stipendi). Inizialmente anche questa campagna referendaria partì in sordina. Forza Italia, che l’aveva votata in parlamento in prima lettura intendeva lasciare libertà di voto ai propri elettori, la Lega era piena di problemi interni, il M5S era tentato in un primo momento di appoggiarla. Dentro il PD da tempo si era scatenata una guerra contro Renzi da parte dei dalemiani e della nomenclatura dell’ex PCI. Renzi, in un momento di euforia per i sondaggi che prevedevano un plebiscito favorevola alla riforma, arrivò a dire che, se veniva bocciata la riforma, se ne sarebbe andato a casa. Apriti cielo! Il referendum divenne un referendum su Renzi, con tutte le peggiori performances della ditruzione del nemico politico da parte della tecnica di propaganda comunista. Alla discesa in campo di D’Alema che costituì comitati per il NO in tutta Italia, seguirono tutti gli intellettuali di sinistra, costituzionalisti, CGIL, che mise a disposizione dei comitati per il NO proprie sedi, l’ANPI, l’ARCI, insieme a tutte le destre, da Casa Pound, a Forza Nuova con le croci uncinate belle bandiere, a Fini, a Berlusconi, tutti esaltati dal mandare a casa Renzi, che sembrava destinato a governare almeno per altri cinque anni. A Latina, alla chiusura della campagna referendaria, si sono viste insieme in piazza le bandiere con la croce uncinata e le bandiere dell’ANPI. Non si discusse piu’ nel merito del quesito referendario, ma, come ai tempi della preferenza unica, si politicizzò contro Renzi la campagna e la richiesta del voto contrario alla riforma. Vinse il NO. Le conseguenze furono le dimissioni del governo Renzi, la non applicabilità della legge elettorale perchè non prevedeva il voto al senato, la caduta di buona parte della riforma della pubblica amminnistrazione e il blocco di altre riforme, come la seconda parte del job act, perchè a suo tempo non era stata attivata la concertazione con le regioni, concertazione non prevista dalla riforma. Il PD perse il tocco magico, lacerato al proprio interno e incominciò anche a perdere pezzi di alleati facenti parte del centro di Alfano che se ne andavano a destra. Alle elezioni del 2018 il PD accusò una grave sconfitta e vinsero le elezioni il centro destra, con dentro la sconfitta di Berlusconi e il trionfo di Salvini, e il M5S, con il trionfo del populismo e il montare di una canea anticasta.

Oggi siamo alla vigilia di un altro referendum, oggettivamente di natura populista e di attacco alla democrazia rappresentativa, sferrato con l’accusa di 945 parlamentari mangiafranchi sulle spalle della gente, per cui questa legge è un primo passo per mandarne a casa 345 (dichiarazioni di appena una settimana fa di Di Maio).

Il PD, che ha una grossa dissidenza all’interno, oggi, dopo il voto favorevole della direzione, ha avviato la campagna per il SI.

E’ partito con una analisi politica, ponendo la relazione tra voto SI e tenuta del governo, saltando a piè pari ogni giudizio nel merito del quesito.

Tentando di mettere una pezza peggiore del buco, sta lavorando a una legge elettorale che adotta il proporzionale puro, con liste bloccate, con uno sbarramento al 5%. Si prevede di far votare per il senato i diciottenni e di prevedere la circoscrizione nazionale.

Cioè camera e senato saranno pefettamente uguali e faranno le stesse cose.

Quando rincorri i populisti sai da dove parti, ma non governerai gli eventi.

I vincitori saranno i grillini, che riterrano pagato il loro debito per il voto SI del PD, con la riforma elettorale e la riforma costituzionale per equiparare camera e senato.

Di Maio lo ha già detto che la seconda battaglia sarà per l’introduzione in costituzione del vincolo di mandato.

Se la Lega e Fratelli d’Italia daranno la loro disponibilità, insieme a rifiutare il MES, Di Maio cosa farà?

A questo punto le similitudini mi sembrano evidenti e preoccupanti.

Quando si è votato nei referendum scontrandosi nel merito, come nel caso del divorzio e dell’aborto, senza politicizzarne l’esito, è stata una vittoria della democrazia, della partecipazione, è stata una crescita complessiva della società.

Quando si sono politicizzati i referendum, rincorrendo obiettivi politici si sono avuti degenerazioni politiche, drammi per il paese, la crescita di forze populiste, antisistema.

Si sta ripetendo la storia, senza piu’ ritegno da parte dei protagonisti.

In televisione fino ad oggi non si è potuto tenere un confronto sulle ragioni del Si e del NO, perchè nessuno si presenta, per sostenere le ragioni del SI.

Il M5S non si presenta perchè è allergico ai confronti con altri.

Spero, per la dignità della sinistra quale luogo di valori e di difesa della costituzione, quale pilastro in difesa della democrazia rappresentativa, che non si presenti il PD, anche perchè buona parte della sua base vota NO.

La campagna del SI è partita ponendo al popolo la preoccupazione, alla vigilia del confronto con l’Europa sull’utilizzo dei fondi del recovery found, della crisi di governo e della possibile vittoria delle destre anti europa.

In fondo, si dice da parte di chi ingoia il rospo, è una riformetta ininfluente che si circoscrive nei suoi effetti con una nuova legge elettorale e con una altra riformetta costituzionale per equiparare camera e senato.

Anche la preferenza unica era una stupidaggine.

Bruno Morgante